L’ODIOSA MACELLERIA DELLA GUERRA DI TRINCEA

All’inizio della 1a guerra mondiale tutti furono presi dall’euforia, soprattutto gli intellettuali.“Com’è bella e fraterna la guerra”. Ernst Junger tentò di spiegare quell’euforia:“La guerra come un’ubriacatura. Partiti sotto il lancio dei fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue. La guerra ci appariva per veri uomini. Immaginavamo combattimenti a colpi di fucile su verdi campi dove il sangue sarebbe sceso a irrorare i fiori”.
Una minoranza di avanguardisti sognano la bella guerra che doveva partorire l’”uomo nuovo”. Tutti pensavano di sbrigarsi in pochi mesi, ma i primi combattimenti, hanno stroncato da subito, l’entusiasmo che molti giovani avevano coltivato in partenza. Un giovane al fronte annotava: “E’ impossibile descrivere la mia agonia mentale di fronte alla distruzione della vita umana. Scene raccapriccianti. Incredibile spargimento di sangue. Ho visto cadaveri ammucchiati a centinaia”.
Il pittore Fernand Leger, quello che si era entusiasmato per i mazzi di fiori che la gente lanciava ai soldati, si è ricreduto: “Dopo un mese la guerra è diventata maledetta”. Niente a che vedere con l’immagine zuccherosa coltivata nei salotti.“E’ un combattere in trincea…in difesa…in attacco…e in contrattacco…per guadagnare appena cinquanta metri”. La vita in trincea era un supplizio. Ogni piccolo movimento diventa un problema, difficile fare i propri bisogni, si rischiava di essere colpiti.
Il testo di Del Boca è pieno di informazioni, pressoché inedite, come quello della morte del capo di stato maggiore Alberto Pollio, appena qualche settimana prima dello scoppio della guerra. Per il giornalista è stato volutamente assassinato, da chi aveva deciso che l’Italia doveva modificare l’alleanza, non più con gli Imperi centrali, ma con la Francia e l’Inghilterra. Il tenente generale Pollio era una figura scomoda, per la sua posizione politica filo austriaco, quindi non poteva rimanere al proprio posto, occorreva eliminarlo.
Il 6° capitolo, Del Boca lo dedica alla “guerra combattuta a colpi di milioni”. La Grande guerra è stata preparata in casa dagli intellettuali, principalmente dai cosiddetti futuristi, tra cui Mussolini e D’Annunzio. Un’avanguardia culturale minoritaria all’interno del Paese. Peraltro la guerra diventava un grande business per le industrie italiane, che misero in campo tutte le amicizie, contatti e soprattutto corruzione, per convincere dell’ineluttabilità della guerra.
La guerra come “igiene del mondo”.
In pratica,“per favorire il disegno di portare l’Italia al fronte, si trattava di scaldare la testa a quel manipolo di scalmanati che il cervello l’avevano già bollente di loro”.
Si pensi che il delirio dei futuristi, la guerra era considerata “igiene del mondo”, “perchè consentiva una salutare pulizia delle scorie sociali. La ‘prova del fuoco’ doveva rigenerare la nazione, che solo con un ‘bagno di sangue’ avrebbe potuto superare la ‘società pantofolaia’, per irrompere nel ‘mondo nuovo’”.
Al partito della guerra si arruolarono in tanti, da Carducci a Giovanni Papini, che nello“speciale concorso degli irresponsabili, vinse il primo premio pubblicando l’editoriale ‘Amiamo la guerra’ e assaporiamola da buongustai finché dura”. Declinato così, in qualunque tempo, non può che apparire come la declamazione di un pazzo, il delirio di un criminale. Addirittura per questi signori la guerra diventava “un’operazione malthusiana”. In Italia,“siamo in troppi”, quindi, occorre eliminarne un po.
L’interventismo di Mussolini.
A questo proposito il libro di Del Boca smaschera l’interventismo di alcuni di questi avanguardisti come quello del futuro duce, Benito Mussolini. “L’Italia, senza guerra, avrebbe evitato la carneficina ma sarebbe rimasta un ibrido di provincia”. Pertanto secondo Del Boca, Mussolini, cedette “all’oro che gli offrivano per saltare il fosso del neutralismo e votarsi alla causa della guerra”. Un certo Filippo Naldi, direttore, suo collega, gli consegnò 30.000 lire, per modificare il suo pensiero. Addirittura Maria Rygier, una strana figura di massone anarchica, si vantò di essere stata l’ideatrice del cambiamento politico di Mussolini. Pare che anche gli inglesi misero mano al portafoglio, destinando 100 sterline al mese (ben 6.000 euro di oggi). Dopo Caporetto aumentarono. Per non parlare dello stesso D’Annunzio, che diede l’assalto alla casa di Giolitti, dopo aver intascato tanto denaro:“il vostro sangue grida, la vostra ribellione rugge…”, così il Vate incitò la folla.
Nel libro Del Boca mette in evidenza l’impreparazione degli italiani alla guerra, a cominciare dai generali, che eseguivano tutti gli ordini di Cadorna. “gli ufficiali applicavano al mestiere delle armi una mentalità impiegatizia: puntigliosamente attaccati al grado e al posto”.
I soldati italiani come servi della gleba.
Raccapriccianti i racconti di Del Boca su come venivano trattati i nostri soldati. “Cominciarono ad arruolare giovani da mandare al fronte in numero sempre maggiore. Servivano soldati per gli attacchi di volta in volta più violenti e più sanguinosi. La maggior parte di quei poveri ragazzi non tornava più indietro o – peggio ancora – tornava senza braccia e senza gambe, storpi, ciechi, con la testa squarciata, con il tarlo della follia che non li lasciava riposare nemmeno lontano dal fronte. Poteva importare a chi distribuiva gli ordini?” In pratica secondo Del Boca, “la teoria di chi dirigeva le operazioni militari era una sfida alle leggi della fisica, della meccanica e della statistica. Secondo loro, si trattava di avere a disposizione più soldati dei proiettili delle mitragliatrici avversarie. Se il fuoco nemico non riusciva a fermare tutti gli assalitori, qualcuno sarebbe arrivato alla trincea nemica e l’avrebbe espugnata. Un massacro pianificato”. Come chiamare, come definire, questi comandanti che si comportavano con i soldati, come se avessero a che fare con dei servi della gleba.
Il testo si occupa di tanto altro delle “trincee come gironi infernali”, dove “era più facile morire che vivere”. Erano delle“catacombe a cielo aperto che si rincorrevano per centinaia di chilometri”, delle tane, sparpagliate su un territorio sterminato. E che dire dei vari plotoni d’esecuzione fra il Carso e l’Isonzo, i nostri soldati se non morivano per mano nemica, potevano essere “ammazzati da un plotone d’esecuzione formato dai loro stessi compagni, per ordine dei comandanti”. Era il regolamento sadico del terrore, della giustizia sommaria, implacabile e sfrenata. In pratica,“si moriva davanti al nemico e si moriva per il capriccio dei propri ufficiali”. Gli ordini del generale Cadorna erano perentori, bisognava eseguirli, nessuno può sottrarsi. A questo proposito è interessante il volume, “Plotone di esecuzione”, scritto a quattro mani da Enzo Forcella e Alberto Monticone, edito da Laterza (2014). Una raccolta di sentenze che diventa un libro inedito su un tema tenuto nascosto per oltre cinquant’anni. Ragazzi uccisi per diserzioni, ammutinamenti, discorsi e corrispondenze disfattiste, casi di autolesionismo. Una maledetta guerra che ha eliminato oltre 101.665 militari condannati a morte da una giustizia sommaria. In occasione del centenario Del Boca, auspicava a un ripensamento e a un atto di giustizia nei confronti di questi ragazzi uccisi per niente.

Domenico Bonvegna