Vi racconto la Vara con tanta pazienza fra risate e bestemmie

di ANDREA FILLORAMO

Anche quest’anno la “Vara” è andata. Non so se bene o male. La festa “popolare”, credo “laica” in quanto non gestita dalla Chiesa locale ma dal Comune e da una Commissione, alla quale, però, fa parte anche un prete nominato dall’arcivescovo. Dopo le annuali polemiche che sempre la precedono, la Vara è stata fermata nella piazza della Cattedrale per essere ammirata dai turisti. Si è assistito, quindi, anche quest’anno, al traffico bloccato, ai parcheggi selvaggi, alle folle impazzite. “Non si è trattato – qualcuno sostiene – della fine del mondo, ma è bastato avanzare, con tanta pazienza fra risate e bestemmie”. Si è, così, ripetuta la “formula” che ha garantito la partecipazione di un numero sterminato di persone e di turisti. A posteriori molte sono le considerazioni che si possano fare su questa festa del giorno della festività dell’«ascensione» al cielo della Madonna. Mi si permetta di farne personalmente alcune. Noto, innanzitutto, nella Vara, evento popolare e folcloristico, una profonda ambivalenza fra: fede, superstizione e fanatismo, credulità e sentimentalismo, devozione e feticismo, tradizione e divertimento. Il sacro e il profano, quindi, si mescolano, non solo tra di loro, ma anche dentro ognuno di loro. Tutto diventa uno spettacolo grandioso, realizzazione plastica del “sublime” Kantiano che ha che fare soltanto con il “giudizio estetico” (vedi: critica del giudizio), che lo spettatore, da non confondere con il fedele, reitera quando torna a casa e fa vedere nei video deltablet ad amici e parenti la sua stessa visione e fa sentire quel grido continuo di “Viva Maria”, che “graffia” l’anima. Così faceva, ma diversamente, anche il pellegrino di Dante: «E quasi pellegrin che si ricrea / Nel tempio del suo voto riguardando / E spera già ridir com’ellostea» (Par. 31, 43-5). Credo che la Vara non procuri nessun mutamento esistenziale nell’animo, obiettivo di qualsiasi evento religioso, ma incentiva la ben nota ambivalenza dell’uomo-massa scristianizzato e consumista, incredulo e nostalgico, che si concede al sentimentalismo senza pensare che essoè il cancro che corrode la fede, spazzatura sdolcinata da cestinare e al feticismo, che è una forma di religiosità primitiva, che ricerca la soddisfazione solo affettiva. Mi sovviene quanto il grande umanista Erasmo da Rotterdam scriveva, che,come il messaggio di Gesù va ricondotto alla sua purezza liberandolo dalle sovrapposizioni dottrinarie, allo stesso modo la vita del cristiano ha bisogno di essere liberata da tutto ciò che di estraneo e deformante vi aveva aggiunto il corso dei secoli. Le sue sono pagine dense di ironia contro tutto ciò che sa di superstizione, feticismo, formalismo e che è abusivamente scambiato con il vero cristianesimo. Si spera che la Curia messinese, anche attraverso un suo rappresentante all’interno della Commissione Vara, nel rispetto, sì, della tradizione, riconverta, nei prossimi anni, tale festività, facendola diventare totalmente una festa religiosa dove la superstizione, il feticismo e il formalismo cedano il passo all’autentica fede.