IL SUICIDIO DELL’EUROPA NELLA GRANDE GUERRA

Per avere l’idea che cosa ha significato la 1 guerra mondiale per l’Italia, bisogna cominciare dai numeri. In un Paese che contava 34 milioni di abitanti, gli arruolati furono cinque milioni e 900.000. Nel 1920 si parlò di 517.000 “caduti”, che nel 1925 diventarono 572.000, mentre nel 1926 salirono a 677.000. Sembra però che da questi numeri mancano i morti in prigionia, che furono almeno 100.000, in più i reduci ricoverati negli ospedali psichiatrici. Ecco questi dovrebbero essere i numeri dell’”odiosa macelleria”, della guerra di trincea, descritti dall’ottimo e documentato studio di Lorenzo Del Boca, “Maledetta guerra”, pubblicato da Piemme nel 2015.
Per Del Boca, è meglio dire che la guerra mondiale costò all’Italia un milione e mezzo di vittime.“Ogni mille uomini, 105 non tornarono; ma la percentuale risultò poderosa nel Sud; 112 in Campania, 113 in Calabria, 138 in Sardegna, 210 in Basilicata”. Praticamente, paradossalmente, “alla gente ‘liberata’ dal Risorgimento toccò il sacrificio maggiore per ‘liberare’ anche le regioni del Nord-est”.
Per non parlare dei numeri di vittime riguardanti gli altri paesi in guerra, come l’Austria, la Germania, la Russia e la Francia, per ricordare quelli più impegnati nel conflitto mondiale. Un conflitto, quello della “Grande guerra”, che ha accatastato venti milioni di morti, probabilmente il più sanguinoso dell’intera storia umana, una vera carneficina (per non parlare delle epidemie collegate, altrimenti si superano i sessanta milioni). Solo a Verdun, nel 1916, i francesi persero mezzo milione di uomini tra morti e feriti e i tedeschi 400.000. “Quando la guerra terminò, – scrive Alberto Leoni – l’11 novembre 1918, le perdite umane avevano raggiunto livelli che, ancora oggi, appaiono inconcepibili, concentrate nelle popolazione maschile giovane. Percentuali di perdite del 73 per cento fra i mobilitati francesi o del 64 per cento per i tedeschi rendono l’idea”.(Alberto Leoni, “Il tremendo costo umano”, in Il Timone, aprile 2014)
L’attentato di Sarajevo.
Gli storici si sono interrogati sui vari motivi dello scoppio della guerra, sui libri di Storia, il punto fermo resta sempre l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico. Il libro di Del Boca, racconta scenari inediti, almeno per i libri scolastici. Praticamente Ferdinando era sgradito a tutti, anche agli austriaci, era un peso del quale si sarebbero volentieri liberati. L’incidente che lo coinvolse a Sarajevo, per Del Boca,“avrebbe risolto, contemporaneamente, due problemi: eliminare un personaggio ingombrante e costruire il pretesto per farla finita con i serbi”. Per questo hanno nascosto deliberatamente tutti i segnali negativi che provenivano da quel viaggio in Serbia.“Di fatto non vennero adottate nemmeno le minime precauzioni”. Insomma, lasciarono che Francesco Ferdinando si cacciasse nella trappola che gli era stata preparata”.Una superficialità che si potrebbe attribuire a un paese mediterraneo come l’Italia, non a degli austriaci, con la stessa testa e la stessa mentalità dei tedeschi.
La prima guerra democratica.
Così si arrivò all’inevitabilità della guerra, voluta, a quanto pare, da tutte le cancellerie europee, tranne però dalle popolazioni.“Furono non più di duecento uomini, fra politici e militari […] a decidere le sorti del mondo”. A questo proposito è interessante quello che scrive lo storico Francois Furet, in cento anni dal 1814 al 1914,“si sono combattuti soldati volontario professionisti, non popoli interi. Ma s’è trattato di guerre brevi, che non hanno inventato il connubio fra l’industria e la democrazia […]nessuna delle guerre europee ha sconvolto l’ordine internazionale in maniera duratura; nessuna ha messo in causa il regime, sociale o economico, delle nazioni in conflitto”. (Francois Furet, “Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo”, Arnoldo Mondadori editore, 1995)
Non sono più le guerre “monarchiche”, nelle quali si mobilitavano i fedeli eserciti, ma non tutte le forze del regno, si lottava per “arrotondare il loro territorio. I re potevano venir sconfitti sul campo di battaglia e conservare il trono. Con la guerra del 1914-18, finite le caste guerriere e gli eserciti professionali, finito il calcolo dei costi e benefici, il conflitto s’è esteso dalle Corone alle nazioni, dagli eserciti ai popoli”. In pratica,“l’intera attività di produzione si trova a essere subordinata agli imperativi della guerra e tutto l’ordine civile è allineato sull’ordine militare”. (Ibidem) Sostanzialmente da questo momento,“alle guerre parziali degli aristocratici e dei re succede la ‘mobilitazione totale’ degli Stati e dei ‘lavoratori’, l’ultimo ritrovato dello spirito di progresso e dell’umanesimo ‘tecnico’”.
Per Furet, la guerra del 1914, fu “una guerra democratica perchè è fatta da numeri: dei combattenti, dei mezzi, dei caduti”. Pertanto,“per questo motivo più che una vicenda militare è una vicenda civile; più che un combattimento di soldati, è una prova subita da milioni di persone strappate alla loro esistenza quotidiana”. Per le straordinarie e interessanti considerazioni è opportuno citare ancora Furet:“la guerra è combattuta da masse civili irreggimentati, passati dall’autonomia civile all’obbedienza militare per un periodo di tempo che non sanno quanto durerà, gettati in un inferno di fuoco dove più che calcolare, osare o vincere devono soltanto ‘resistere’”. E sempre in riferimento alle masse, Furet, descrive egregiamente come sono state immerse per anni in una battaglia “totale”.“Hanno sacrificato tutto all’immenso meccanismo delle guerra moderna, che ha falcidiato milioni di vite umane nel fiore degli anni, amputando popoli e lasciando vedove le nazioni […]La ferocia della guerra, a sua volta, più che spingere i soldati all’odio ha portato i civili a rincarare la protesta per i loro sacrifici. Gli scopi del conflitto si sono ingigantiti e si sono persi nell’immensità della guerra, diventando infiniti, come il campo di battaglia”.
Ritornando a Del Boca, in “Maledetta Guerra”, utilizza molto le le lettere e i diari dal fronte, peraltro, sempre trascurati – al più lasciati alle cure delle Pro Loco che, di tanto in tanto, potevano scoprire qualche scritto di un loro concittadino. Ma quei fogli raccontano un’altra guerra. Una guerra insensata, da combattere con armi vecchie, indumenti inadeguati, cartine sbagliate. Con i piedi a mollo nel fango delle trincee, i gomiti appoggiati sulla neve, facendo colazione a un passo dai corpi dei caduti. Altro che l’epica e l’eroismo, altro che medaglie al valore. Dalla voce dei soldati traspare il dolore, la sofferenza, la necessità di obbedire a ordini spesso insensati e la voglia di mandarli tutti a quel paese. "Il nostro peggior nemico era Cadorna" dichiara efficacemente uno di loro.
Rivelando segreti inediti, Lorenzo Del Boca racconta l’altra faccia della Prima guerra mondiale, quella che la retorica ufficiale e i libri di scuola nascondono. Perché dovremmo deciderci finalmente a onorare il debito di riconoscenza nei confronti dei nostri nonni.
Leggendo il testo di Del Boca, denso di laceranti combattimenti e dai macabri esiti, fa venire in mente quel pacifismo diffuso di oggi, e i tanti pacifisti di professione, che non ne vogliono sapere di rischiare la vita e di combattere contro i tagliagole dell’Isis.

Domenico Bonvegna
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