Festa della liberazione. Quando ci libereremo dalla retorica?

Che oggi sia festa se ne sono accorti quasi tutti. Soprattutto gli studenti che non vanno a scuola e i lavoratori che -lavorando abitualmente anche il sabato- hanno fatto un buon ponte. Ma che dico? Sono sacrilego? Non lo so. Ma se guardo il modo intorno, oltre i confini delle cronache nazionali dei media, nelle strade delle nostre città, nei giardini e nei luoghi primaverili delle vacanze “mordi e fuggi”, vedo volti distesi perchè è festa (come qualunque altra festa), lavoratori che lavorano per garantire alcuni servizi che se non avessimo, saremmo tutti in prima linea ad arrabbiarci, giardini urbani pieni di persone e bimbi festosi, gelatai presi d’assalto, così come i supermercati che -ignari degli scioperi ad hoc e delle retoriche di alcuni sindacati che sembra tutelino solo i lavoratori dipendenti, e solo di un certo tipo- … supermercati che sono pieni di persone che fanno le proprie spese in modo più tranquillo e meno frenetico dei classici giorni lavorativi, dove magari si sono recati con amici e famiglia, fanno con più accortezza i propri acquisti e le proprie scelte, e quindi spendono meno e meglio. Poi leggo i media. Schivo ed evito di approfondire dichiarazioni come “Stiamo parlando del fondamento etico della nostra nazione”, che il presidente Sergio Mattarella pronuncia per celebrare questa festa. Sono allergico alle etiche uguali per tutte e alle nazioni, figuriamoci all’etica della nazione… Fiumi di dichiarazioni in stile twitter, come slogan pubblicitari per vendere meglio i proprio prodotti. Nessuno manca. Mi fa sorridere l’ex-ministro Giorgia Meloni, nostalgica del regime mussoliniano, dimentica delle stragi razziali e non solo dei tedeschi, ed evocatrice di nuovi e diversi raduni (sempre etici, immagino) per il 24 maggio, su quel fiume Piave dove nella prima guerra mondiale del secolo scorso morirono in tanti, data e contesto che per lei evoca libertà e sovranità nazionale, ma che io non riesco a dimenticare per i massacri e per le centinaia di migliaia di obiettori di coscienza che si rifiutarono di imbracciare le armi per uccidere altri simili.
Io -consapevole che l’Italia, dopo la seconda guerra mondiale, è tornata democratica grazie essenzialmente ad americani, inglesi e loro alleati- sono uno che piange quando vede film sulle stragi (razziali e non) dei tedeschi durante il secolo scorso, così come piange quando vede oggi i salvataggi dei barconi dei disperati in mare, o le vittime dei terremoti stile Kathmandu… e mi rendo conto che è un pianto di liberazione per la tensione che il mio corpo accumula sentendosi impotente…. mi domando: quando, ognuno di noi, individualmente, farà la propria festa di liberazione dalla retorica? Sarà forse quello il momento in cui potremo aspirare ad essere ragionevolmente più forti? La retorica, e le sue manifestazioni collettive, non riesco a non leggerla come palliativo di ogni individuo, anche se in tante marcette -chiamate inni- ogni singolo e’ chiamato come parte di un solo corpo: collettivo, nazionale, di gruppo, di partito, di associazione, etnico, di popolo, di fede, di speranza, di interesse. Corpi che, almeno nella storia che fino ad oggi ho conosciuto, son sempre presagi di sventure di ogni individuo.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc