
Affondare Wall Street con stile (e un subprime) Nel 2008 il mondo scoprì che i castelli di carta non reggono alle tempeste, anche se li costruiscono le banche. La chiamarono “Grande Recessione”, come se fosse un’epopea, ma in realtà fu una gigantesca figura di plastica. Negli Stati Uniti i mutui venivano regalati con la stessa serietà con cui si lancia il riso ai matrimoni. Poi il mercato immobiliare implose e la finanza globale, improvvisamente smemorata, riscoprì l’esistenza della legge di gravità.
Da lì in poi fu un domino spettacolare: banche sull’orlo del baratro, credito congelato come un surgelato dimenticato nel freezer e un’economia mondiale che precipitò in recessione. In questo articolo ripercorriamo le cause, gli ingranaggi finanziari che hanno alimentato la bolla, gli eventi chiave di quel dramma collettivo, le risposte (più o meno disperate) delle autorità e le inevitabili conseguenze per risparmiatori ed economie.
Le cause iniziali della crisi: la bolla immobiliare e i mutui subprime. Negli anni 2000, gli Stati Uniti scoprirono un nuovo sport nazionale: comprare case come fossero figurine Panini. Prezzi in salita vertiginosa, tassi d’interesse bassi e banche con il portafoglio aperto come una nonna a Natale. Solo che, invece dei nipotini, a beneficiarne erano anche clienti che a stento avrebbero potuto permettersi un monopattino a rate, e invece si ritrovavano con villette a schiera e piscine da sogno. Tanto i prezzi delle case salivano sempre, giusto? Che poteva mai andare storto?
Il culmine e lo scoppio della bolla
Poi arrivò la Federal Reserve, con l’aria di chi vuole rovinare la festa: alzò i tassi d’interesse tra il 2004 e il 2006. E fu lì che i mutui a tasso variabile si trasformarono in ghigliottine mensili. Le famiglie cominciarono a scoprire che – sorpresa! – le rate non erano più sostenibili. Uno dopo l’altro, i pagamenti saltavano e i pignoramenti aumentavano. La domanda di case crollò, i prezzi immobiliari iniziarono a precipitare e le banche si resero conto che quelle garanzie “a prova di bomba” valevano ormai meno di un biglietto della lotteria già grattato.
Entro il 2007 i prezzi medi delle case erano scesi di oltre il 20% dal picco. Un evento rarissimo: di solito le case, se non valgono di più, almeno restano lì, ferme. Questa volta no: fu il classico momento “ops” della finanza globale. Lo spillo che fece scoppiare il palloncino pieno di aria fritta.
Il ruolo di banche, strumenti finanziari complessi e agenzie di rating Se i mutui subprime furono la miccia, il resto del sistema finanziario fu la polveriera, accuratamente riempita di benzina dalle stesse banche che poi gridarono allo scandalo.
Cartolarizzazioni e CDO: l’arte di vendere immondizia in confezione regalo Le banche intuirono che i mutui avariati potevano diventare un affare scintillante: bastava impacchettarli, dargli un nome altisonante come “Collateralized Debt Obligation” e spedirli in giro per il mondo. Così il rischio non spariva: veniva solo riciclato come una lattina di Coca-Cola, nascosto in qualche veicolo fuori bilancio, pronto a esplodere. Intanto gli istituti si rimpinzavano di liquidità per erogare nuovi mutui sempre più scadenti. Una catena di Sant’Antonio travestita da innovazione finanziaria.
Leva finanziaria: il gioco dell’elastico Con i regolatori che facevano spallucce, le banche decisero che un po’ di rischio non bastava: meglio moltiplicarlo per trenta. Alcuni colossi arrivarono a rapporti di leva di 30 a 1: bastava una perdita microscopica, un 3-4%, per cancellare tutto il capitale. Un sistema costruito sul filo del rasoio, dove finché si guadagnava tutti si dichiaravano geni, e quando arrivarono le perdite si scoprì che il re non solo era nudo, ma pure al verde.
Derivati e CDS: il casinò travestito da assicurazione Per rassicurarsi (o meglio, per continuare a scommettere), si inventarono i Credit Default Swap: polizze contro il default che venivano vendute come caramelle, senza preoccuparsi troppo delle riserve necessarie a coprirle. Il caso AIG è ormai leggenda: il gigante assicurativo promise copertura su decine di miliardi di dollari di titoli tossici senza avere i soldi in cassa. Quando i default arrivarono davvero, si scoprì che AIG aveva in tasca giusto qualche spicciolo. Risultato? Salvata dallo Stato, perché era “too big to fail”. Tradotto: se giochi d’azzardo con fiches che non hai, c’è sempre papà governo che ti paga il conto.
Agenzie di rating: gli oracoli distratti Poi c’erano loro, i sacerdoti del mercato: le agenzie di rating. Quelle che avrebbero dovuto dire la verità su quanto fossero rischiosi quei titoli opachi. Invece, in cambio di laute parcelle pagate dagli stessi emittenti, distribuirono giudizi AAA come fossero caramelle di Halloween. Il paradosso? Interi pacchetti di mutui subprime ricevettero la massima valutazione, più sicuri di un Bund tedesco. Poi, quando la realtà bussò alla porta, arrivarono i downgrade a raffica: da “oro puro” a “spazzatura” in poche settimane.
Shadow banking: i fantasmi della finanza E infine c’era lo shadow banking: il lato oscuro della forza. Fondi, conduits, veicoli vari che operavano fuori dai radar regolatori, finanziandosi a breve per comprare attivi a lungo termine. Finché la musica suonava, tutto bene. Poi, all’estate del 2007, gli investitori persero fiducia e smisero di rifinanziare questi veicoli. Risultato: un panico da corsa agli sportelli, ma in versione 2.0. Solo che stavolta non c’erano file davanti alle banche: bastava cliccare “non rinnovo”.
In sintesi
Un pugno di mutui marci avrebbe potuto essere digerito senza drammi. Ma in un sistema così gonfio di debiti, derivati e illusioni regolamentari, quelle perdite si trasformarono in un’epidemia globale. Quando la fiducia evaporò, ci si accorse che i bilanci di banche e fondi erano pieni di titoli tossici, venduti come caviale ma in realtà scatole di sardine scadute. Il risultato? Una crisi di fiducia totale, che in finanza equivale a una bomba atomica.
Cronistoria
Luglio–Agosto 2007 – I primi scricchiolii All’inizio sembrava solo un rumore di fondo: qualche fondo speculativo in difficoltà, un paio di veicoli che non riuscivano più a rifinanziarsi. Niente di che, giusto? In realtà era il preludio della sinfonia del disastro. La BCE fu costretta a iniettare liquidità d’emergenza, mentre in Gran Bretagna i risparmiatori di Northern Rock si misero in fila davanti agli sportelli come ai saldi di fine stagione. Risultato: nazionalizzazione lampo e 110 miliardi di sterline bruciati.
Marzo 2008 – Bear Stearns, il canarino nella miniera La quinta banca d’affari di Wall Street, Bear Stearns, crolla sotto il peso delle sue stesse scommesse. In pratica si ritrovò senza più benzina (leggi: liquidità), e nessuno volle più prestarle un centesimo. La Fed corse ai ripari orchestrando il matrimonio forzato con JPMorgan Chase, una sorta di “salvataggio con lo shotgun” per evitare la disfatta immediata.
Settembre 2008 – Lehman Brothers, l’esplosione nucleare Il 15 settembre 2008 segna l’apocalisse finanziaria moderna: Lehman Brothers, colosso con oltre 600 miliardi di attivi, va gambe all’aria. Nessun cavaliere bianco, nessun assegno statale: semplicemente fallita. Il governo USA decise che salvarla avrebbe creato un precedente pericoloso. Ironia della sorte, il non-salvataggio generò il panico assoluto: se Lehman poteva cadere, allora chiunque poteva. Le banche smisero di fidarsi l’una dell’altra, i mercati interbancari si congelarono come un lago in Siberia e il credito sparì all’improvviso.
Settembre 2008 – AIG, “troppo grande per fallire”
Nemmeno il tempo di metabolizzare Lehman che un altro gigante stava già barcollando: AIG, il più grande assicuratore del mondo, si era riempito di CDS come fossero biglietti della lotteria. Peccato che tutti risultarono perdenti contemporaneamente. In meno di 24 ore rischiava il collasso totale, trascinando giù mezzo pianeta. Qui, invece, il governo USA decise che “no, questa non possiamo lasciarla affondare” e scrisse un assegno da 85 miliardi (poi diventati molti di più). Nazionalizzazione di fatto, e tutti a casa.
Autunno 2008 – The day after tomorrow
Da lì in poi il clima diventò artico. Il credito si fermò ovunque, gli investitori scapparono come topi da una nave che affonda e i mercati mondiali vissero un ottobre nero da manuale: l’S&P 500 perse quasi la metà del valore in un anno, le economie iniziarono a contrarsi come non accadeva dai tempi della Grande Depressione. In poche settimane il sistema finanziario passò dal “boom eterno” al “collasso imminente”. Il circolo vizioso era servito: niente credito ? niente fiducia ? niente crescita ? più fallimenti ? ancora meno credito. Un perfetto esempio di come trasformare una crisi gestibile in un disastro epocale.
Le risposte di governi e banche centrali Se la casa brucia, ti aspetti i pompieri. Ma qui i vigili arrivarono con autobotti piene di benzina: bail-out colossali, valanghe di liquidità e stimoli fiscali da colossal hollywoodiano.
Negli Stati Uniti, il Congresso approvò il TARP, un piano da 700 miliardi di dollari inizialmente pensato per “ripulire” i bilanci dalle immondizie tossiche. Alla fine servì a comprare azioni delle banche, ricapitalizzarle e, già che c’erano, aiutare pure qualche colosso dell’auto (GM – Chrysler). In totale, sommando TARP, garanzie e linee di emergenza della Fed, l’impegno pubblico salì a 7.700 miliardi di dollari: il più grande regalo di Natale mai fatto a Wall Street, solo che era settembre. In Europa la musica non cambiò: nazionalizzazioni, prestiti straordinari, garanzie gigantesche. Oltre 3.000 miliardi di euro sparati sul settore finanziario. Tutto, naturalmente, a debito pubblico: perché se i banchieri sbagliano, il conto lo pagano i contribuenti.
Politica monetaria espansiva: tassi a zero, illusioni infinite
Le banche centrali, in coro, fecero cadere i tassi d’interesse a livelli da “prestito tra amici”. La Fed passò in pochi mesi dal 5% a quasi zero, mentre la BCE e la Bank of England seguirono a ruota. Ma non bastava: servivano misure “non convenzionali”, un eufemismo per dire “stiamo stampando soldi come se non ci fosse un domani”. Nacque così il quantitative easing: montagne di titoli di Stato e mutui ipotecari comprati con denaro creato dal nulla. Una gigantesca flebo di liquidità che, se non altro, tenne in vita un paziente già in coma.
Stimoli fiscali: il doping dell’economia Per evitare che l’economia reale facesse la stessa fine di Lehman, i governi lanciarono maxi-piani di stimolo. Negli USA, l’American Recovery and Reinvestment Act da 800 miliardi cercò di rianimare occupazione e domanda interna. In Europa e Asia piani simili, anche se più piccoli. E intanto, le autorità di vigilanza vietavano le vendite allo scoperto su titoli bancari, come se bastasse bloccare i ribassisti per rendere solide banche che erano già scheletri traballanti.
Morale della favola
Se la crisi del 1929 insegnò che l’inazione può trasformare una recessione in catastrofe, nel 2008 l’azione fu massiccia. Talmente massiccia che le economie non finirono in depressione totale… ma i debiti pubblici sì. In fondo, il sistema fu salvato a colpi di assegni statali e tassi a zero, cioè le stesse medicine che avrebbero poi creato nuove distorsioni negli anni successivi. La malattia fu contenuta, certo, ma il virus rimase in circolo.
Conseguenze sull’economia reale e sui mercati finanziari globali
Se qualcuno pensava che la crisi del 2008 fosse solo roba da banchieri e speculatori, si è dovuto ricredere in fretta. L’onda d’urto arrivò fino al salotto di casa: conti prosciugati, case pignorate, lavori persi e pensioni dimezzate.
Recessione globale: il primo “game over” dal dopoguerra Il 2009 segna un record tutt’altro che invidiabile: per la prima volta dal 1945 il PIL mondiale si contrae. Nelle economie avanzate la botta è stata un -3% medio, con punte peggiori. Gli Stati Uniti hanno vissuto la recessione più lunga e profonda del dopoguerra, mentre l’Eurozona ha visto il suo PIL evaporare di circa il 5%. E per non farci mancare nulla, il commercio mondiale è crollato di oltre il 10%. Insomma, una sincronizzazione perfetta: tutti giù per terra.
Disoccupazione e redditi: la carne viva della crisi Negli USA il tasso di disoccupazione passò dal 5% al 10% in un lampo: oltre 15 milioni di persone senza lavoro. In Spagna, un quinto della popolazione attiva rimase a casa. Oltre al posto di lavoro, molti persero anche il tetto: milioni di famiglie statunitensi furono sfrattate dopo aver saltato le rate del mutuo. Il sogno americano trasformato in incubo, con sfratto esecutivo.
Mercati finanziari: patrimoni in fumo
Gli indici azionari persero oltre la metà del valore tra il 2007 e il 2009. Tradotto: i fondi pensione e i portafogli dei risparmiatori si dimezzarono. Le case, che dovevano “valere sempre di più”, persero un terzo del loro prezzo negli USA. In totale, decine di migliaia di miliardi di dollari di ricchezza si volatilizzarono. Una magia alla David Copperfield, senza applausi finali.
Stretta creditizia: banche in coma, imprese a dieta forzata Le banche, impegnate a sopravvivere, chiusero i rubinetti del credito. Risultato: anche imprese sane non trovavano più prestiti, investimenti rinviati, aziende fallite e ancora più disoccupati. Il circolo vizioso della crisi si trasferì dall’alta finanza al negozio sotto casa.
Risparmiatori comuni: tra incudine e martello Chi aveva investito in azioni o fondi pensione vide i suoi risparmi liquefarsi. Chi stava tranquillo in obbligazioni corporate si ritrovò con titoli svalutati. I più prudenti, rifugiatisi nei titoli di Stato, furono “premiati” con rendimenti da fame: depositi e bond sicuri pagavano praticamente zero. Una beffa storica: dopo essersi salvati dal crack, i risparmiatori prudenti furono puniti con anni di tassi minimi.
Prezzi e valute: montagne russe globali
Il dollaro inizialmente perse colpi, poi si riprese grazie al suo status di valuta rifugio. Lo yen e il franco svizzero divennero improvvisamente gli amici fidati di tutti. Il petrolio passò da 140 dollari al barile a 40 in pochi mesi: benedizione per gli automobilisti, catastrofe per i produttori. Interi settori dell’energia finirono a gambe all’aria.
Una cicatrice indelebile
La crisi non si esaurì con qualche trimestre negativo: lasciò un segno permanente. Secondo il FMI, anche dieci anni dopo, molte economie erano ancora sotto i livelli di crescita pre-crisi. Il capitale umano bruciato, le aziende mai nate, gli investimenti saltati: un costo invisibile ma devastante. Per i cittadini comuni, la lezione fu chiara: quando il castello di carte della finanza cade, i macigni finiscono in testa a chi non c’entra nulla.
Riforme introdotte dopo la crisi e loro impatto Dopo il disastro del 2008, i regolatori si sono accorti che forse, e dico forse, lasciare i banchieri a giocare d’azzardo senza regole non era stata un’idea brillante. Così hanno deciso di riscrivere le regole del gioco. Peccato che, come sempre, il regolamento arrivi dopo la partita persa.
USA – Dodd-Frank Act: la nuova Bibbia di Wall Street
Nel 2010 il Congresso americano ha approvato il Dodd-Frank Act che prometteva di rendere il sistema finanziario più sicuro. Tra le misure più famose: la Volcker Rule, che vietava alle banche di fare scommesse speculative coi soldi dei correntisti (tradotto: non usare il conto della nonna per puntare alla roulette finanziaria). Sono arrivati anche stress test annuali, nuovi requisiti di capitale, la creazione del CFPB (Consumer Financial Protection Bureau) per difendere i cittadini dai prodotti “creativi” delle banche, e regole più stringenti sui derivati, finalmente spostati in clearing house trasparenti. In pratica, un tentativo di mettere guinzagli ai pitbull dopo che avevano già sbranato mezzo condominio.
Funziona? In parte sì: oggi le banche americane sono più solide e meno indebitate, anche se alcuni business rischiosi sono semplicemente emigrati nel sistema ombra. E, ovviamente, nel 2018 qualcuno ha pensato bene di alleggerire alcune regole (Economic Growth, Regulatory Relief, and Consumer Protection Act): perché la memoria, si sa, dura quanto un ciclo elettorale.
Europa e livello internazionale: Basilea III e amici Anche in Europa non si sono fatti pregare. Dopo aver visto Northern Rock, UBS e compagnie varie ballare sull’orlo del baratro, l’UE ha creato nuove autorità di vigilanza (EBA, ESMA, EIOPA, ESRB) e ha accentrato la supervisione bancaria nella BCE con l’Unione Bancaria. A livello globale, il G20 ha promosso il Financial Stability Board e ha spinto per Basilea III: più capitale di qualità, limiti di leva, requisiti di liquidità (LCR e NSFR).
C’è stata anche la stretta sulle agenzie di rating (quelle che avevano scambiato spazzatura per AAA), e qualche moral suasion sui bonus manageriali, con clausole per riprendersi i premi se l’istituto poi esplode. Una sorta di “cashback del disastro”.
Impatto: cure ricostituenti, ma non vaccino definitivo Un decennio dopo, i risultati si vedono: banche più capitalizzate, bilanci meno tossici, mercati dei derivati un po’ più trasparenti. Per i risparmiatori, significa un sistema che – in teoria – è meno incline a collassare da un giorno all’altro. Ma non è tutto oro: alcune attività rischiose si sono spostate nell’ombra, i colossi “too big to fail” sono in certi casi ancora più grandi, e in fondo tutti sanno che, in caso di panico globale, i governi correrebbero ancora con gli assegni in mano.
Morale della favola
Le riforme post-2008 hanno sicuramente reso il sistema più robusto. Ma la finanza è un organismo vivo, e ogni volta che chiudi una falla, spunta una crepa nuova. Dopo i mutui subprime oggi si parla di rischi climatici, cyber attacchi, cripto, shadow banking 2.0.
L’unica vera certezza è che la prossima crisi arriverà da un punto che nessuno – o quasi – avrà previsto. E quando succederà, ci sarà sempre qualcuno pronto a dire: “stavolta è diverso”.
Il 2008 ci ha lasciato un manuale di errori scritto col sangue dei risparmiatori: la finanza senza regole si trasforma in un casinò, le banche troppo grandi per fallire hanno sempre il paracadute dei contribuenti, e i piccoli investitori finiscono tra le macerie.
Certo, il sistema oggi è più robusto, ma l’industria finanziaria è maestra nel reinventare i rischi più in fretta di quanto i regolatori riescano a individuarli. I derivati di allora sono le cripto e i veicoli ombra di oggi. La prossima crisi arriverà, e con essa l’immancabile copione: stupore generale e il solito ritornello – ‘nessuno poteva prevederlo’.
Alessio Vannucci, consulente finanziario indipendente, collaboratore Aduc