
Prologo – Il suono di una bolla che scoppia All’alba del nuovo millennio, Wall Street somigliava più a Las Vegas che a un mercato finanziario. Ogni clic era un dollaro. Ogni startup con “.com” nel nome era una promessa di gloria. Bastava un’idea vaga, una slide confusa e un paio di venture capitalist con troppa liquidità e troppo poco sonno.
Poi, un giorno, il sipario cadde.
E con lui, trilioni di dollari evaporarono in una nube di codice HTML, stock option e sogni infranti.
Quella che passò alla storia come la bolla delle dot-com non fu solo un crollo di mercato. Fu l’equivalente finanziario di un rave nel deserto: euforia collettiva, zero regole, e il risveglio con il portafoglio vuoto.
Fu il momento in cui l’umanità scoprì che sì, Internet avrebbe cambiato il mondo…ma non nel modo in cui pensavano i trader del Nasdaq.
E oggi? Con l’Intelligenza Artificiale al centro di una nuova corsa all’oro digitale, il déjà-vu è troppo forte per essere ignorato.
Capitolo II – La mente in tilt: FOMO, greggi impazzite e altri effetti collaterali Quando Alan Greenspan parlò di “euforia irrazionale”, era il 1996. Un invito alla prudenza? Forse.
Un avvertimento ascoltato? Neanche per sogno.
In effetti, quel termine divenne quasi un marchio di fabbrica.
“Euforia irrazionale”? Ottimo slogan per una maglietta. O per un’IPO.
La bolla delle dot-com fu un laboratorio vivente di finanza comportamentale in acido.
La razionalità venne chiusa in un armadio, e a dominare fu il cocktail micidiale dei bias cognitivi:
Comportamento gregario: Se tutti comprano, ci sarà un motivo, giusto? (No.)
FOMO: Meglio comprare a caso che restare fuori dalla festa. Al massimo perdo poco.
(tutto.)
Overconfidence: “Io so scegliere le aziende giuste. Non sono come gli altri.” (Lo dicevano in milioni.)
Fallacia narrativa: “Internet cambierà tutto.” Vero. Ma nel frattempo, le aziende continuavano a perdere denaro a secchiate.
In quegli anni, se avevi una società con “.com” nel nome e un logo futurista, bastava un pitch di due minuti per trovare finanziatori.
Bilancio? Flusso di cassa? Marginalità? Relitti del passato.
L’unica metrica rilevante era: “quanto può crescere prima di esplodere?”
La grande macchina del denaro: venture capital e IPO come se piovesse Nel frattempo, sul lato oscuro della luna, i venture capitalist stavano pompando carburante nella bolla come addetti alla benzina durante un incendio.
Nel solo anno 2000, quasi il 40% di tutto il capitale di rischio americano finì in società Internet.
Il messaggio era chiaro: “Non importa cosa vendi. Basta che sia online.”
E mentre i soldi fluivano, le IPO diventavano l’equivalente finanziario del Super Bowl.
Nel 1996 furono 276. Nel 1999 si toccò quota 370.
E non erano aziende consolidate: spesso erano progetti con un’idea vaga e un nome accattivante.
Ma nel primo giorno di contrattazione… boom. Prezzi triplicati, quadruplicati, moltiplicati per sette.
Il caso più assurdo? VA Linux Systems: +698% in un giorno.
Una performance degna di un lancio missilistico. Ma con un razzo che, come vedremo, si sarebbe schiantato ben presto.
Gli investitori non cercavano valore. Cercavano adrenalina. E sembrava che le IPO fossero la nuova lotteria nazionale — solo che qui tutti vincevano… almeno per un po’.
NASDAQ: cronaca di una scalata suicida
A tenere il conto del delirio c’era lui: il NASDAQ Composite.
Indice dei titoli tecnologici, termometro dell’irrazionalità e specchio fedele della febbre da clic.
Nel 1995 superò i 1.000 punti.
Nel marzo 2000 arrivò a toccare i 5.132,52 punti in intraday.
Quattro volte tanto. In cinque anni.
Per capirci: era come se la temperatura di un corpo umano salisse da 36° a 145°. E nessuno che chiamasse l’ambulanza.
Alla chiusura del 10 marzo 2000, il valore complessivo delle aziende quotate al NASDAQ superava i 6.700 miliardi di dollari.
Un’enormità. Soprattutto considerando che molte di quelle aziende non avevano mai fatto un centesimo di profitto.
Era come se il mercato avesse deciso di andare in pensione anticipata, spendendo oggi tutto quello che pensava di guadagnare nei prossimi vent’anni.
CONTINUA…
Alessio Vannucco, consulente finanziario indipendete, collaboratore Aduc