Valentina Cittarelli – Psicologa: Per essere ottimisti bisogna conoscersi, rispettarsi, amarsi. Conoscere, rispettare, amare l’altro

Valentina Cittarelli – Psicologa a indirizzo dinamico-clinica, dell’infanzia, adolescenza e famiglia presso Università “Sapienza” di Roma.
Libero professionista, riceve a Roma e Terracina, per consulenze individuali, di coppia e di gruppo.
Si occupa anche di sostegno alla genitorialità, e di psicologia dell’età evolutiva e adolescenziale.
Psicologa presso diverse Residenze per Anziani a Roma, dove elabora e conduce laboratori per la riabilitazione cognitiva e motoria.
In attivo su diversi progetti di Psicologia e lo Sport, essendo anche un amante dello Sport come amore per sé stessi e il proprio benessere totale. È operatore clinico di Training Autogeno, applicato a bambini, adulti e donne in gravidanza (per la gestione dell’ansia, stress e consapevolezza corporea).
Con la convinzione di non poter dividere le due passioni, la musica jazz e la psicologia e con la certezza di non poter rinunciare a nessuna delle due, ha trovato nell’Arteterapia l’incastro perfetto come ulteriore strumento di cura. È stata Psicologa presso il Pronto Soccorso Psicologico di Roma.
Coordinatrice Pedagogica per 4 anni in un asilo nido di Roma.
Ama il jazz, il mare e crede nella gentilezza e in chi ha l’accortezza di farne uso per sé stessi e per gli altri.

CHE SALUTE GODONO LE DONNE?

Non saprei rispondere a questa domanda in modo completo, perché gli aspetti da guardare sono tanti e diversi. Per  alcuni, come la salute fisica, sono stati fatti passi da gigante, per altri sembra quasi di essere tornati indietro, per altri ancora, sembra essersi persi completamente, come ad esempio i femminicidi. Ci vorrebbe un’intervista per ogni aspetto.

Nella sua esperienza professionale quali sono state le fragilità che ha più riscontrato e quali consigli si sente di dare a chi subisce violenza o abusi?

La difficoltà che si evidenzia spesso, è nella comunicazione con l’altro, di qualunque  relazione si parli, di coppia, genitoriale, amicale, si fa una gran fatica a comprendere, quanto dice e sente l’altro, soprattutto perché non lo si ascolta veramente.

Solitamente, si tende sempre a dare una risposta, una soluzione a un problema che l’altro ci pone, ma se ci spostiamo un attimo da questa visione ristretta, ci rendiamo conto che spesso, l’altro, vuole solo essere ascoltato e compreso nel suo dolore, nelle sue parole , nel suo sentire, non avere per forza una soluzione.

Questa difficoltà nell’ascoltare, porta inevitabilmente a non sentirsi considerati, compresi, accettati e quindi incomprensione, frustrazione, fino al conflitto.

In più, spesso queste incomprensioni riaprono ferite o paure profonde, probabilmente non elaborate  del tutto o addirittura inconsapevoli, scatenando un ulteriore senso di insicurezza che inevitabilmente allontana.

È chiaro che, le fragilità non portano tutte alla violenza, nei  casi di violenza, parliamo di una personalità con fragilità e difficoltà da un punto di vista bio-psico-sociale, non affrontate, evitate, croniche e disfunzionali o anche patologiche.

Quello che possiamo fare però è conoscere  le proprie mancanze, i propri bisogni, le proprie paure,  perché ci aiuta a differenziare cosa è sano per noi e cosa non lo è, saper scegliere il buono per noi e soprattutto comprendere la differenza tra amore e non amore.

Comprendere che, sì l’amore implica rispetto, cura, attenzione, delicatezza gentilezza e confronto, se queste cose mancano, non è amoree bisogna andare via.

Inoltre, saper chiedere aiuto, non aver timore di essere giudicati e fidarsi delle sensazioni di paura che ci arrivano, perché se arrivano hanno un senso, ascoltiamolo e ascoltiamoci perché prima di saper ascoltare l’altro bisogna imparare ad ascoltare sé stessi.

Si ricorda qualche storia che tra le tante l’ha più colpita?

 Eh! È come decidere quale figlio ami di più! Ogni persona che incontro e mi affida qualcosa di sé, ha sempre una storia interessante, che lascia qualcosa in me, nelle sue sfaccettature e nelle sue reazioni, inevitabilmente. Però, se dovessi proprio rispondere quale mi ha toccata particolarmente, forse per la serenità con cui  ha raccontato l’unica certezza che tutti abbiamo e che forse in qualche modo temiamo, è stata una persona arrivata in terapia, sapendo di dover morire a causa di una malattia.

Una consapevolezza e  calma disarmante, un’accettazione ed una preoccupazione per gli altri e non per sé, mi ha insegnato molto, umanamente e spiritualmente.

Io vivevo un momento personale molto difficile, ma questa persona mi ha ridato ulteriormente il valore delle cose, delle piccole gratificazioni, del senso di ogni cosa. Non che io l’avessi persa, ma quando sei travolto da tanti dolori perdi l’equilibrio nelle tue cose, ecco, questa persona è come se mi avesse riportato alla realtà. Io le sono molto grata, d’altronde ogni paziente arriva a te non a caso, ci insegna sempre qualcosa.

 È possibile prevenire la violenza di genere?

Si può sempre fare qualcosa, sempre! Come a esempio, riprendere a trasmettere in ogni istante il valore della persona, fin da quando si è nel grembo, nei diversi momenti della giornata, al supermercato, al ristorante, a scuola, in famiglia prima di tutto, con gli amici, ad esempio,  ricordare il valore del “grazie  e per favore”  in modo sincero ed onesto, con sé stessi e l’altro.

Insegnare il valore della gentilezza, essendo gentili, prima di tutto con chi vogliamo che impari tale valore ed esserlo.

Non servono cose eccezionali, si parte sempre dalle piccole cose, che non sono mai piccole e non sono cose.

E poi ripeto, quanto detto nella precedente domanda, comprendere prima di tutto noi stessi , i nostri bisogni, paure, mancanze, fragilità, questo ci aiuta a prendere la direzione che fa bene a noi, che rispetta il nostro essere, totalmente, che rispetta l’altro e ci aiuta a capire la differenza tra amore e non amore.

Un terreno di coltura della futura violenza sia quello in cui in famiglia si assiste a violenza psicologica dell’uomo verso la donna?

La violenza psicologica, implica un’abitudine non sana alle parole, comportamenti, manipolazioni, atteggiamenti e quindi idee e pensieri, sul proprio modo di essere uomo e di essere donna. Il problema credo sia proprio qui, l’idea che si ha di come si dovrebbe essere, non rispettando ciò che si è realmente e unicamente, come persona. Questa visione, costruisce una relazione asimmetrica, dove non c’è confronto e non c’è rispetto, quindi siamo in una relazione disfunzionale e  molto spesso di dipendenza sotto diversi punti di vista, ad esempio affettivo ed economico.

Non parlerei solo di violenza dell’uomo verso la donna, la violenza è violenza da qualunque parte arriva.

La famiglia è il primo gruppo di inserimento di ogni essere umano, dove si interiorizzano, comportamenti, atteggiamenti, modi di parlare, di esprimersi, di provare emozioni,  dalle figure significative, ma abbiamo anche una parte nostra, un Io interno, tutto nostro che può fare la differenza e scegliere come essere, ma per farlo ha bisogno di un terreno che nutra questa parte.

Per questo amo il mio lavoro perché può salvarti la vita e salvarla agli altri.

 La vera libertà in un rapporto è poter fare sempre ciò che si vuole?

No! La libertà in una relazione, è poter essere sé stessi, completamente, nelle proprie capacità, risorse, pregi e nei propri limiti, essere accettati ed essere amati per ciò che si è realmente. Una relazione sana, rispetta prima di tutto l’individualità propria e quella dell’altro, avere spazi propri, da soli, con i propri amici e di condivisione, nel rispetto di sé stessi, dell’altro e per la costruzione del “noi”.

D’altronde, provate a pensare a qualcuno che sappia tutto di te, quando esageri, quando hai paura, quando ti difendi, quando ridi, quando sei arrabbiato, o quando sei felice e ti ama in ognuno di questi momenti, a prescindere. Rende serenità e pace, dona anche la voglia di migliorarsi.

Parola chiave? Autenticità e Amore.

Aiuta saper mettersi nei panni dell’altro/a e anche imparare a perdonare superando posizioni di orgoglio?

Si chiama empatia, una delle abilità dell’intelligenza emotiva, elemento essenziale in tutte le relazioni, perché consente di comprendere l’altro, anche se quel determinato aspetto dell’altro non ci riguarda direttamente.

Anche solo poter dire, non ho mai vissuto questa cosa ma comprendo il tuo dolore, fa sentire l’altro in pace con sè stesso e con la possibilità di esprimersi con te pur non avendo la stessa esperienza.

Il perdono invece, può cominciare con l’empatia ma ha un altro percorso, bisogna prima fare i conti con il proprio dolore e per molti, anche con il proprio orgoglio, lasciar andare e perdonare.

Perdonare non vuol dire dimenticare o subire, vuol dire lasciar andare quella sofferenza e non trattenerla, per il proprio bene innanzitutto, e soprattutto se si decide di perdonare qualcuno importante per noi, che si vuole mantenere nella propria vita.

Si può anche perdonare e andare via da quella persona. Emotivamente, è fondamentale non trattenere nulla, si lascia andare e tutto fluisce..

La cosa più difficile, è perdonare sé stessi e se non fai tutto prima con te stesso non puoi farlo con nessun altro.

Troppi uomini non sanno parlare di sé, delle proprie emozioni. Come aiutarli?

Anche qui, questione di ruoli, idee, stereotipi, pregiudizi, generazioni e di abitudini…le emozioni sono una parte sana e imprescindibile dell’essere umano, sia quelle piacevoli che meno piacevoli, portano sempre una possibilità di crescita e conoscenza di noi stessi.

Una visione comune è, chi piange o ha paura, non è forte.

Apparentemente potrebbe sembrare una concezione ormai vecchia, ma non lo è così tanto, è un concetto ancora insito in noi, che socialmente e superficialmente è stato trasformato da belle parole ma inconsciamente è visto ancora con vergogna e quindi limita il poter esprimere cosa si prova e perché.

Trovo, onestamente, più coraggioso, chi può permettersi di dire: “oggi sono triste, mi sento fragile e giù”, piuttosto che, chi fa finta di stare sempre bene e dentro si racconta una favola che lo deteriora lentamente.

Non si è mai liberi, non ci si può lasciare mai andare, non si può mai fermare, crollare….quanto si può tenere così? E soprattutto dove porta?

Quindi, tornando alla tua domanda, ci sono sempre cose nuove da scoprire, come abitudini più sane e buone per noi, vivere le emozioni ed esprimerle, può essere una di queste e un nuovo inizio da scoprire. La domanda che dobbiamo farci però è, io voglio essere diverso da questo che sono ora?”

I social hanno fatto passare il messaggio che chi vince è figo, chi perde uno sfigato. Funziona sempre così?

Considerando che molte volte si vince per scorciatoie, non per merito, direi di no.

La società di oggi ne è un chiaro esempio, dove i social rispecchiano le persone, la quotidianità delle persone, cosa trasmettono agli altri e cosa vogliono.

Ricordo il racconto di un papà arrabbiato e preoccupato per la figlia di 10 anni che era triste tutti i giorni, perché le amichette a scuola le mostravano il pollice in basso quando la incontravano a scuola, quindi un non like, come sul social, e questa cosa voleva dire che lei non piaceva a loro e veniva esclusa.

Ecco, mi chiedo queste bambine, per quanto possano essere in una società moderna fatta di social, tecnologia ed un mondo a volte irreale perché dietro uno schermo, però, i valori quali sono?

Molti genitori ridono quando vedono queste cose, non comprendono che trasmettono un messaggio fortissimo e chiaro ai propri figli, che quel comportamento è divertente, quando invece è pericoloso e doloroso.

I social hanno “nascosto” tutto e sembra che le cose importanti ormai siano messe in secondo piano e che tutto sia possibile, anzi “scrivibile”, con un semplice click, invece noi perdiamo il valore dell’altro in quanto Essere, che si trova dietro un pc o un telefono, che non vediamo ma c’è a cui si può far male, tanto.

Ai giovani che fanno dello sport non andrebbe insegnato il valore di una sconfitta?

Direi proprio di sì. Bisogna trasmettere come saper perdere a un gioco, trasmette il concetto di  credere che, quando si perde, non si toglie valore a noi, si ricomincia, sempre e si impara. Ma se vogliamo tutti figli vincenti per competere con altri, come si può trasmettere il valore di una sconfitta? Se noi per primi vogliamo sempre essere primi, come possiamo trasmettere ai figli che possiamo essere secondi e che non succede niente di grave ma che ci sono altre possibilità? Cadere, rialzarsi e riprovare, piangere, asciugarsi le lacrime e sorridere e ricominciare, perché fondamentalmente, questa è la vita.

Una ricetta per essere più ottimisti nel 2023?

Conoscersi, rispettarsi, amarsi. Conoscere, rispettare, amare l’altro.