Valentina Arcidiacono: all’interno di una minuscola camera detentiva si moltiplica il battito del cuore

Come è possibile far sì che la pena abbia davvero una funzione rieducativa e non sia una condanna definitiva, come prevede l’articolo 27 della nostra Costituzione? IMG Press sta raccontando le storie di persone, con esperienze diverse, per rompere quel muro che viene eretto tra chi sta fuori e dentro una struttura penitenziaria. Inoltre, promuoviamo iniziative culturali con cui condividiamo obiettivi per essere sempre di più un foglio on line inclusivo, sensibile alle urgenze del contemporaneo. Oggi raccontiamo l’esperienza di Valentina, Valentina Arcidiacono, per la precisione, criminologo clinico-penitenziario per il Ministero della Giustizia, socio Criminologo presso AnFOC, Docente -Scuola Polizia Penitenziaria.

Valentina Arcidiacono che bisogna fare per rimettere ordine nelle carceri italiane?

Vivificare e attualizzare, ogni giorno, gli elementi del trattamento  che il nostro Ordinamento Penitenziario ha individuato nel lontano 1975. Bisogna restituire  dignità  agli uomini  ed alle donne  che si trovano in stato di privazione della libertà, attraverso l’individuazione e l’assegnazione    di attività professionali  che  affranchino i soggetti reclusi. Il ruolo  dei privati potrebbe diversificare le offerte professionali presenti nei contesti penitenziari, a oggi piuttosto scarne e ridotte. Oggi, risulta difficoltoso alle ditte ottenere occasioni per  poter varcare i cancelli degli Istituti di Pena e questo, a mio avviso, è un aspetto che deve trovare una soluzione  fluida e naturale  nel breve tempo.  I corsi di formazione poi dovrebbero rispecchiare l’attualità del mondo odierno. Spesso si offrono  limitati corsi professionali  che risultano essere superati dalle leggi di mercato e soprattutto obsoleti per le richieste di lavoro attuali. Altro elemento da fortificare, attraverso la costante promozione, è certamente l’Istruzione. Consideri che non tutti gli Istituti possono garantire l’attivazione di percorsi di studio  per ogni ordine e grado, e a risentirne sono molto spesso le sezioni femminili che vantano, in negativo, una offerta istruttiva che spesso arriva ai soli corsi di alfabetizzazione o alle scuole secondarie di primo grado al massimo, discriminandole rispetto ai detenuti uomini che possono aspirare ad essere inseriti all’interno dei Poli universitari ovvero sezioni destinare a ospitare studenti iscritti all’Università. Il volontariato, inoltre, dovrebbe essere più accessibile con progetti intra ed extramurari e ciò permetterebbe a tutti i detenuti di poter  coinvolgersi nel volontariato. Il sentirsi utili migliora l’autostima di ogni uomo e quindi anche quella del detenuto che spesse volte vive momenti di grande frantumazione interiore e disistima verso sé stesso. Aprirei il carcere a molte più discipline sportive, permettendone la pratica quotidiana.

Dal suo punto di vista le priorità più urgenti?

Garantire la  coltivazione costante  degli  affetti  a tutti i detenuti senza sottoporli a strappi dannosi. Attualmente alla  già durissima privazione della libertà aggiungiamo anche quella  dell’affettività, moltiplicando così  la platea dei condannati. Oggi, infatti, a vivere la reclusione oltre ai detenuti devono essere compresi anche i loro figli, i genitori e i compagni di vita degli stessi reclusi; soggetti incolpevoli ma condannati a questa deprivazione dolorosa e dannosa. I nuclei familiari dovrebbero poter consumare un pasto insieme almeno una volta alla settimana e stesso concetto dovrebbe essere previsto anche  per quanto concerne il diritto all’affettività di coppia. Disegni già previsti ma non realizzati.

 

L’unica cosa di cui valga la pena scrivere è il cuore umano in conflitto con se stesso. Penso che in una cella ciò sia davvero visibile. Il comandamento fondamentale, non uccidere, in carcere non vale: rinunciamo all’umanità in nome di una giustizia, spesso cieca. Il suo pensiero in proposito?

All’interno di una minuscola camera detentiva (così preferisco chiamarla in presenza e in assenza dei miei detenuti) si moltiplica il battito dei cuori. Ci si accapiglia alle volte ma si piange e si sorride tutti insieme. Tutto viene generato e concepito per essere condiviso: dal cibo, allo svago, alla scrittura all’attesa. Ogni volta che uno di loro riceve una notizia spiacevole tutta la sezione in cui è ubicata la camera partecipa  della sofferenza del singolo e lo stesso avviene per le buone notizie. Le voci corrono velocissime in carcere. 

Come è stato il suo impatto con l’umanità che popola gli istituti di pena?

Mi ha stregata e ha migliorato la mia esistenza integralmente. Consideri che prima di svolgere questa professione mi occupavo di Archeologia e Antropologia, scavando nei  siti più suggestivi del Mediterraneo. Oggi esploro e soprattutto scavo tra l’umanità dei ristretti, degli ultimi, emozionandomi come di fronte a una rara scoperta.

C’è una verità che ha imparato frequentando il carcere?

Tutti possiamo essere vittime e carnefici, allo stesso identico tempo.

Può raccontarci qualche storia senza ovviamente violare la privacy?

Ho nel cuore la storia di un ragazzo albanese, entrato in Istituto per aver commesso un  omicidio, durante un litigio, quando era  appena maggiorenne. Grande studioso. Cartellina di plastica sempre in mano (di quelle che si usano per portare a casa i disegni da scuola). Era il primo, ogni mattina, a varcare le aule scolastiche. Aveva, negli anni, collezionato, promozione dopo promozione, vari titoli. Dalle Primarie era giunto ad un soffio dal diploma. Alla fine delle lezioni passava sempre  nel mio studio per rivolgermi un saluto gentile e per scambiare poche parole sulla lezione del giorno, mostrandomi i propri quaderni con orgoglio impareggiabile. Era il 2019. Scrissi la sua relazione. A fine anno mi chiese  di aiutarlo a ottenere il trasferimento nel primo Istituto detentivo in cui era approdato, subito dopo la commissione del reato. Alla vigilia di Natale 2019, ultimo giorno di scuola, sempre con la solita cartellina in mano,  si è presentato nel mio studio, ringraziandomi, con gioia, perché era giunto, finalmente, il suo trasferimento. Il mio saluto era carico di bene e di buoni propositi per lui. Gli ricordai l’importanza del diploma e lui annuì dicendomi che era  anche il suo più grande desiderio. Due giorni dopo, mentre mi trovavo in Sicilia, una collega mi avvisava che giunto nel nuovo Istituto, quel mite ragazzo, si era suicidato. Il peso nel suo animo, per quel reato commesso circa 10 anni prima, non lo aveva mai abbandonato. Lui mi ha insegnato a guardare oltre lo strato epidermico degli stati mentali inducendomi a valutare ogni microscopica minuzia che proviene dai moti interiori. Era il mio primo anno di lavoro. La cosa più difficile di queste storie drammatiche è che non sono mai finite… Il ritorno degli stessi soggetti in Istituto, già previsto, e per questo più doloroso mi mostra la difficoltà del recupero per molti.

Il coraggio di mettersi a nudo per chiedere perdono alla vittima è amore o solo convenienza?

Coesistono entrambe queste due realtà. Vi sono detenuti che utilizzano la giustizia riparativa per un fine strumentale ed altri che sentono visceralmente il bisogno di un confronto con la vittima o i parenti di questa al fine di esprimere tutto il dolore e la vergogna del gesto compiuto.

La voglia di riscatto è così impossibile per un detenuto?

La voglia di riscatto sociale e prima ancora morale è respiro per i detenuti. Fuggono  affannosamente da quell’etichettamento che la società dei liberi nella maggior parte dei casi riserva loro. Solo in pochi riescono a ottenerlo veramente.

Come si riesce a restare immuni nonostante quello che si vede?

Non si può. È bene non reprimere le proprie emozioni personali e  lasciare che queste comunichino all’utente  tutta la compartecipazione che un operatore penitenziario sta vivendo in quel preciso istante. Ho versato lacrime all’atto di comunicare un grave lutto; ho gioito di fronte a una semilibertà frutto di un sano percorso di resipiscenza o dinanzi a una confessione giunta tardivamente per la legge ma non per me. Ho espresso disapprovazione per misure premature o non adeguate al diretto interessato.

A suo parere il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, saprà trovare le soluzioni?

Il mondo penitenziario è talmente complesso da non permettere di trovare soluzioni  immediate e valide per i tantissimi scenari drammatici che si aprono ogni giorno. Il ministro Nordio è un profondo conoscitore  del sistema penale  e da giovane si è trovato a dover combattere fenomeni eversivi di grandissima risonanza in qualità di magistrato. L’interesse che anima il ministro, già più volte intervenuto negli Istituti, a seguito di recenti fatti, mi fa pensare alla sua figura con maggiore ottimismo rispetto al passato. In questi giorni la fattivitá dei suoi propositi ha preso forma attraverso le  misure attuate in materia  di giustizia minorile  e soprattutto quelle legate al  tema della rieducazione minorile nei contesti esterni  e disagiati proponendo, tra l’altro, l’irrobustimento del sistema scolastico. Al ministro Nordio vorrei dire, infine, di accogliere, in maniera cadenzata nel tempo, una delegazione di operatori penitenziari e anche una di detenuti permettendo a ognuno di loro di poter portare a sua conoscenza i propri vissuti come testimonianza fedele e necessaria per mantenere così incorrotto lo sguardo sul nostro celato mondo.