
Sutta Scupa, da Palermo al mondo: il 4 settembre riparte “ROSE” al Borgo Danilo Dolci. Poi workshop internazionali e un global meeting con delegazioni mondiali fanno della città la capitale del teatro sociale.
Rose #2 è un canto per una città sommersa. Dopo l’esordio di Valeria Sara Lo Bue, la seconda performance di ROSE, tratta da Rusulia Superstar di Giuseppe Massa, è a cura e con Nancy Trabona.
Rose è un canto per una città sommersa: come nasce questa suggestione?
G – Ho scritto “Rusulia Superstar” l’anno scorso, nell’arco di tre notti torride e molto alcoliche.. Durante un precedente laboratorio, condotto all’interno di un Centro Terapeutico Assistito della periferia della nostra città, avevo raccolto — con l’aiuto dei miei amici attori — materiale drammaturgico, suggestioni e soprattutto un bagaglio di emozioni forti, fortissime (tra cui uno struggente karaoke con trenino annesso). La struttura del testo è ancorata ai momenti cardine della vita della nostra Patrona — il rifiuto del matrimonio, la scelta dell’eremitaggio — con lo scopo però di affondare le mani nella nostra contemporaneità. Dopo la prima messa in scena dell’anno scorso avevo due possibilità: la prima era lavorare con un coro di donne per amplificare Rosalia, esplicitandone le svariate sfaccettature; la seconda, intuizione di Elena Amato, fondatrice e asse portante di Sutta Scupa, era affidare il testo a delle attrici che ne curassero, ciascuna a suo modo, la messa in scena. Per stanchezza e curiosità ho optato per la seconda: così è nato Rose. La città sommersa è la città degli ultimi: il Centro Terapeutico Assistito ha dato a me e agli altri del gruppo la possibilità di confrontarci con donne e uomini decisamente ai margini, sommersi, nascosti dentro la città che vediamo.
N – Sono una palermitana che ha avuto la possibilità e la volontà di vivere altrove, di guardare con lenti diverse questa città che, per certi versi, offre due sole possibilità: l’implosione o l’esplosione. Il testo di Giuseppe Massa richiama un canto e porta con sé un sigillo: la melodia di Massa, una sorta di serenata maledetta a una città che non concede molte possibilità.
La Rosa di Trabona è una sposa ribelle: un corpo contemporaneo attraversato dal dolore che si trasforma in preghiera, canto e ninna nanna. Lo spazio scenico è essenziale, segnato da sacchi neri colmi di rifiuti, che diventano paesaggio apocalittico e familiare, riflesso di una città violata e insieme irriducibilmente bella. Quanta è amara questa visione: è una storia che rispecchia l’attualità?
N – Una città storica come Palermo ha un passato immenso, pieno di bellezza; i muri possono parlarti. Ma il passato lascia anche resti, scarti: la nostra immondizia. Immagino ciascuno di noi con tanti sacchi appresso, pieni di “bagagli” di cui tanto parliamo. Mostriamo solo le cose belle, mentre i sacchi restano chiusi. In questo mestiere, invece, i sacchi ti distinguono dagli altri, e quindi devi aprirli, per forza.
La libertà è un concetto molto complesso: la vostra idea di libertà in cosa consiste?
G – Quando ero giovane mi ritenevo comunista e ateo; adesso mi sento più che altro anarchico e credo anche in Dio. Con la libertà — con le sue rose e le sue spine — ho avuto modo, nel corso della vita, di confrontarmi aspramente: ci ho litigato, ho perso, me l’ha riconquistata e così via. Per me, dunque, non è un concetto fisso, un dogma, ma un’idea concreta che si trasforma insieme alla mia crescita personale e ai cambiamenti profondi. Ho avuto a che fare anche con l’assenza di libertà, e in quel periodo ho capito che in realtà la libertà non finisce mai: c’è sempre una piccola, minuscola possibilità di scelta. Lì abita la libertà che amo e che inseguo, quella che si nasconde negli interstizi delle nostre scelte, quotidiane e universali. Consiste anche nell’accettare le scelte libere degli altri, dei nostri cari, anche quando ci fanno soffrire: se si accetta la libertà degli altri, si accetta anche la propria.
N – Sono cresciuta con un papà anarchico che mi ha insegnato a vivere la libertà, non a teorizzarla. Per me, libertà significa pensiero, parola e azione: tre dimensioni che non possono esistere l’una senza l’altra. Non è assenza di regole, ma la capacità di darsene, senza mai soffocare sé stessi. Ognuno la interpreta a modo suo; io credo che il vero obiettivo sia viverla ed esprimerla fino in fondo.
«Chi è oggi Rosalia?» è la domanda di fondo che vi ponete. Aggiungendo che è una questione non religiosa, ma profondamente umana, sociale, poetica, mistica. Che risposta vi siete dati?
G – La mia Rosalia è una degli abitanti di un qualsiasi quartiere periferico e povero della nostra città. Ancora di più, è una delle donne che ho conosciuto all’interno del Centro Terapeutico di cui parlavo prima. Ancora di più: mi sono nascosto dietro di lei per raccontare di quando, giovanissimo, ho lasciato Palermo e i miei genitori per vivere per un paio di anni in giro per l’Italia con un sacco a pelo. È anelare, aspirare, essere pronti a tutto pur di accedere a un altro mondo, conoscere un altro sé stesso, accettarsi con tutte le proprie contraddizioni e fragilità, superarsi, andare oltre quello che vediamo.
N – Nascere donna significa già camminare in salita. Dentro questo nostro essere c’è un coraggio antico: una forza che convive con la paura. Tornare a casa la notte, da sole, dopo il lavoro o dopo una serata con amici, è già un grande atto di coraggio: non esiste donna al mondo che non abbia sentito almeno una volta il rischio di essere violata. Eppure questo non ci ha mai fermato dal vivere, dal fare le cose. Per noi rischiare la normalità è la prassi. Sappiamo che il parto è uno dei dolori più grandi eppure i bambini continuano a nascere, perché in noi c’è una follia selvaggia, una spinta vitale che ci rende capaci di imprese straordinarie. Così come la nostra Santuzza, come Rusulia.
Amore e Chiesa: le donne che hanno fatto la storia e quelle che la stanno riscrivendo?
N – Penso a tutte quelle donne che, nella storia della Chiesa, hanno saputo vivere e testimoniare l’amore oltre le regole e i dogmi, aprendo strade nuove. E penso oggi a chi continua a non sottostare alle etichette che ci portiamo addosso, ribellandosi a un sistema patriarcale e a una femminilità ridotta a feticcio ormai obsoleto. Questa è la mia Rosa, queste sono le mie sorelle, le mie compagne, che come me vivono una quotidianità compromessa ma continuano a riscrivere la storia con gesti di coraggio.
Delle donne che raccontate chi vi ha affascinato e perché?
N – Mi affascinano le donne che non si piegano, quelle che portano avanti la propria vita e la propria arte nonostante tutto. Quelle che sanno trasformare il dolore in gesto, in canto, in azione. Come Rusulia, come tutte le figure che camminano tra il coraggio e la follia selvaggia, restando fedeli a sé stesse anche quando il mondo cerca di soffocarle.
E in tutto questo: dove sono gli uomini e cosa pensa di loro?
G – In “Rusulia Superstar” i personaggi maschili sono assenti oppure sono dei pezzi di merda — consapevoli o inconsapevoli, vedi Baldovino. Da uomo ho scritto un testo in cui la protagonista è una donna: penso che questo dica già molto. Non sono particolarmente attratto dai movimenti femministi e affini, che considero una lotta secondaria rispetto all’obiettivo principale, alla “strada maestra” che, per quanto mi riguarda, oggi come ieri, resta la lotta di classe e, più in generale, la lotta al capitalismo. Per essere più chiari: in Rusulia Superstar l’antagonista di Rosalia non è il padre né il marito, ma la madre, la società, l’insieme delle strutture che condizionano e opprimono.
La vita insegna e non si fa imparare, parafrasando De Gregori: c’è una strategia per essere leggeri nonostante tutto?
G – Sinceramente non so cosa rispondere. Tendenzialmente non sono un tipo leggero, e ancor meno in quest’ultimo periodo. Però sì, a volte mi piacerebbe esserlo, come un palloncino a forma di cuore.
N – Prima di tutto distinguerei la leggerezza dalla superficialità. Se dovessi parlare di “strategie”, forse la più importante sarebbe quella di imparare a essere più umani.
E se tutto quello che noi sogniamo (successo, amore, benessere, ricchezza, ecc…) fosse solo un’illusione?
G – Questa è marzulliana e merita una risposta da chi, seduto a tarda notte su una poltrona, si trova tra le mani questa domanda. E se invece fosse un’illusione fottutamente vera? Illusione, verità, finzione… il teatro mi ha insegnato che si possono creare nuovi mondi, non da soli però, insieme agli altri, ai compagni di viaggio. C’è chi la chiama illusione, chi utopia, chi sogno; alla fine, però, è la stessa cosa: la ricerca di quell’attimo fugace che ci fa sentire vivi, liberi, felici.
N – Penso siano realtà troppo diverse, soprattutto sul piano emotivo, per poterle collocare in un unico insieme. Dipende: che tipo di amore? Quello di un padre verso un figlio, o viceversa? Quello per un partner? E la ricchezza, intesa come grande abbondanza… ma in cosa? In denaro o in altro? Il benessere, poi: lo intendiamo come pace interiore? Alla fine avrei solo domande, non risposte. È tutto troppo variabile.
Torniamo al presente: il coraggio delle donne di cambiare le regole del gioco?
N – Credo sia come viaggiare su un doppio binario: non bisogna accettare sempre. Anche se è difficile — a volte quasi automatico — è importante sapersi opporre.
Appuntamento il 4 settembre alle 18:30 al Borgo Danilo Dolci di Trappeto, l’ex Borgo di Dio fondato da Danilo Dolci, simbolo di memoria, impegno civile e riscatto sociale. La rassegna “ROSE” è prodotta da Sutta Scupa con il sostegno del Ministero della Cultura, del Comune di Palermo – Assessorato alla Cultura e della Regione Siciliana – Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo, ed è inserita nel calendario del Festino di Santa Rosalia 2025.
GIUSEPPE MASSA (1978 Palermo) si forma con Claudio Collovà, Antonio Latella, Matteo Bavera e Franco Scaldati. Debutta come attore nel ‘97 in Miraggi Corsari di Collovà, col quale intraprende un percorso di formazione lungo 8 anni. Successivamente è diretto da Latella in Querelle de Brest di J. Genet e in Bestia da Stile di P. P. Pasolini (Biennale di Venezia 2004). È diretto da Scaldati e Bavera ne La gatta di pezza (Schauspielhaus Dusseldorf). Nel 2006 fonda insieme a Fabrizio Ferracane e Giuseppe Provinzano la compagnia SUTTA SCUPA che prende nome dal suo primo lavoro scritto e diretto. Lo spettacolo attraversa l’Italia e l’Europa, dei frammenti vengono inseriti da Wim Wenders in The Palermo Shooting.
Nancy Trabona nasce a Palermo, dove intraprende il suo percorso formativo presso la Scuola dei Mestieri dello Spettacolo del Teatro Biondo, diretta da Emma Dante. Al termine degli studi, debutta nello spettacolo Pupo di Zucchero – La festa dei morti, scritto e diretto dalla stessa Dante, e partecipa a una tournée internazionale tra Italia e Francia. Prosegue la sua formazione nel campo teatrale e cinematografico, ampliando le proprie competenze artistiche. Dal 2022 collabora con Giuseppe Massa e la compagnia Sutta Scupa, interpretando ruoli da attrice in Indovina Ventura e R/G (Romeo e Giulietta), e operando come assistente alla regia per Rusulia Superstar e Canzuna segreta.