Maurizio Salinas, il bondage torna di moda

Maurizio Salinas è un “nome d’arte” anche se non mi definisco un artista, anzi, al massimo potrei essere un artigiano, di quelli che stavano a bottega dal mattino alla sera e pure di notte, se il lavoro valeva e appassionava…

 

Uso questo pseudonimo per non mescolare il mio impegno professionale alle mie attività extra-professionali; è anche un modo per “staccare” e scollegare per un attimo la mente dalla quotidianità e dalle sue regole.

Nato in Sicilia, circa cinquantacinque anni fa, e cresciuto a Milano da quando avevo quattro anni, esercito una professione molto tecnica, con pochissimi spazi per la creatività ed estremamente rigorosa.

Forse per contrappasso, forse perché ho sbagliato mestiere, nel mio raro e risicato tempo libero mi sono sempre dedicato alla lettura, alla scrittura, alla fotografia, elementi fondamentali anche nel mio mestiere nella fase di raccolta della documentazione e di rappresentazione del territorio.

La fotografia, quindi, e la narrazione fanno parte della mia vita, della mia professione, del mio quotidiano fin dai primi anni di università; quello che cambia ed è in continuo mutamento è loro declinazione in termini scientifico-tecnici o in termini più squisitamente creativi.

Negli ultimi anni mi sono dedicato – prima praticandolo, poi studiandone la storia e infine fotografandolo – al bondage o, meglio, al rope bondage: l’arte di legare le persone con le corde in modo erotico.

Una passione che ha radici molto precoci nella mia vita, risalenti alla mia tarda adolescenza, quando l’ho conosciuto attraverso le pagine di una rivista specializzata (l’unica pubblicata in Italia) che nulla aveva a che vedere con la pornografia eppure, e per ovvie ragioni, non poteva essere venduta ai minorenni.

Una passione più o meno accantonata fino alla soglia degli “anta” quando, calati gli ormoni e sistemata la mia vita familiare, assestata la mia situazione professionale, ho avuto modo e tempo, questa volta con la partecipazione di mia moglie, di ampliare l’esperienza pratica ma, soprattutto, maturare la curiosità storica e fotografica sulle origini, i motivi psicologici, la collocazione sociale e culturale del feticismo delle corde intese come strumento di costrizione e di erotismo.

Negli ultimi anni, grazie ai documenti on line, al reperimento di materiale originale degli anni ’50 del XX secolo e alla collaborazione con modelle di fotografia eccezionali ed estremamente versatili (tra le quali Elena Manera e Minou Rossi) ho avuto modo di ripercorrere la storia di questa disciplina sempre oscillante tra l’erotismo e l’ascesi, tra la provocazione e la ricerca interiore.

Frugando tra le fotografie dei tempi andati risalta più di tutte una storia, quella degli anni tra il 1947 e il 1959, di grandi mutamenti sociali, culturali, sessuali.

L’elenco è  incredibilmente lungo ed è fatto di nomi e di eventi: la prima edizione di Play Boy, Marilyn Monroe, Bettie Page, i film Fronte del Porto con Marlon Brando e Gioventù Bruciata con James Dean, le riviste Kitan Club in Giappone e Bizarre in USA, i primi scatti di Helmut Newton e di Araki Nobuyoshi ma anche il Rapporto Kinsey, la guerra di Corea, sono figli di quel periodo che noi, generalmente, associamo invece ai bravi e pacifici ragazzi di Milwaukee del telefilm Happy Days, stereotipo idealizzato della famiglia americana ma piuttosto irrealistico perché gli anni ’50 sono stati, a loro modo, più rivoluzionari e fuori onda del più famoso e mitizzato decennio 1968-1978.

Mi sono concentrato su quegli anni, soprattutto in USA e in Giappone, e sulle loro atmosfere, fino a ragionare – in piena era digitale – come se fotografassi con una pellicola analogica in bianco e nero di allora, quelle a basso prezzo, dozzinali che venivano usate spesso durante i Camera Club,  eventi a invito in cui molti fotografi potevano scattare su una o due modelle disponibili a spogliarsi per farsi immortalare in pose che, il più delle volte, non sarebbero mai state neanche stampate perché i laboratori del tempo non potevano inviare per posta materiale considerato pornografico, neanche se commissionato da privati ad uso privato.

E’ un periodo affascinante, così affascinate, con le sue pinup, le star dei Camera Club, i primi ritratti fetish di donnine inguainate in tute di pelle, le sue rivolte, le sue scoperte sessualiche, alla fine, le corde e il bondage sono caduti in secondo piano, elementi non dimenticati ma non più così importanti come in partenza.

Quello che mi ha davverro affascinato, in questo lavoro di ricostruzione storica e di studio dell’immagine, è l’immensa voglia di vivere e tornare a vivere dopo la seconda guerra mondiale, di tutti, vincitori e sconfitti, forti e deboli. Tornare a vivere e dimenticare la guerra, anche la guerra fredda, quella che su tutti incombeva con la minaccia nucleare.

Ogni volta che realizzo uno shooting – dopo mesi di preparazione storica e studio fotografico – fisso il mio lavoro in un album autopubblicato; per ora ce ne sono due già completati, uno in fase di realizzazione (foto già eseguite) e uno in progetto, da realizzarsi nei prossimi mesi.

P.S. Grazie alle modelle, in ordine alfabetico: Elena Manera, Ishara Gabri, Minou Rossi, Serena Caldirola.