Flavia Restivo: Solo l’educazione e la cultura possono cambiare un sistema malato e pieno di disagi

Flavia Restivo – Laureata in Governo e Politiche Pubbliche presso la Luiss Guido Carli, conclude il suo percorso di studi con una tesi sul conflitto di interessi con il professor Bernardo Mattarella. Lavora attualmente come Digital Strategist and Pr per brand, istituzioni e strutture alberghiere. Ha un Blog sull’Espresso dal 2020 ed è esperta in Public Affairs, Public Reputation e Personal Branding.

Vanta molteplici esperienze formative all’estero tra cui un corso estivo sugli studi di genere presso la Sorbonne di Parigi e il programma Erasmus presso l’università Lusìada di Lisbona.

 

Flavia, le cronache dei media ci ricordano che le uccisioni e le violenze sulle donne in Italia. Storie brutte, drammatiche, tristi. In queste violenze fisiche e negli abusi sulle donne ci sono situazioni di sofferenza, infelicità, insoddisfazione, solitudine, tradimenti, incomprensioni. E spesso non si sa quale di queste sofferenze, se quella fisica o quella interiore, sia la più grave. Come descriveresti questo disagio sociale?

Tali situazioni sono il risultato di un sistema culturale patriarcale che affonda le sue radici nella teoria del possesso. La donna è vista come un oggetto da possedere e dominare in maniera intrinseca. Solo l’educazione e la cultura possono cambiare un sistema malato e pieno di disagi, in particolare l’educazione alla sessuo-affettività per cui mi batto da diverso tempo. Ma in Italia la strada è ancora lunga.

Il 25 novembre, 8 marzo sono i giorni nei quali si diventa tutti più buoni, etici e solidali, quasi fosse Natale. Cosa ti dà più fastidio: l’ipocrisia buonista delle istituzioni o l’indifferenza per il dolore delle vittime quando i riflettori si spengono?

 Penso che le istituzioni siano i primi carnefici soprattutto nel momento in cui non forniscono gli strumenti necessari per combattere tali situazioni. La violenza sulle donne ha bisogno di una complessa rete di sicurezza per essere contrastata e nel nostro paese la situazione nei centri antiviolenza non è affatto sufficiente.

Per non parlare di quelle violentate nelle mura domestiche che nessuno denuncia?

Denunciare non è semplice soprattutto se si vive in uno stato che non tutela. Le donne hanno paura e molto spesso denunciare significa mettere ulteriormente a rischio la propria vita se non fatto con le determinate accortezze, ovviamente è sempre importante farlo facendosi aiutare dalle persone a noi più care che ci possono sostenere in questo percorso.

Le donne in uscita da Centri antiviolenza e Case Rifugio vivono un percorso accidentato, fatto di ostacoli e difficoltà, che le espone a estrema vulnerabilità socioeconomica e al rischio di ricadere nella spirale della violenza…

Assolutamente sì, per questo è importante investire in questi servizi, per far sì che situazioni di tale tipo non si ripetano nel breve e lungo periodo.

Per vivere una vita libere dalla violenza le donne hanno bisogno di un reddito sufficiente una casa sicura, un lavoro dignitoso e servizi pubblici funzionanti: diritti fondamentali che le istituzioni italiane non sono in grado di garantire a tutte e in tutti i territori. Che idea ti sei fatta?

 Le tutele a sostegno delle donne non sono adeguate a partire dal lavoro di cura e di inserimento nel mondo del lavoro. Bisogna lavorare sul gender gap nel suo insieme per proporre soluzioni che siano valide.

C’è uno scollamento sempre più grande tra mondo dei giovani e mondo adulto, che sembra essersi completamente dimenticato degli adolescenti. Ed è impressionante vedere come la scuola, il luogo dove passano gran parte del loro tempo, non sia considerato un luogo sicuro per i più giovani. La tua esperienza cosa ti ha insegnato?

La mia esperienza mi ha fatto capire che oltre alla fortuna, si gioca anche un fattore culturale quando si parla di scuola. Per questo è importante che si possa contare su un’istruzione uguale e garantita per tutti che comprenda come citato prima, l’educazione sessuale.

Molte ricerche certificano che purtroppo i più giovani hanno timore di non essere creduti nel denunciare atti di violenza. Vuol significare che il mondo degli adulti sta sbagliando qualcosa nel modo in cui ascolta e interagisce con loro?

 Sicuramente gli adulti sono più giudicanti che ascoltatori, porsi in modo egualitario è la soluzione a questo problema.

Nei programmi elettorali si promettono interventi per incidere sulla barriera dell’indifferenza e combattere l’esclusione sociale. Ma quante di queste promesse di aiuto finalizzati non solo a offrire supporto concreto attraverso il volontariato, ma anche a individuare forme di prevenzione, pratiche sociali estendibili vengono poi mantenute dai politici locali e non?

Purtroppo non si capisce che quando la totalità della popolazione è più felice, il sistema funziona meglio e si tende a rimanere in quel velo di promesse senza uscita.

Oggi molte famiglie sono in una situazione indigente, perché non rientrano nei parametri bancari: come poter voltare pagina?

Il reddito di cittadinanza è sicuramente una buona opzione che va però coadiuvato con un sistema di formazione e inserimento nel mercato del lavoro realmente valido.