Carmen Currò & 25 novembre: solidarietà si contrappone a solitudine. Una delle piaghe della violenza sulle donne è la condizione di solitudine

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una ricorrenza voluta dalle Nazioni Unite che l’ha istituzionalizzata il 17 dicembre 1999 dove si definisce questa violenza «una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, a oggi, non viene denunciata, a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano». In molti casi la prevaricazione si esplica in forme di violenza invisibile, psicologica ed economica a esempio, che sono più difficilmente riconoscibili e, per questo, molto insidiose. Se, infatti, la violenza fisica è universalmente riconosciuta, quella psicologica si insinua e agisce sulla donna in modo graduale, più nascosto. 

Ne parliamo con l’avvocato, Carmen Currò, fondatrice e oggi presidente emerito del CEDAV Onlus, Centro Donne Antiviolenza.

L’obiettivo del CEDAV Onlus, è di far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere intra ed extra familiare. Saldamente radicata nel territorio offre un ampio ventaglio di iniziative in campo, tutte tendenti a modificare la percezione culturale ed a ricercare forme efficaci di prevenzione e lotte alla violenza. Le molteplici attività sono rese possibili grazie alla presenza di un gran numero di professionalità, tutte formate attraverso corsi appositi, connotate dalla capacità di leggere la società e produrre metodologie ed azioni adeguate, procedendo a costanti verifiche dei risultati ottenuti.

Le azioni di contrasto alla violenza e all’abuso su donne e minori, poste in essere dal CeDAV si sono rivelate fondamentali per tutta la rete dei servizi e delle istituzioni operanti a vario titolo e diversamente interessate al problema della violenza. Il coinvolgimento di servizi diversi, che si incontrano e intervengono sinergicamente sul fenomeno, ha creato cultura su queste problematiche, ed ha attivato un’informazione capillare sui diritti delle donne.

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: uno degli obiettivi è creare una rete di solidarietà per aiutare le donne vittime di violenza a trovare un lavoro e a costruire un nuovo futuro. La difficoltà più grande è raggiungere una situazione di piena libertà e autonomia dopo un passato di violenze familiari?

Solidarietà si contrappone a solitudine. Una delle piaghe della violenza sulle donne è la condizione di solitudine, a volte di silenzio e omertà, in cui maturano queste situazioni. Sapere che c’è una RETE di aiuto fa si che le donne assumano il coraggio di parlare, a dire quello che sta loro accadendo, a volte, a “vomitare” il loro vissuto di abusi. La condizione di subalternità economico-lavorativa è sempre stata una delle situazione di rallentamento delle decisioni di uscire fuori dalla spirale della violenza. Paura di non farcela, di restare senza supporti economici, casa, e con il ricatto che possano anche non affidare i figli, sono sempre stati deterrenti per accelerare le decisioni. Oggi molte donne, le più giovani, cercano il lavoro, si attivano per non essere subalterne economicamente; purtroppo la politica e le istituzioni sono un po’ indietro attivandosi solo per eventi di facciata, rituali e stereotipati ma avendo poca attenzione per  andare alle radici delle questioni.

Nella sua esperienza professionale all’interno di un Centro antiviolenza quali sono state le fragilità che ha più riscontrato e quali consigli si sente di dare a chi subisce violenza?

Il riconoscimento della violenza non sempre è pacifico e facile. Molte donne ritengono “normali” alcuni comportamenti e agiti dei loro partners, pensando anche possano cambiare, che loro possano cambiarli. Le esperienze familiari, delle loro mamme a esempio, non sempre sono esempi di consapevolezza della violenza, e allora, si creano debolezze, paure di non farcela.

Domanda provocatoria: che diritti hanno le donne?

Tutti i diritti che sono stati conquistati dagli anni 70 in poi CON LE BATTAGLIE SULLE PIAZZE E PARLAMENTARI. E’ la consapevolezza, la capacità di scelta che sia possibile farcela che difetta in molte donne. Antichi retaggi che vogliono le donne subalterne, prima madri e mogli e poi donne autonome ancora vigono nel nostro vissuto quotidiano, nei messaggi di molta cultura su i mass media, spesso persino nelle scuole.

Si ricorda qualche storia che tra le tante l’ha più colpita?

Farei un torto a qualcuna! Per me tutte le storie sono parimenti importanti, anche le più ovvie. Quando si ha di fronte una donna che da sola non riesce a capire la radice della propria subalternità mi sento partecipe, perché ho avuto la fortuna di avere più strumenti di decodificazione della realtà.

È possibile prevenire la violenza di genere?

Si, lavorando sulla formazione dei più piccoli, dei giovani e delle giovani, nelle scuole, veicolando messaggi e linguaggi di rispetto, di pace e stigmatizzando ciò è il contrario. Anche divenendo impopolare al “senso comune”.

Un terreno di coltura della futura violenza sia quello in cui in famiglia si assiste a violenza psicologica dell’uomo verso la donna?

Sempre di più le modalità con cui si agisce la violenza sono subdole, psicologiche, non sempre fisiche. Vi è una forma di manipolazione delle coscienze, dei sentimenti che sta attenta a che si dica che tutto è “normale” in quella relazione. Anche le statistiche parlano di aumento della violenza psicologica rispetto a quella fisica nelle donne occidentali, più acculturate e autonome. la violenza fisica rimane, a volte, l’atto estremo di un vissuto di violenza psicologica, morale.

La vera libertà in un rapporto è poter fare sempre ciò che si vuole?

La domanda appare quasi provocatoria ma la prendo in positivo: si, bisogna fare quello che si crede giusto senza travalicare nella liberta dell’altro o altra.

Aiuta sapere mettersi nei panni dell’altro/a e anche imparare a perdonare superando posizioni di orgoglio?

Nei rapporti violenti la troppa comprensione tende a giustificare un comportamento sbagliato tanto da non considerarlo tale. Bisogna distinguere tra rapporto conflittuale dove entrambe le parti sono attive e reattive, quindi simmetriche, da un rapporto violento ove uno agisce violenza sull’altro, ove il rapporto è asimmetrico e si diventa vittime.

Troppi uomini non sanno parlare di sé, delle proprie emozioni. Come aiutarli?

Tante persone non sanno parlare di se e delle emozioni. Gli uomini più delle donne. Un malinteso senso di forza, superiorità, non mostrare debolezze fa si che soprattutto gli uomini non esprimano le loro emozioni positive, i loro sentimenti, le loro insicurezze, nascondendosi dietro una corazza di forza. Aiutare significa esplicitare il proprio sentire e le proprie idee anche a rischio di farsi rifiutare. Non possiamo essere sempre le donne a “curare” gli uomini; che inizino a curarsi da se, con processi di autocoscienza.

I social hanno fatto passare il messaggio che chi vince è figo, chi perde uno sfigato. Funziona sempre così?

Bisogna vedere cosa vinci, vi sono ambiti di scelta che differenziano le varie scelte personali. Il denaro, le vie brevi per poter acquisire potere, le semplificazioni di tutto quanto invece è particolarmente complesso, fa si che i messaggi e i simboli siano fortemente divisivi. Io voglio vincere non tradendo le mie idee e non perdendo la mia dignità.

Ai giovani non andrebbe insegnato il valore di una sconfitta?

Si, la elaborazione della perdita, della sconfitta non viene vista come un obbligato percorso per vivere ma, spesso, scatena frustrazioni che, se non si sa gestirle, possono anche declinare in condotte violente.

Abbiamo una confessione da farle: per noi la vita è una lunga caduta, la cosa più importante è saper cadere. Ci considera troppo pessimisti o semplicemente pragmatici?

Pragmatici aggiungendo che, con un pizzico di ottimismo, che la vita vale la pena di essere vissuta, le cadute possono essere trasformate in momenti di grande trasformazione, creazione, invenzione della vita stessa.

Quando Carmen torna a casa dopo aver trascorso giornate a assorbire tanta negatività, dolore e frustrazione come si purifica?

Io devo essere sincera, non mi sento di dovermi purificare perché, avendo un grande senso di me, forse una autostima a volte esagerata, trovo sempre qualche via di uscita, di positività…

Per fortuna scrivere, raccontare, dà la possibilità di costruire un nuovo mondo, una nuova vita. E’ solo utopia o creatività romantica?

No, credo che sia una bella via di uscita perché creando a partire dal proprio mondo si continua a stare nel mondo e alle persone simili. Si diventa invincibili nonostante i brutti inverni, come le invincibili estati.