Messina Capitale d’Italia

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Per i benpensanti la città dello Stretto si presenta ancor oggi sonnecchiante e apatica, quasi recitasse un copione assegnatole da un regista poco accorto.
E invece, quella che per i più è una città babba ha fatto da scenario per gli intrighi più inquietanti che hanno messo in ginocchio il nostro Paese.
E’ Messina la città scelta dal boss di Cosa Nostra, Michelangelo Alfano, quale rifugio dorato per amministrare gli investimenti della Cupola.
L’amicizia con importanti magistrati, ministri della Repubblica, imprenditori dell’alta finanza, ha permesso ad Alfano di tessere la tela di affari con al tavolo Stato e antistato.
Per anni troppa brava gente ha girato la testa dall’altra parte sperando di convincersi che non era vero quel che si mormorava in giro: magistrati corrotti,
a volte collusi con la mafia, pentiti utilizzati per deviare il corso della giustizia. Poi, un omicidio eccellente, quello del gastroenterologo Matteo Bottari,
freddato da tre colpi di lupara, sparatigli in pieno volto, spaccherà in due la borghesia locale che comincerà a interrogarsi, finalmente, anche sulle infiltrazioni
della criminalità organizzata nelle sole aziende floride della città: Università e Policlinico. E’ il 14 gennaio 1998. Scoppia ufficialmente il caso Messina,
con la Commissione Nazionale Antimafia che si precipita in riva allo Stretto e scopre il verminaio. Nel frattempo, un avvocato, Ugo Colonna, oggi costretto a una vita
blindata, piomba a Catania per denunziare i mille traffici illeciti di una superloggia, una sorta di nuova P2, con obbedienti reclutati tra magistrati, politici,
uomini delle Istituzioni e padrini. Saranno dei messinesi a chiedere alla mafia, nel corso di una riunione tenutasi all’Hotel Excelsior di Roma, l’eliminazione
del giudice Antonio Di Pietro, quando nel ‘92 l’Italia si specchiava in Mani Pulite. E sarà un giudice messinese, Giovanni Lembo, il primo magistrato della Procura
nazionale antimafia, la struttura fortemente voluta da Giovanni Falcone per combattere Cosa Nostra, a finire in carcere per collusione con i boss. Messina viene
così raccontata attraverso le testimonianze di magistrati, come Mario Amato, Luigi Croce, Nicola Gratteri e Carmelo Petralia; ex mafiosi divenuti collaboratori di
giustizia, come Maurizio Avola, Mario Marchese, Sebastiano Ferrara, Giacomo Lauro, Antonio Cariolo; l’avvocato penalista Ugo Colonna. Di Messina si è tanto parlato
e scritto negli ultimi anni, ma restano da raccontare molte storie. Soprattutto quelle che ricostruiscono il viaggio nel cuore pulsante di quell’intreccio tra massoneria,
malaffare e giochi di potere, anche finalizzati al Ponte sullo Stretto. Ne viene fuori uno spaccato inedito di vita e trame consumate al riparo da qualsiasi indagine giudiziaria.
Vicissitudini che sembrano uscire da uno dei tanti romanzi di successo di Ken Follett e che, invece, rappresentano l’altra faccia, eternamente gratificata di ipocrito perbenismo,
di Messina: crocevia di traffici illeciti, da quello delle armi, a quello della droga, passando per il riciclaggio di denaro attraverso i casinò e le finanziarie.
E sarà stupefacente scoprire, in questo viaggio nella storia recente, che i più importanti personaggi che hanno scritto le pagine dell’Italia di questi tempi, da Francesco Pacini Battaglia
a Marcello Dell’Utri, sono transitati, o comunque, hanno avuto a che fare con Messina. Oggi Capitale d’Italia.