DAL MALE IN BENE: RESTITUIRE ALLA COLLETTIVITÀ I BENI CONFISCATI ALLA CRIMINALITÀ

Sono trascorsi più di trent’anni da quel 13 settembre 1982, quando veniva approvata la legge n.646, nota come legge “Rognoni-La Torre”, che introdusse per la prima volta nel Codice penale il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso (articolo 416bis), il sequestro e la confisca dei beni alla criminalità organizzata. Due disegni di legge, presentati
da Pio La Torre e da Virginio Rognoni, confluirono in un testo normativo che ha segnato una svolta decisiva nella lotta alle mafie nel nostro Paese. Il processo di confisca dei beni coinvolge gli attori protagonisti della repressione e prevenzione dei fenomeni criminali e mafiosi. Vi è una dimensione investigativa e giudiziaria, di competenza della Magistratura e delle Forze di polizia, che sfocia nella repressione nei confronti dell’economia criminale; una dimensione politica, nel momento in cui si restituisce ai cittadini la fiducia nelle Istituzioni e nella vita democratica del Paese; una dimensione economica con la restituzione diretta al territorio di risorse sottratte con la violenza, fornendo un’opportunità di crescita e sviluppo tangibile; una dimensione sociale, culturale ed educativa, a dimostrazione che le mafie non sono invincibili e ciascun cittadino deve fare la propria parte. La confisca dei beni rappresenta uno strumento di affermazione e crescita della legalità e dell’impegno civile. Grazie all’uso sociale dei beni confiscati sono centinaia le
associazioni e le cooperative di giovani che hanno operato per restituire concretamente alla collettività le ville, gli appartamenti, i terreni agricoli sottratti alle mafie. I beni immobili confiscati: numeri e soggetti coinvolti. I beni immobili confiscati in Italia, secondo i dati aggiornati al 7 gennaio 2013, sono in totale 11.238 (appartamenti, ville, box, capannoni, terreni). In Sicilia sono stati confiscati 4.892 beni, in Calabria 1.650, in Campania 1.571 e in Puglia 995. A conferma della crescente penetrazione da parte delle organizzazioni mafiose anche nelle regioni del Nord, si segnalano i 963 beni immobili confiscati in Lombardia. I problemi da risolvere per il loro pieno ed effettivo riutilizzo sono ancora molti. A partire dai 3.995 beni ancora non destinati dall’Agenzia nazionale, di cui più di 1.500 bloccati dalle ipoteche bancarie. Gli altri risultano ancora occupati, inagibili e da ristrutturare. La legislazione vigente, nel disciplinare l’iter relativo alla destinazione e all’assegnazione dei beni immobili, stabilisce che possono essere mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, per altri usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività istituzionali di amministrazioni statali, agenzie fiscali, università statali, enti pubblici e istituzioni culturali di rilevante interesse. Diversamente, possono essere trasferiti nel patrimonio indisponibile degli Enti territoriali (Regioni, Province, Comuni e Consorzi di Comuni) che li possono assegnare, a loro volta, alle organizzazioni del privato sociale (associazioni, cooperative sociali). Le aziende confiscate: i numeri e gli aspetti gestionali. Secondo i dati aggiornati al 7 gennaio 2013, in Italia
sono state confiscate in via definitiva 1.708 aziende. Di queste, 623 in Sicilia, 347 in Campania, 223 in Lombardia, 161 in Calabria e 131 in Puglia. I settori economici interessati sono diversi: il comparto del commercio, seguito da quello delle costruzioni e della ristorazione. Ma non mancano le attività immobiliari e quelle finanziarie, l’informatica e i servizi alle imprese, le aziende agricole e quelle di pesca, le imprese manifatturiere e di trasporto, quelle che si occupano di sanità e servizi sociali e persino le società di produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas. Ad oggi, risultano ancora in gestione dell’Agenzia nazionale circa 300 aziende confiscate a titolo definitivo, di cui solo poche decine sono ancora attive sul mercato. Molte aziende confiscate pervengono nella disponibilità dello Stato prive di reali capacità operative e sono nella grande maggioranza dei casi (95%) destinate al fallimento, alla liquidazione e alla cancellazione dai registri camerali e tributari. Le cause di questo
vero e proprio “spreco di legalità” sono diverse: revoca dei fidi bancari, innalzamento dei costi di gestione, rapporti con i clienti/fornitori, gestione conservativa delle aziende. Il Progetto Libera Terra. I beni immobili confiscati costituiscono ormai risorse diffuse sul territorio, utili a fungere da volano per interventi organici e strutturati di sviluppo locale. Il progetto Libera Terra è nato nel 2000 e da allora è attivo nella promozione dell’incontro tra i soggetti locali ai fini della nascita di cooperative sociali alle quali affidare la gestione dei beni. Nel corso degli anni il progetto ha mantenuto e consolidato l’obiettivo di valorizzare e recuperare per finalità produttive i terreni liberati dalle mafie, allo scopo di ottenere prodotti agricoli di alta qualità attraverso metodi rispettosi dell’ambiente e della dignità dei lavoratori. L’attenzione è stata volta alla riscoperta
dei sapori tipici tradizionali: la conduzione dei vigneti, la scelta di produrre secondo metodi, saperi e formati artigianali la pasta secca, i legumi, l’olio d’oliva extravergine, la mozzarella di bufala, i succhi di frutta fresca, le conserve. Alle cooperative Libera Terra hanno aderito Comuni e consorzi, Camere di commercio, associazioni di categoria, organizzazioni professionali agricole, diocesi e altri soggetti economici, sociali e culturali. Le cooperative sono anche luoghi di esperienze formative, accessibili a migliaia di studenti, giovani e persone attraverso volontariato, educazione ambientale e organizzazione di tour secondo i criteri del turismo responsabile.