Trentennale della Strage di Via D’Amelio: ritrovare l’ardore di fare ciò che è giusto per combattere la mafia e garantire la sicurezza della collettività

Cosa Nostra

Ci troviamo oggi a ricordare la strage di Via D’Amelio in cui, trent’anni fa, vennero uccisi in modo efferato il Magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi.

Come sempre questi momenti di commemorazione ci impongono delle riflessioni, perché il ricordo fine a sé stesso, limitato in un’unica giornata di facciata, non ci appartiene, in quanto Vittime impegnate attivamente ad onorare il sacrificio dei nostri cari ogni singolo giorno.
Dopo le varie proposte di modifica dell’art. 4bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in tema di “concessione di benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia” e a fronte degli ultimi avvenimenti, seguiti dai recenti chiarimenti forniti, in merito alle visite effettuate alle sezioni detentive destinate al regime carcerario previsto dall’art. 41 bis o.p., non possiamo sottacere il permanere di quella strisciante sensazione che manifesta come tutto sia cambiato, sebbene si sostenga il contrario.
Vediamo impianti normativi, ideati appositamente da coloro che conoscevano molto bene il fenomeno mafioso, venir sgretolati sotto l’inarrestabile effetto del tempo, che cambia la percezione di un male sempre presente e privo di scrupoli, soprattutto in un clima politico, sociale ed economico, nazionale e internazionale, particolarmente travagliato.
Non vi è dubbio che la situazione di stallo di tante attività, dipesa dalle recenti misure anticontagio, oltre a determinare una maggiore vulnerabilità per le famiglie e le imprese, abbia creato condizioni favorevoli agli interessi della criminalità organizzata.
Tra le mille difficoltà degli ultimi anni, inclusa, appunto, la pandemia che ha condotto a concessioni penitenziarie non condivisibili, ci ritroviamo di fronte ad un processo modificativo che, invece di operare per rendere effettivo il percorso rieducativo della pena all’interno del sistema normativo attuale, rimuovendo gli ostacoli e i cedimenti presenti e conosciuti, cerca di cambiare il sistema stesso per renderlo quasi inutile, addirittura proponendo di demandare ad altri soggetti una funzione propria dello Stato.

Questi nostri pensieri seguono un percorso, iniziato il 21 marzo con la giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia (https://www.vittimedeldovere.it/comunicati.php?id=4161) e proseguito il 23 maggio in occasione del trentennale della strage di Capaci (https://www.vittimedeldovere.it/comunicati.php?id=4249).
In entrambe le ricorrenze abbiamo avuto modo di sottolineare che le recenti proposte normative in merito all’articolo 4bis, portano con sé il grave rischio di smantellamento di uno strumento fondamentale di contrasto alle mafie che ha incentivato mafiosi, condannati all’ergastolo, alla collaborazione con lo Stato permettendo di indebolire le organizzazioni criminali.
Purtroppo ogni sorta di intervento che pone l’accento sui tentativi di demolizione del sistema penitenziario, viene ignorata o messa a tacere, senza considerare le possibili azioni risolutive che sono già state, da noi, auspicate da tempo.
L’odierna giornata ci consente di porre un altro tassello alle precedenti considerazioni e forse, una risposta alla prima domanda che ci siamo posti.
Probabilmente non stiamo facendo abbastanza perché il tempo scorre e le criticità evidenziate non sembrano portare ad un rafforzamento della lotta alla mafia.
Sono necessarie risposte concrete a problematiche denunciate dalla nostra Associazione che non hanno avuto né attenzione né soluzione. L’indifferenza istituzionale non risolve e non assolve dalle responsabilità, anche morali.

ASSOCIAZIONE VITTIME DEL DOVERE