PONTE SULLO STRETTO: TANTI PROCLAMI, POCA CHIAREZZA. COSA SI NASCONDE DIETRO LA GRANDE OPERA?

di Andrea Filloramo

Il Ponte sullo Stretto di Messina è l’opera più evocata della storia repubblicana italiana, che non esiste ancora ed è difficile che possa esistere nel prossimo futuro, ma è già costato centinaia di milioni di euro. C’è chi parla di 300 milioni, chi di oltre un miliardo ma il conto, con la ripartenza del progetto, è destinato – ne siamo certi – a crescere rapidamente.

La Corte dei conti, in un rapporto del 2013, stimava già allora che oltre 300 milioni di euro fossero spesi tra progettazione, studi di fattibilità e costi di gestione. Negli anni successivi, tra liquidazione, riattivazione e contenziosi con il consorzio Eurolink, che è il raggruppamento di imprese internazionali incaricato della progettazione e costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, la cifra è certamente non di poco lievitata.

Secondo un dossier di Legambiente, la spesa complessiva riconducibile al “sogno del ponte” supererebbe il miliardo di euro. La stessa società replica, però, che “i costi storici reali” sarebbero inferiori, ma ammette di aver impegnato risorse “per garantire la continuità giuridico-amministrativa” dell’opera.

Ad agosto 2025 il CIPESS ha approvato il progetto definitivo, stimando un costo totale di 13,532 miliardi di euro. È l’ennesima cifra record per un’infrastruttura che dovrebbe diventare la più lunga campata sospesa del mondo. Il valore è già aumentato rispetto ai 12 miliardi iniziali, includendo “oneri accessori” e adeguamenti normativi.

Il Ministero delle Infrastrutture, Matteo Salvini, difende il progetto definendolo “strategico e sostenibile”.

Lo difende anche, pur sapendo che ci sono molti messinesi che sono contrari, la messinese Matilde Siracusano di Forza Italia e Sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, che sempre si è dichiarata favorevole alla realizzazione del Ponte sullo Stretto: da tempo, ha presentato atti di indirizzo, partecipato a convegni e promosso iniziative per sensibilizzare sull’opera.

In un’intervista ha detto che a settembre u.s. sarebbero partite le opere propedeutiche” e ha affermato che i lavori sono stati resi possibili grazie al “Decreto Ponte”, approvato dal suo partito e dal governo. I lavori, però – come si può costatare – fino ad oggi non sono partiti.

L’ANAC, che è l’Autorità in materia di contratti pubblici, prevenzione della corruzione e trasparenza, ha espresso preoccupazioni per il rischio di sforare i vincoli europei di spesa pubblica.

La Corte dei Conti ha sollevato numerose perplessità, mettendo in discussione la delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile (CIPESS) che ha approvato l’opera.

La magistratura contabile ha evidenziato diverse criticità non di poco conto fra le quali: la giustificazione dell’urgenza, la motivazione insufficiente, l’aumento dei costi, la sostenibilità ambientale. Sono emersi anche dubbi sul rispetto delle norme europee e sulle valutazioni ambientali, con criticità già sollevate da associazioni ambientaliste come Greenpeace, Legambiente, Lipu e WWF.

La discussione tra chi vede nel Ponte un simbolo di modernità e chi teme l’ennesima cattedrale nel deserto, rimane, perciò, ancora aperta.

Una cosa è certa: in un momento di crisi economica globale e di forte incertezza per il futuro spendere decine di miliardi per un’infrastruttura così ambiziosa diventa ancora più controverso.

Nel frattempo, il Paese reale — quello che convive con disoccupazione, la precarietà e i servizi essenziali carenti — osserva con crescente diffidenza la promessa di sviluppo legata alle grandi opere. In un contesto economico fragile, ogni miliardo speso dovrebbe misurarsi non solo in chilometri costruiti o in ponti da fare, ma in fiducia pubblica ricostruita.

Controverso è anche il numero di posti di lavoro che potrebbero nascere dalla costruzione del Ponte, di cui parla Salvini che- da quanto lui afferma con periodiche modifiche – sarebbero 120.000, che egli fa intendere come stabili e permanenti, pur sapendo che non lo sono.

 Alcuni studi, anzi, segnalano che il ponte potrebbe determinare la perdita di posti di lavoro in settori esistenti: ad esempio quelli del traghettamento (autonomo, marittimo) e dei servizi collegati e il Comitato locale “Invece del Ponte” stima che i posti guadagnati potrebbero essere bilanciati da quelli persi, rendendo il saldo occupazionale non necessariamente positivo a regime.

Amministratore delegato di Stretto di Messina S.p.A. che vediamo tutti i giorni apparire in televisione per convincere della necessità anzi dell’urgenza del Ponte sullo Stretto è Pietro Ciucci, ingegnere, manager di lungo corso, che, dal 1982 ad oggi, ha attraversato tutte le stagioni della gestione pubblica delle opere come l’IRI e dell’ANAS, e infine il ritorno – quasi simbolico voluto da Salvini – al progetto che lo aveva accompagnato per quarant’anni.

 Per il progetto Ponte sullo Stretto – egli (oltre la pensione dall’ANAS di circa 300.000 euro l’anno) percepisce uno stipendio annuo di 240.000 euro.

Basta, quindi, fare i conti e il ricavo è di 45.000 euro al mese, che è una pingue somma alla quale non vuole rinunciare.

Per i sostenitori Ciucci è un tecnico esperto, “l’uomo delle grandi opere”; per i critici, invece, è il simbolo di una stagione in cui le infrastrutture italiane si sono spesso fermate ai tavoli ministeriali. Durante la sua lunga permanenza all’ANAS (dal 2006 al 2015), infatti, si sono aperti e chiusi numerosi cantieri, ma anche indagini e polemiche per spese gonfiate, appalti contestati e ritardi cronici.

Da evidenziare che in Italia ci sono ponti che a volte non si costruiscono, altri che si fanno e poi cadono. In tutti i casi, torna sempre a comparire il nome di Pietro Ciucci.

Fra i ponti che cadono occorre ricordare il viadotto Himera (2015), lungo l’autostrada Palermo-Catania, che divenne allora un simbolo del degrado delle infrastrutture siciliane — proprio nell’anno in cui Ciucci lasciava la presidenza dell’ente. “Non ho responsabilità dirette”, si difese allora, ma il crollo restò impresso nell’immaginario pubblico come “il ponte di Ciucci che cade”.

Da rammentare ancora è il viadotto Scorciavacche, situato lungo la strada statale 121 tra Palermo e Agrigento, in Sicilia. Inaugurato il 25 dicembre 2014, il ponte crollò sei giorni dopo, il 30 dicembre dello stesso anno. L’episodio scatenò un’inchiesta giudiziaria per accertare responsabilità tecniche e amministrative, coinvolgendo ANAS, imprese appaltatrici e progettisti.

Le perizie tecniche evidenziarono problemi di stabilità del terreno e difetti nella progettazione e nel collaudo, nonostante l’opera fosse stata dichiarata “a norma”.

Questo evento suscitò notevole attenzione mediatica e sollevò interrogativi sulla sicurezza delle infrastrutture italiane. Pietro Ciucci, all’epoca responsabile del progetto, fu coinvolto in un’indagine per induzione a dare o promettere utilità. .

 Si spera che il viadotto Scorciavacche, crollato pochi giorni dopo la sua inaugurazione, diventi il simbolo di una stagione in cui la retorica del progresso non superi la prudenza della progettazione e che l’urgenza di mostrare risultati tangibili , di tagliare nastri e inaugurare cantieri, mai prevalga sulla serietà tecnica e sulla responsabilità.