MESSINA E LA RUOTA DELLA DEMOCRAZIA

Leggendo o meglio rileggendo le notizie che hanno come sfondo la campagna per le Amministrative di Messina del 10 giugno si ha, a volte, quel senso di lieve vertigine, di assurdo, provato tante volte nei paesi che noi civili definiamo “terzo mondo”.

Un cronista normale dovrebbe interrogare l’intellighenzia cittadina, e chiedere senza ironia: “Che ne pensate di questa classe politica? Sono davvero loro quelli adatti a salvare la città dalla crisi?”. Ma se non hanno neppure la forza di raccogliere le firme necessarie alla presentazione delle liste come possono arrogarsi il titolo di salvatori di Messina? Davvero? Ma che cosa incredibile!

Si può perfettamente capirli: che può fare una un sindaco in una città dove i poteri economico, giudiziario, politico sono legati a filo doppio e triplo ? In questa città, simile a tante altre, ma più drammatica e più paradigmatica, il processo per la democrazia si è sostanzialmente dissolto nel grottesco.

Candidati usa e getta; candidati condannati; candidati farsa; candidati senza arte né parte; candidati senza dignità; candidati per la pensione. Povera Messina, povera classe dirigente.

Chi giudica chi? Chi è guardia e chi è ladro?

Siamo tra la pochade e la denuncia populistica. “Si dice che…”  è la parola che negli ultimi giorni gira tra i tavolini dei bar, in attesa che scoppi l’ennesimo bubbone giudiziario, uno dei tanti, tutti sull’avviso, tutti informati. Ma da chi, e soprattutto su chi. Tutti indagati in previsione di futuri ricatti.

Non vogliamo crederlo, non possiamo crederlo.

Storie sordide, esattamente speculari a quelle dei politici; truffe o tangenti, assurde, ridicole per chi ci giocasse su la propria reputazione, normali, appetibili per chi reputazione non ha e non pensa che debba averla, come sembra essere la norma generale di questa paradossale corsa elettorale. Sperando, intanto di raccogliere le firme. Secondo le regole.