LETTERA APERTA A CONCITA DE GREGORIO

Cara Concita,

mi chiamo Marina Viola e sono la mamma di un cerebroleso che sbava. Quando poi mangia i suoi biscotti al cioccolato, devi vedere che schifo: sbava una bava marroncina che sembra merda. A proposito di merda: si caga anche addosso, come ha fatto ieri sera. Non ha mai avuto un’insegnante di sostegno perché è talmente cerebroleso che manco lo hanno accettato nelle scuole pubbliche!

Parlavo con amici, genitori di figli cerebrolesi, proprio della condizione peggiore dei nostri figli: la loro vulnerabilità. L’incapacità di far gruppo, di organizzarsi e di protestare, ma anche l’incapacità di capire di essere discriminati. Peggio ancora della bava, peggio ancora delle crisi epilettiche settimanali e della difficoltà di comunicare, i cerebrolesi, come li chiami tu, sono alla mercé di tutti, ma proprio di tutti. Non c’entrano i contesti, non c’entrano le cazzate che persone fortunatamente normo dotate ma coglione fanno, non c’entra la sensibilità di chi, come noi, ha la responsabilità di parlare a grandi gruppi. Per esempio, ho una figlia queer e fortunatamente per lei, ci sono enormi manifestazioni in tutto il mondo che espongono discriminazioni e altro. Hanno il Pride, sono riusciti ad ottenere importanti leggi a loro favore, almeno qui negli Stati Uniti (in Italia, come sai, siamo terribilmente indietro). Per Luca non è così. Tutti, compreso l’ex presidente degli Stati Uniti, dove vivo da più di trent’anni, possono permettersi di deridere la loro situazione. Tanto, come vede, a parte qualche genitore arrabbiato, non ci sono conseguenze alcune. Fino a quando si capirà che i cerebrolesi hanno, ahimè per qualcuno, un ruolo fondamentale nella società e devono essere considerati, sarà sempre così.

Il loro ruolo nella società si chiama neuro diversità. Come ogni essere umano ha diverse caratteristiche a seconda di dove è nato, della cultura ricevuta, dalle opportunità, così i cerebrolesi hanno una serie di valori diversa dai nostri, un modo differente di percepire il mondo. Per esempio, non conoscono la competitività, non sono interessati a raggiungere alcun successo economico, non hanno nessuna voglia di far parte della politica, degli opinionisti. Non rompono le palle a nessuno, se non ai propri genitori o a chi non ha nessuna voglia di includerli nel quotidiano. Eppure, ci sono. Cosa facciamo: li eliminiamo? Non diamo loro le cure necessarie così se muoiono ci togliamo anche questo peso? Li utilizziamo per descrivere degli stronzi che vogliono fare dei selfie? Dimmi tu in che modo è meglio renderli più invisibili possibili. Sono tutta orecchi.

Ma tu lo sai quanto ho desiderato che mio figlio facesse parte della schiera di chi fa le cazzate, si fa i selfie, esce con gli amici, beve troppo e posta sui social delle tette nude? Per fortuna, invece, mi è capitato di avere un figlio cerebroleso, che mi ha insegnato che i valori della vita non stanno nella carriera, nella costante produzione di idee, di plastica, di fuffa, di mine vaganti. Non ci crederai, ma mio figlio è il mio fiore all’occhiello, è la mia salvezza da una società malata, in cui tutto passa, va tutto bene, basta che venda.

Parlare del contesto è ormai superfluo, una scusa che non serve più a niente. Oggigiorno, nel 2023, non riesco a pensare ad alcun contesto in cui si possa dire la parola fro**o, ne**ro, cicc**ne, mong*****e. Non ci è più permesso, perché se non ci si arriva con l’empatia, bisogna in qualche modo arrivarci: insultare le persone perché diverse da noi, ma non per questo inferiori, non è consentito in nessun contesto. Soprattutto, aggiungo io da madre di un cerebroleso, insultare persone che non si possono neanche difendere è ancora meno accettato.

Mi scuso per lo sfogo, ma mi sono sentita in dovere di dire la mia. Chiamiamola deformazione professionale: sono anni che mi ribello, anche se ovviamente non serve a niente.

Colgo l’occasione per salutarti e per augurarti tutto il bene.

Marina Viola

(nella foto: il mio fiore all’occhiello)

 

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