
Enzo Tortora. La vicenda umana e professionale del presentatore televisivo, dai successi al caso giudiziario che lo ha coinvolto. Il suo nome è anche ricordato per un clamoroso caso di malagiustizia di cui fu vittima e che fu poi denominato “caso Tortora“. Tortora fu accusato, su richiesta dei procuratori Francesco Cedrangolo e Diego Marmo, dal giudice istruttore, il magistrato Giorgio Fontana,[2] di gravi reati, ai quali in seguito risultò totalmente estraneo, sulla base di accuse formulate da soggetti provenienti da contesti criminali; il 17 giugno 1983 fu per questo arrestato e imputato di associazione camorristica e traffico di droga.[3]
Dopo sette mesi di reclusione in carcere, 2 trascorsi a Roma e 5 a Bergamo, nel gennaio del 1984, gli furono concessi gli arresti domiciliari per ragioni di salute, ma il 17 settembre 1985 i due pubblici ministeri del processo, Lucio Di Pietro e Felice Di Persia,[2] ottennero la sua condanna a dieci anni di carcere. La sua innocenza fu successivamente dimostrata e riconosciuta il 15 settembre 1986, quando venne infine assolto dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza confermata dalla Corte di cassazione nel 1987.[4] Durante questo periodo, Tortora fu eletto europarlamentare per il Partito Radicale, di cui divenne anche presidente. Tortora tuttavia, estremamente provato, morì nel 1988, appena un anno dopo la sua definitiva assoluzione.
Integro, integerrimo, esemplare, quest’uomo per bene è stato la vittima più grande della mala giustizia, che tutto è stata, tranne che giustizia, non è degna di essere lontanamente appellata con questo termine.
Non dimentico quel 17 giugno del 1983, “preso” alle 04:00 del mattino nel suo letto, dai carabinieri, come il peggiore dei sicari camorristi, lì comincia il suo tragico calvario che condanna Enzo Tortora e la sua famiglia a un incubo paradossale.
Fermo restando – beninteso – che i magistrati hanno sempre ragione, i giornalisti sempre torto. Dice il cane da guardia della notizia: non c’intenderemo mai. Noialtri “rompiballe” dobbiamo tener presenti molti casi di cronaca giudiziaria. Tutti quelli che possiamo, dobbiamo leggere. Il giudice, invece, ha presente sempre soltanto un caso. Il suo.
I fantasmi della storia del povero Enzo Tortora. Dunque, una sinfonia, più che un processo. Saremo mai noi poveri Cristi in grado di capirlo?
Il carcere, quella città nascosta che quasi mai rieduca. Occorre mettere chi è “dentro” in condizione di non scontare una doppia pena: quella della condanna legale e quella, una volta libero, del rifiuto sociale. Perché quest’ultimo è terreno fertile per i tanti casi di recidività. Tacerlo sarebbe disonesto.
Ricapitolando
I giornalisti sono quel che sono. L’ho detto e lo confermo. Vili, cattivi, disinformati, faziosi, eccetera. Però anche i giudici, a volte. Che attese smodate. Che esagerate pretese. Che sgradevoli sorprese ci fanno.