LA POESIA DEGLI INVISIBILI PER STRADA. E DELLE DIGNITA’

di Massimiliano Lussana – 

Ho letto un libro meraviglioso, e non solo perché l’ha scritto un collega, un amico, un membro della nostra Comunità a cui voglio bene, fin dai tempi in cui era impegnato nell’epica impresa di trattare quotidianamente con Nicola Forcignanò, che è una delle persone più straordinarie, sensibili e su cui sono più in sintonia sui valori nel mondo del giornalismo e civili, fra quelle che conosco. Amico e persona straordinaria se ce n’è una, ma anche un casinaro come pochi: non dimenticherò mai le notti di Usa ’94 passate in redazione con il calciobalilla e quelle prima all’Indipendente e quelle dopo, insieme ad altri amici: Maurizio Caverzan, Massimo M. Veronese, Roberto Scafuri, Pier Francesco Borgia, Daniele Di Venosa, Pierpaolo Gòdano, Carlo Piano, Barbara Silbe, Enrico Artifoni, Francesco Vergati, Gian Marco Chiocci, Gianandrea Zagato, Luca d’Alessandro, Paola Fucilieri, Simona Marchetti, Giovanni Negri, Cinzia Marongiu, Laura Rio e tantissimi altri.

Mi piace ricordare in particolare il miglior giornalista musicale e di spettacoli che abbia conosciuto insieme a Marco Mangiarotti e Mario Nicolao e ringrazio Massimo Poggini per averne parlato il giorno dopo il drammatico Natale del 2020: “Cesare G. Romana se ne è andato in punta di piedi il giorno di Santo Stefano. Cesare era ammalato già da diversi anni, e aveva quasi fatto perdere le sue tracce. Persona dotata di una sensibilità straordinaria, è come se a un certo punto avesse deciso di eclissarsi. Se cercate nei social e sul web, troverete pochissime tracce. Niente foto, nessun profilo, notizie col contagocce. Eppure Cesare G. Romana, decano dei giornalisti musicali italiani, è stato un maestro per tutti noi. Ognuno di noi ha imparato qualcosa da lui: leggevamo i suoi articoli invidiando la sua capacità di sintesi e la sua straordinaria conoscenza di ogni genere musicale”.
E paradossalmente è l’unica traccia che Cesare, il miglior amico e biografo di Fabrizio De Andrè, se ne è andato.
E scusatemi la digressione, ma ci tenevo.
Era un altro mondo, quello dei giornali. E, al di là di come la pensavamo sui singoli temi, a volte molto diversamente, eravamo una squadra.
In molti di noi arrivammo al Giornale, quando ancora non c’erano i computer, dal soffitto di via Negri crollavano pezzi di intonaco e si contavano i numeri di battute per i titoli dove una emme valeva tre elle.
Non dimenticherò mai una delle notti delle stragi e dei suicidi del 1993 quando, allora all’Indipendente, eravamo in pochissimi in redazione ma, nell’ansia di realizzare un’informazione il più possibile completa per i nostri lettori realizzammo qualcosa di epico, quasi trenta pagine. Piccolo particolare: due di più di quelle che servivano.
Insomma, erano anni in cui i giornali contavano tantissimo e lì conobbi Roberto Gugliotta.
Che aveva il sacro fuoco della notizia, a volte fin troppo, perché a sentir lui avremmo trasformato il Giornale nel Giornale di Messina, ma vivaddio, avercene.
E mi fa enorme piacere ritrovarlo oggi come autore di un bellissimo libro che vi consiglio di leggere, “Ultimo di trentamila. Il romanzo di un eroe dello Stato” (Elledilibro, 15 euro, spesi benissimo)
Soprattutto questo libro è stata una bella sorpresa perché ero prevenuto guardando la copertina e leggendo i primissimi capitoli. Temevo fosse il solito libro su trattativa e dintorni, un argomento completamente smontato dalla Giustizia e che si è concluso con l’assoluzione del generale Mario Mori e di tutti i suoi collaboratori, dopo un calvario ingiustificato durato anni ed anni, su cui hanno banchettato i soliti mondi del sospetto come anticamera della verità e a cui hanno dato credito anche persone perbene come Marco Marchegiano, sempre affascinato dal verosimile che a volte non distingue dal vero. E tutto questo, dalla parte della verità giudiziaria, nel libro c’è.
Ma il valore del libro di Roberto Gugliotta è che racconta altro: a partire dalla cattura di Totò Riina, che è solo un pretesto e lo sfondo narrativo per raccontare la storia di un servitore dello Stato tradito due volte da quello stesso Stato.
La prima con il processo al suo eroismo e la seconda con un caso di malasanità, colpevole, che gli porta via l’amore totale e assoluto della sua vita per un’operazione di routine prima in una clinica privata e poi in ospedale.
Ora , ovviamente, non vi spoilero tutto il libro che merita di essere letto, ma tutto questo accende o meglio spegne un fuoco nella vita del protagonista che decide di sparire, di annullarsi, di diventare uno degli invisibili che incontriamo ogni giorno per strada e da cui spesso scappiamo anche solo con lo sguardo.
Perché non chiedono l’elemosina, sarebbe molto più semplice.
Ma, molto più spesso, sono la nostra cattiva coscienza.
E quindi quella vita in cui il tetto è un cielo di stelle, ma anche meno romanticamente d’inverno dei gas di scarico delle auto per provare a scaldarsi.
E mi piace condividere tutto questo con alcuni dei sacerdoti più straordinari che conosco e che, a mio parere, vivono sulla propria pelle le parole di Cristo prima ancora di predicarle. Penso a Nicolò Anselmi, ora vescovo di Rimini, a Massimiliano Moretti, a Giacomo Martino, Valentino Porcile, Paolo Marrè Brunenghi e tantissimi altri.
Perché è solo grazie a loro e a chi, cattolico o laico, ragiona o agisce come loro che tanti invisibili, tanti ultimi, tanti scomparsi o annullati per propria scelta, ritrovano la propria vita, ma soprattutto la propria dignità. Perché credo proprio sia questa la parola chiave per comprendere questa storia: dignità.
Non la privazione, non la povertà, non la difficoltà, ma la dignità.
Chiunque abbia conosciuto chi vive per strada sotto i cartoni o anche semplicemente abbia avuto la fortuna di servire qualche volta a Sant’Egidio o in una delle comunità che aiutano chi ne ha più bisogno – nel libro si parla della straordinaria Opera San Francesco per i Poveri di Milano, ma potrei parlare di Sant’Egidio a Genova con Andrea Chiappori – sa che spesso non c’è alcun modo di convincere chi ha scelto la strada di optare per altre soluzioni: dormitori, servizi sociali o altro.
Perché la scelta della strada è una scelta psicologica e di vita prima di essere una scelta economica. E tutto questo Gugliotta lo racconta benissimo, con cuore, sensibilità, ricerca della bellezza.
Ne esce uno dei più bei carabinieri della storia della letteratura, bello come quello, diversissimo, raccontato da Salvatore Careddu, l’ispiratore dei “Racconti del maresciallo”.
Persone, i due carabinieri – quello di carta di Roberto e quello in carne e ossa, Salvatore – che, ancora una volta, nonostante tutto, ci fanno sentire orgogliosi di essere italiani.