La cartina della felicità: Pensare e fare politica. La politica deve invertire la rotta

Messina – Il 12 giugno p.v. si svolgeranno le elezioni amministrative. In questo periodo di fermento pre-elettorale, ogni schieramento politico studia la strategia utile per vincere e così guidare la macchina comunale. Il mio desiderio, dato il ruolo che ricopro, è quello di formare il buon cristiano e l’onesto cittadino.

Nella presente riflessione desidero, pertanto, delineare un quadro semplice e sintetico di riferimento etico per il cristiano che sente come proprio il compito di esprimere una preferenza per una parte dei candidati che ritiene più idonea a promuovere e fare il bene di tutti.

Chiarisco subito che non intendo entrare nel merito delle liste che verranno presentate né tanto meno tirare la volata a qualche compagine. Non l’ho mai fatto e a sostegno di questo orientamento trovo più che mai efficaci le parole di mons. Giovanni Accolla, Arcivescovo della nostra Diocesi, il quale incontrando un gruppo di preti del nostro comprensorio, il 9 febbraio u.s., ha ribadito: “Fate molta attenzione in occasione delle prossime elezioni amministrative! Nessun prete faccia della propria parrocchia la segreteria politica o il comitato elettorale di questo o quell’altro candidato. Ricordatevi che noi siamo ‘celibi’ e non possiamo unirci a nessuna coalizione. Rispettiamo le finalità specifiche di ogni ente, ma escludiamo di fare la stampella o di essere il tappetino di qualunque politico, grande o piccolo, si presenti.  La Chiesa dialoga con tutti gli uomini di buona volontà. Il bene, non il tornaconto, si accoglie da qualsiasi parte provenga”.

Fatta questa lunga e doverosa premessa, entro nel merito del tema che mi sono imposto, avvertendo che il taglio delle mie affermazioni sarà generale, ma non generico.

In punta di piedi, la mia analisi-riflessione inizia col dire che anche la politica ha bisogno di rinnovamento, allorché si osservano sempre più vari tentativi dei partiti – forsennatamente impegnati nell’autoconservazione – a mantenere potere e privilegi. Tante coalizioni, addirittura, si rinchiudono nel proprio interesse particolare.

Mi chiedo: in che cosa deve consistere il rinnovamento? Ritengo in una rigenerazione, in un atto di coraggio che intacca la radice stessa della politica. L’innovazione, intesa quale miglioramento e perfezionamento, non può non riguardare la mentalità e l’approccio morale dell’agire pubblico in quanto non può fermarsi esclusivamente a quei cambiamenti strutturali, di cui è semplice cogliere il significato. Purtroppo, in ossequio alla “Realpolitik” prosperano e dilagano convivenze pragmatiche tra i partiti e relative coalizioni, che affiorano nonostante i disperati tentativi di convergenze indebite o atteggiamenti arbitrari e dispotici.

Ralf Dahrendorf, illustre sociologo, nel suo libro “Pensare e fare politica” (Laterza 1985) invitava la politica a invertire la rotta, evitando di appiattirsi sul cosiddetto “realismo”, che di fatto nega la portata vitale dell’etica politica. Senza questa sfida l’arte del governare diventa gestione, maneggio, amministrazione corrotta dell’esistente.

Vorrei descrivere meglio questa dinamica, ripercorrendo passo dopo passo alcuni passaggi fondamentali, a noi familiari.

Le principali risorse delle coalizioni e dei loro programmi sono le persone. La realizzazione, infatti, del programma e la credibilità si affidano al comportamento dei singoli candidati. È, quindi, decisivo scegliere uomini e donne che possano agire responsabilmente nella gestione della cosa pubblica, nell’interesse di tutti e non di ciascuno, che posseggano conoscenza e competenza dei meccanismi pubblici, che abbiano soprattutto cultura e rispetto dell’essere umano, letto e considerato quale persona. Occorre chiedersi se costoro siano consapevoli dell’importanza dell’ufficio e della personale adeguatezza nel ricoprirlo.

Ho visto parecchie volte come la spasmodica volontà di essere eletti induce a concludere che la politica sia una ghiotta occasione di successo personale. Perderla, per costoro, è da stupidi. Pertanto, molti candidati (uomini e donne) intraprendono una gara senza esclusione di colpi, non risparmiando sortite per screditare e delegittimare l’avversario politico.  Agendo in questa maniera, si smarrisce l’arte del ragionare, del proporre, del persuadere e scompare il senso del limite e della misura. Il risultato è che da parte della gente si registra stanchezza per il frastuono, per una diffusa insincerità… Il modello del politico spregiudicato, a cui rimane estranea la morale, il più delle volte risulta dominante. Anzi, molti politici di basso cabotaggio teorizzano che la morale deve essere lasciata fuori dalla politica, modellando la propria attività sull’adagio machiavellico, il fine giustifica i mezzi. E chi, all’interno del confronto politico, fa professione di valori (senza strumentalizzarli ad usum delphini), appare un povero ingenuo o uno fuori posto.

Nel concreto… Non basta che la coalizione “X” scriva nel programma un insieme di obiettivi di alto profilo morale, quali, ad esempio, la difesa della vita dall’inizio alla fine, la promozione di una politica familiare, la solidarietà sociale verso i più deboli…, in quanto queste mete non saranno mai raggiunte, se prima esse stesse non risultino radicate non tanto nelle teste quanto nelle coscienze delle persone che le propugnano, se non costituiscono un ideale stesso dell’impegno politico.

La controprova è immediata: quando un politico non ha alcun ideale si trasforma in politicante.

L’ulteriore passo su questa direttrice è contrassegnato da un riferimento obbligato: la verità sull’essere umano da vivere e proporre senza alcuna mistificazione. Deve essere la cifra dei singoli candidati e il paradigma col quale questi si relazionano con i cittadini, i quali nell’esprimere la preferenza per un candidato lo fanno perché in lui vedono uno “strumento di moralizzazione” in vista del bene comune.

Qui, purtroppo, risuonano note stridenti, perché è fin troppo evidente che molte coalizioni, da strumenti di mediazione fra Stato e cittadini, hanno monopolizzato quasi sequestrandola la sfera della vita pubblica. Per cogliere nell’immediato le ricadute di questa affermazione, basterebbe porsi una domanda netta e schietta: i candidati hanno la virtù dell’umiltà e il rispetto dell’avversario politico?

Per rispondere a tale quesito, bisogna tornare alle basi teoriche e pratiche della politica, la quale è mediazione, cioè comprensione dell’avversario (non del “nemico”), consapevole che nessuno possiede la verità intera. Ognuno, infatti, milita nel proprio gruppo di appartenenza per promuovere la sua parte di verità, della quale non ha l’esclusiva. Dovrebbe essere pacifico il fatto che nelle altre coalizioni vi sia una parte di verità che va riconosciuta e valorizzata.

Mi avvio alle conclusioni, affermando che i cristiani non possono stare alla finestra a guardare quello che i politici propinano alla società. Con la propria testimonianza devono “annunciare e denunciare” che la cura del bene comune non può essere lasciata ai “professionisti o pseudo tali della politica”, spesso con il DNA degli arrampicatori sociali…

La Chiesa ha sempre valorizzato quelle iniziative che si prefiggono di formare all’impegno politico, quale gestione amorosa e intelligente della cosa pubblica.

Auguro che alle prossime elezioni amministrative ognuno possa scegliere i propri candidati, secondo coscienza, non facendosi incantare dal canto ammaliante delle solite sirene: “ricorda quello che ho fatto per te…”, eco di luridi ricatti che bisogna lasciar cadere nel vuoto.

Noto con rammarico che tante persone svendono la propria libertà ai ciarlatani, nella misura in cui chiedono “favori” per le cose che spettano loro per giustizia.

Davanti ai proclami elettorali, prima di esprimere una preferenza, chiediamoci: per chi concretamente è pensato questo programma? In che modo potrà essere realizzato?

Auguro che la prossima competizione elettorale veda i cristiani percorrere la via della conciliazione e della mediazione.

Ettore Sentimentale

 

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