ITALIANI POCA GENTE. IL MALESSERE DEMOGRAFICO

Ho appena finito di leggere un ottimo libretto (ha una dimensione ridotta rispetto agli altri volumi a cui sono abituato leggere) già dal titolo stupefacente, “Italiani poca gente. Il malessere demografico”, l’autore, un noto demografo italiano, Antonio Golini, pubblicato dalla Luiss University Press (pag 221; 2019) Il testo viene scritto insieme a Marco Valerio Lo Prete, giornalista del Tg1, che in pratica fa una lunga intervista a Golini.

Il testo invita a riflettere sullo stato comatoso dell’Italia. Abbiamo il record negativo di nascite e rapido invecchiamento, è ormai un caso studiato ovunque nel mondo. La crisi demografica costringe a ripensare tutto: sviluppo economico, lavoro, welfare e politica estera. In pratica le coppie non riescono fare i figli che assicurano, la piena sostituzione dei genitori, riducendo la popolazione, si riducono i bambini, poi gli adolescenti, i giovani, la forza lavoro, i possibili genitori, dando così luogo ad una involuzione a partire dal punto di vista demografico e quindi quantitativo.

Dovrebbe rappresentare il problema numero uno per un Paese, invece, leggendo il libro, scrive Piero Angela nella prefazione si rimane allibiti, “possibile che tutte le cose che vengono dette, spiegate, documentate, non riescono a innescare una reazione vitale in persone che, per cultura e formazione, dovrebbero essere particolarmente sensibili a queste problematiche?”

E’ una domanda che si pongono da anni diverse associazioni sensibili al problema, come Alleanza Cattolica, che fin dagli anni ‘90 ha lanciato l’allarme della denatalità.

Nel 2006, un’inviata del New York Times, descrive la città di Genova, con queste parole: “[…] in nessun luogo il calo è stato così drastico e prolungato come in questa stupenda città che si affaccia sul Mediterraneo, il capoluogo di una regione italiana sempre più canuta chiamata Liguria. Genova ci offre uno scorcio di come sarà il futuro di un continente che invecchia. Mostra le sfide con cui dovrà confrontarsi una società nella quale gli anziani sono più numerosi dei giovani, e lascia intendere quanto sia difficile invertire una spirale di declino della popolazione”.

In questa realtà urbana, la cosa più evidente è che “i bambini non giocano più nelle strade”. Sostanzialmente la Liguria dopo dieci anni da quell’’inchiesta ha raggiunto l’increscioso record di essere la regione più anziana d’Europa. Pertanto, l’Europa assomiglia sempre più ad una “grande Liguria”. Si incomincia a parlare espressamente di “suicidio demografico”. Si poteva evitare tutto questo? Si poteva evitare l’implosione demografica? Gli allarmi per troppo tempo hanno raccolto assoluto silenzio tra gli intellettuali, tra i politici. Da qualche mese sembra che ci sia stato qualche sussulto.

Recentemente il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo ha presentato il consueto bollettino Istat. Drammatico, come sempre, sul fronte demografico. I numeri sono impietosi. Abbiamo sfondato due soglie psicologicamente deprimenti: siamo scesi a 59 milioni di abitanti, con 700mila morti – dato che non si registra dalla II Guerra Mondiale -, e soprattutto abbiamo stabilito il record della più bassa natalità di sempre rompendo l’argine dei 400mila nati: “Precisamente 399.431 nascite, meno 1,3% rispetto al 2020 e meno 31% rispetto al 2008”, ha detto Blangiardo dopo la presentazione partecipando al convegno “Una nuova visione demografica per il futuro dell’Europa” organizzato dal gruppo Ecr- Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo.

In media ci vorrebbero due figli per coppia, invece il tasso annuale è intorno a 1,2 per coppia. Non basta. Blangiardo ritiene un buon segnale, l’assegno unico varato dal governo Draghi, è il primo gradino, ma bisogna fare di più. L’assegno unico va nella direzione giusta nell’affermare il concetto che dobbiamo investire sul capitale umano – ha detto Blangiardo – ma bisogna anche riconoscere che nel PNRR si è dato molto spazio al digitale e all’ambiente, mentre sembra che ci si sia dimenticati della grande sfida demografica”.

Ma è proprio sul ruolo del Governo in merito alla denatalità che sia la Rauti che Blangiardo si sono trovati d’accordo: quando entrambi hanno sottolineato l’assenza dal PNRR delle politiche di inversione del calo demografico. Quel PNRR col quale si vorrebbe far ripartire il Paese a suon di miliardi da restituire dopo la stagnazione di questi anni culminata con i due anni depressivi di pandemia.

“Con l’assenza delle politiche famigliari dagli stanziamenti, si certifica nero su bianche che l’inversione del deficit demografico non è un investimento per il governo. Ora a ribadirlo è anche il presidente dell’Istat, che di mestiere fa il demografo e che ripete da troppi anni, ormai, il triste ritornello”. (A. Zambrano, “Blangiardo svela il bluff: demografia ignorata dal PNRR”, 15.3.22 lanuovbq.it)

Tuttavia il giornalista de Lanuovabq.it intravede un piccolo segnale di speranza. La Rauti ha annunciato che Fratelli d’Italia ha proposto l’istituzione della giornata nazionale della vita nascente come già avviene in altre nazioni “perché siamo convinti che la maternità abbia un valore sociale e che la famiglia vada messa al centro della società”. Emblematica e “potente” la data scelta: il 25 marzo, giorno in cui la Chiesa fa memoria dell’Annunciazione di Maria, 9 mesi esatti prima di Natale. Anche solo per questa corrispondenza tra il calendario liturgico e quello civile, la proposta merita di essere sostenuta trasversalmente. È chiaro che, impegnarsi a celebrare una giornata per la vita nascente, comporterà però anche prendere una posizione decisa sul tema tabù, che si cela dietro il drammatico calo demografico: l’aborto. Servirà coraggio.

DOMENICO BONVEGNA