Facebook vuole fare una sorta di Twitter. Un duro colpo alla libertà d’espressione?

Sembra che il boss di Facebook/Meta, Mark Zuckerberg, abbia un piano per lanciare “la risposta a Twitter”, un’app simile alla piattaforma di Elon Musk ma che sia “gestita in modo sano”, secondo una mail inviata dal chief product officer di Meta ottenuta dal sito The Verge. Nome in codice ‘Project92’, nome pubblico Threads, la nuova piattaforma sarebbe sostenuta da personaggi come il Dalai Lama e Oprah Winfrey, rispettivamente 19 e 42 milioni di follower su Twitter (1).

Se dovesse accadere si tratterebbe di un ulteriore duro colpo alla libertà d’espressione.

Social come Facebook, concepiti con intenti altruisti, sono diventati nel tempo business puro. Sembra che gli investimenti siano concentrati perché sia una piattaforma per tutti che dicano e scrivano cose che non debbano dare preoccupazione a nessuno. La censura della piattaforma di Zuckerberg pur di evitare qualunque problema, usa algoritmi di controllo della legalità (la loro legalità, ovviamente) che non prendano in considerazione la libertà d’espressione, ma solo una sorta di equilibrio che non crei problemi al manovratore (Facebook).

 

Facciamo due esempi, tra i tanti, che ci hanno riguardato. Il nostro account è stato inibito di alcune funzioni perché una volta, parlando di razzismo avevamo pubblicato un manifesto fascista sulla razza del trentennio del secolo scorso; un’altra volta, parlando di edilizia della prima metà del secolo scorso durante il regime tedesco di Adolf XXXX (non scriviamo il nome perché è per questo che siamo stati “puniti”.

Ovviamente si trattava di discussioni, da parte nostra, tutt’altro che inneggianti a questi due regimi del secolo scorso, ma di confronto storico e culturale e artistico sulle vicende del nostro precedente secolo.

Qualcuno dirà che a Facebook usano algoritmi un po’ all’ingrosso e questo sarebbe il prezzo da pagare per evitare di essere subissati e travolti da propagande le più truci possibili. E’ possibile, ma è un prezzo che lede la libertà d’espressione: affidare la censura ad algoritmi e non, eventualmente a persone in carne ed ossa che valutino il contesto, sembra proprio un metodo violento e censorio che impedisce a quella piattaforma di essere luogo di confronti. Infatti Facebook oggi non è più luogo di confronto come, invece, avviene su Twitter, ma di scambi di storie tra amici e tutti quelli che gli algoritmi considerano brave persone.

 

Il problema nasce perché la proprietà preferisce investire in questo modo piuttosto che un altro, probabilmente meno remunerativo ma che non collima con gli intenti per cui decenni fa la piattaforma di Zuckerberg è stata creata e per cui le persone hanno deciso di parteciparvi.

 

Ora, di fronte a questa sfida che sembra arrivare per una nuova piattaforma modello Twitter, non ci può non far venire in mente che, se Zuckerberg pensa questa possa per lui essere un nuovo business, visto Facebook, forse lo diventerà, ma non c’entra nulla con informazione, espressione e le loro libertà. Se poi Zuckerberg abbia intenzione di fare cultura e informazione e anche qualche soldino, la musica sarebbe diversa.  Ma ci si consenta di dubitarne molto.

 

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc