Vieni o Spirito creatore. Acclamate a Dio, cantate al Signore

A distanza di una settimana dalla canonizzazione di GIOVANNI BATTISTA MONTINI, OSCAR ARNULFO ROMERO GALDÁMEZ, FRANCESCO SPINELLI, VINCENZO ROMANO, CATERINA KASPER, NAZARIA IGNAZIA MARCH MESA e NUNZIO SULPRIZIO, il cuore e la mente vibrano ancora della risonanza del grido di giubilo che ha sancito ritualmente la santità dei suddetti beati: IUBILATE DEO, CANTATE DOMINO (Acclamate a Dio, cantate al Signore).

Anch’io ho avuto l’opportunità e la gioia immensa di concelebrare assieme a migliaia di persone (oltre 150 diaconi, circa 3500 preti, quasi 500 vescovi e altrettante personalità del mondo socio-politico internazionale, uno stuolo immenso fedeli calcolato al ribasso in 80.000) la liturgia eucaristica presieduta dal Vescovo di Roma.

I mass-media hanno rilanciato in tutto il mondo le immagini in diretta riuscendo a trasmettere anche ai lontani fisicamente il clima di festa che pervadeva l’avvenimento…ma ciò che i mezzi di comunicazione di massa non potevano comunicare era la percezione di trovarsi in una nuova pentecoste , non solo perché la celebrazione si era aperta con l’inno VENI CREATOR SPIRITUS (Vieni o Spirito creatore) quanto per la chiara e netta sensazione di essere convenuti da tutte le parti del mondo eppure formare un solo corpo, ritrovarsi diversi per razza e lingua eppure uniti dall’unico linguaggio dell’Amore.

E si sa che all’Amore si risponde amando Colui che fissa il suo sguardo nei nostri occhi e scruta il nostro cuore. L’unica risposta alla “chiamata”, alla sequela è quella del primato di Dio: lasciare la zavorra che ci trattiene invischiati a ciò che di fronte al Regno è secondario e relativo (cfr. Mc 10,17-30, brano evangelico di quel giorno).

Qui trova fondamento, a mio parere, uno dei tratti comuni a tutti i canonizzati: la passione per il Regno di Dio, declinata con accenti diversi ma convergenti, espressione della santità della Chiesa. Tale comune desiderio si è fatto “ascolto/dialogo” in Paolo VI, “difesa dei poveri” in Romero, “adorazione permanente” in Spinelli, “educazione ed evangelizzazione” del mondo rurale in Romano, “accoglienza e promozione sociale” in Kasper, “fedeltà e coraggio” vissuti nel nascondimento in March Mesa, “condivisione delle sofferenze” in Sulprizio…

Oggi, agli uomini del post-moderno (o del post-cristiano come alcuni dicono) questi santi riescono a proporre delle provocazioni esistenziali, non solo con il loro esempio da imitare, quanto con la portata profetica che costringe e riformulare la “scala dei valori” sempre più minacciata dalla pervasività dell’arroganza e del successo, dal potere, dagli scarti sistematici degli ultimi, dalla centralità dell’opportunismo e non della coscienza…

Sono tante facce dell’unico prisma che mette abilmente Dio fuori gioco…

Vorrei tentare adesso, un po’ per deformazione “professionale”, una brevissima rilettura dei primi due santi: Paolo Vi e Romero.

Entrambi hanno vissuto sulla propria pelle la fedeltà alla svolta conciliare chiamando tutti a vivere la duplice fedeltà, come cassa di risonanza dell’esperienza dell’Uomo-Dio, Gesù di Nazareth. Entrambi hanno avuto “disagi”: dall’interno, il loro mondo ecclesiale e dall’esterno le intemperanze politiche.

Il primo è stato tirato per la giacca dagli opposti schieramenti dei padri conciliari: progressisti e conservatori…eppure è riuscito a condurre in porto la barca di Pietro, con qualche tentennamento ma con decisa consapevolezza che lì (il Vat. II) si stava consumando l’inevitabile e preziosa rivoluzione copernicana per la Chiesa cattolica. Da lì in poi l’Assemblea del popolo di Dio ha compreso di non poter più tornare indietro…

Il secondo è stato bersaglio facile dell’episcopato del suo paese che mal tollerava la scelta profetica del vescovo di San Salvador perché destabilizzava la Chiesa e la esponeva alle ritorsioni del potere dittatoriale…

Paolo VI ha sostenuto (indirettamente) certe scelte “compromissorie” della politica italiana attraverso la “vicinanza” ai suoi ragazzi (fra i quali il più conosciuto è Aldo Moro) ed è stato azzannato da larghe frange di cristiani reazionari avvezzi ai privilegi di natura politica…

Romero ha avuto la docilità e fermezza del “servo del Signore” (cfr. Is 53) nell’autodonarsi  – come il pastore bello –a proteggere il suo gregge, davanti all’arrogante violenza del regime che ha agito con lui come Erode nei confronti del Battista. Gli è stata chiusa la bocca ma il suo silenzio forzato è stato più eloquente di quando era in vita.

Un’ espressione di Paolo VI offre, in conclusione, la chiave ermeneutica per cogliere l’orizzonte esistenziale di questi due santi: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni”. Interessante mi sembra la genesi della pericope appena citata. La si trova nell’esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi” dell’8 dicembre 1975, ma era stata già pronunciata nell’Udienza al Pontificio Consiglio per i laici, tenuta il due ottobre del 1974…

 

Ettore Sentimentale