Storie di preti: una vita di assoluta castità non sempre è sintomo di serenità spirituale

di ANDREA FILLORAMO

I seminari minori, da quel che risulta, sono stati chiusi in tante diocesi; rimangono attivi solo i seminari che accolgono i giovani per lo più diplomati o laureati quindi, ben consapevoli delle scelte che hanno fatto e capaci di riinserirsi dopo un periodo di formazione, più o meno lungo, nel mondo.

 

Essi dovrebbero, quindi, a differenza di tanti preti che sono entrati in seminario quando erano preadolescenti o adolescenti, avere piena coscienza delle difficoltà che incontreranno una volta che diventeranno preti; avere, quindi, un alto grado di capacità per far fronte agli eventi, per riorganizzare la propria vita e per ricostruirsi restando fedeli a quel che liberamente hanno deciso di fare.

Eppure, non sappiamo se per tutti o per la maggior parte, è proprio così.  Non sono pochi, infatti, secondo quanto pubblicato dai giornali, i preti giovani pedofili; altri, che vivono nell’ipocrisia tipicamente clericale, altri ancora che stanchi o insoddisfatti del loro status o per altri motivi, magari dopo pochi anni della loro ordinazione, abbandonano il ministero.

A questi ultimi, in modo particolare, accenniamo. Diciamo subito che, prima di arrivare alla “rottura” con la vita precedente, forse, questi preti si sono mortificati, si sono consegnati alle fantasie solitarie, ma, alla fine, hanno compreso o si sono convinti che quanto l’istituzione pretendeva da loro in cambio dell’aureola di santità era, a loro parere, estraneo al Vangelo e al volere di Dio e, quindi, hanno lasciato.

La domanda, quindi, è d’obbligo: “Perché quel che accade nei giovani preti o nei preti in generale, non succede, in egual misura – data l’analogia che si può facilmente cogliere fra la salute spirituale e quella fisica – nei medici, che rispettano, in genere, gli impegni deontologici vocazionali, legati alla loro professione e non abbandonano la loro professione per sceglierne un’altra?

Le risposte possono essere tante. Diciamolo a voce molto bassa: una vita di assoluta castità non sempre è sintomo di serenità spirituale o di pace interiore; anzi, particolarmente se imposta, se non è accompagnata da un’intensa e forte spiritualità e, perché tale, raggiungibile da pochi, può anche dar luogo come risulta dalle molte indagini fatte in diversi Paesi, a fenomeni patologici e può accompagnarsi ad uno stato depressivo e di profonda e insopportabile infelicità.

Tutto dipende dalla formazione che  viene ad essere data nei Seminari, che sono strutture concepite quasi cinque secoli orsono durante il Concilio di Trento, che pur avendo subito negli ultimi anni molti cambiamenti rimangono, tuttavia, dei collegi, dove viene ad essere trasmessa una forma mentis molto peculiare e distinta da quella prevalente nel resto della società, dove non si apprende solo la teologia e l’indispensabile bagaglio culturale del prete, ma anche il senso di appartenenza a una “casta” di eletti, di uomini speciali, di creature fuori dal comune, meritevoli di maggior rispetto e considerazione rispetto ai comuni mortali, capaci, quindi, di tenere a freno le loro pulsioni per tutta la vita. Insieme a questo si coltiva il legame viscerale con l’istituzione ecclesiastica e si genera, così, un vincolo di appartenenza totale che prevede, da parte del sacerdote, la totale consacrazione alla vita della Chiesa, la perenne obbedienza alla sua volontà e il rispetto, almeno formale e pubblico, della norma celibataria. Da parte sua, la Chiesa fornisce, nel corso di tutta la sua vita da prete, il sostentamento, l’assistenza e la protezione in caso di qualche guaio, soprattutto se legato, in senso lato, alla sfera della sessualità. E’ nei seminari e nelle facoltà teologiche dove si inocula la convinzione che da preti si agisce  in “persona Christi”: è questa una locuzione latina che significa letteralmente “nella persona di Cristo” ovvero “come se fosse Cristo“. La locuzione sta ad indicare quelle azioni compiute come se fosse Gesù stesso a compierle. Proprio il fatto di agire “come se fosse Cristo” e di ripetere gli stessi gesti e le sue stesse parole del Cristo è uno dei motivi per cui viene ad essere esaltata all’inverosimile la figura del prete disumanizzandolo. Forse bisognerebbe tornare alla chiesa delle origini, facendo valutare alle comunità cristiane l’idoneità del candidato al sacerdozio, annullando così i Seminari.