Ratzinger il “papa conservatore”

Non è stato mai un caso che Papa Benedetto XVI sia stato definito da più parti un “papa conservatore” se non “reazionario”. Ratzinger, che da sei anni non è più Papa, pare ancora affascinato e attratto dalla Chiesa medioevale fondata sulla tradizione e che rifugge totalmente dalla modernità…

 

di ANDREA FILLORAMO

Non è stato mai un caso che Papa Benedetto XVI sia stato definito da più parti un “papa conservatore” se non “reazionario”. Ratzinger, che da sei anni non è più Papa, pare ancora affascinato e attratto dalla Chiesa medioevale fondata sulla tradizione e che rifugge totalmente dalla modernità. Ciò risulta evidente nei suoi cosiddetti Appunti sugli abusi sessuali apparsi su molti siti e sui quali sono piovute molte critiche da parte dei giornali laici nel silenzio quasi generalizzato di quelli cattolici, che sono apparsi paralizzati di fronte al lungo e articolato intervento dell’ex Papa del tutto inaspettato.

Molti si aspettavano di leggere qualcosa a commento nel giornale dei vescovi, ma il sito di Avvenire non ne ha parlato per niente, mentre la vaticanista Stefania Falasca, dello stesso giornale, ha pubblicato due tweet inequivocabili contro Ratzinger, in quanto papa emerito e quindi vescovo emerito di Roma, e ha considerato la sua, un’interferenza, un magistero parallelo che rischia di oscurare quello di Francesco.

La giornalista cita  articoli che non hanno bisogno di alcun commento del Direttorio per i vescovi “Apostolorum successores” dove si legge: “Il Vescovo emerito avrà cura di non interferire in nulla nella guida della diocesi ed eviterà ogni atteggiamento e rapporto che potrebbe dare anche solo l’impressione di costituire quasi un’autorità parallela a quella del Vescovo reggente» e ancora: “Per l’unità pastorale il Vescovo emerito svolgerà la sua attività sempre in pieno accordo e in dipendenza dal Vescovo in modo che tutti comprendano chiaramente che solo quest’ultimo è capo e primo responsabile del governo della diocesi”.  

Credo che la Falasca colga nel segno se sottolinea l’inopportunità e la pericolosità per l’unità della Chiesa dell’intervento irrituale di Ratzinger, convinto non si sa da chi o autoconvinto della necessità di allinearsi con i nemici dichiarati di papa Francesco, ai vari Socci e Messori, anzi di dare loro quell’autorevolezza che non avrebbero sperato di poter avere da parte di un papa emerito che ha avuto per decenni un potere illimitato nella Chiesa cattolica e che – cosa più grave – non si sentirebbe assolutamente responsabile di quanto nel bene o nel male è avvenuto all’interno della Chiesa, compresa per molto tempo la tolleranza e il silenzio sul fenomeno pedofilia e abusi sessuali dei preti.

Egli pertanto, sostiene, con la sicumera di un consumato sociologo, che, per capire tale fenomeno e quello degli altri abusi sessuali del clero, bisognerebbe fare riferimento agli anni ’80, sulla scia di un Concilio, che occorrerebbe rivedere. Proprio allora – scrive il Papa emerito – “nei seminari si formarono club omosessualche agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima. La Santa Sede sapeva di questi problemi, sebbene senza esserne informata nel dettaglio, ma non riuscì a frenare la deriva progressista del cattolicesimo”. Stante questa teoria del Papa emerito, i preti dai cinquanta anni in giù, che si sono formati in quegli anni nei seminari, sarebbero o omosessuali o perché convissuti con omosessuali potrebbero rifugiarsi, in determinati momenti della vita, nell’omosessualità. Ratzinger parla anche di vescovi eletti nonostante avessero un “atteggiamento cri­tico o negativo nei confronti della tradizione vigente”.

Per Ratzinger, quindi, l’episcopato sarebbe riservato ai tradizionalisti; ai preti “progressisti” nessuna promozione o addirittura, se alzano troppo la voce, la sospensione a divinis. Ratzinger conosce bene queste censure in quanto molte volte le ha applicate. Il Papa emerito, critica, inoltre, i prelati che “rifiutano la tradizione cattolica” in nome di “un nuovo rapporto con il mondo” e una “moderna cattolicità”. Per il Papa emerito, bisogna rigettare la modernità, che è opera del diavolo. In un libro egli scrive: “È significativo che proprio quei cattolici progressisti che tanto sbandierano il dovere di andare fra gli ultimi e di accogliere sempre e chiunque, non riconoscono, poi, il tratto essenziale della civiltà moderna: la pretesa di fare a meno di Dio. E mentre vedono e denunciano le ‘strutture di peccato’ come le banche o le multinazionali, non vedono quella struttura di peccato globale che è la civiltà moderna, basata sull’avere e sull’apparire, e negatrice dell’essere. È una cosa piuttosto strana, vero?”.  Infine Ratzinger lamenta di come in alcuni seminari “studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano ritenuti non idonei al sacerdozio”.

In quelli che sono stati presentati come appunti non poteva mancare un pizzico di personalismo con accenni a proibizioni che potrebbero essere semplicemente sospetti da parte dell’ex Papa, che non aggiungono proprio nulla all’esame del fenomeno. A proposito della pedofilia dei preti, spero proprio che il Papa emerito non condivida, anzi rifiuti la tesi sulla pedofilia dei preti, sostenuta dal ratzgeriano Vittorio Messori, giornalista e scrittore cattolico, che, in un’intervista a La Stampa pubblicata l’11 agosto 2007, intitolata: “Il problema? troppi gay nei seminari?” afferma tranquillamente che a un uomo di Chiesa è consentito che ogni tanto tocchi “qualche ragazzo” se poi ne salva a migliaia. Dopo aver ricordato che molti santi e beati della Chiesa erano psicopatici, affetti da gravi turbe sessuali, Messori si spinge a dichiarare che la pedofilia è, secondo un certo “realismo della Chiesa”, nient’altro che un’ipocrita invenzione. Motivo? La linea di demarcazione tra l’adulto e il bambino – sostiene lo scrittore – è sempre convenzionale, non c’è nessuna sostanziale differenza tra un rapporto omosessuale consensuale tra due adulti e quello di un adulto con un bambino.

A nessuno è consentito gridare allo scandalo per questa intervista del Messori, in quanto tale concezione purtroppo è molto radicata nella tradizione cristiana–cattolica e, più in generale, nell’antropologia del sacro: l’uomo di Chiesa, giacché prende a modello il santo, non sarebbe più un uomo in mezzo ad altri uomini, ma un uomo che, aspirando alla santità, si ritiene al di sopra di ogni moralità, talora perfino della legalità. Ratzinger lo sa bene, essendo un grande teologo, che tale concezione, affonda le sue radici nel lontano passato quando la Chiesa tollerava la pedofilia, anzi gli uomini di Chiesa tranquillamente la praticavano.

La pedofilia, infatti, è storicamente accertata come pratica nella gerarchia ecclesiastica sin dal Sinodo di Elvira del 306 e, quindi non nasce in conseguenza della dissoluzione della morale cattolica dovuta al Concilio Vaticano II. Il Sinodo di Elvira, infatti, ci fornisce un quadro terrorizzante delle violenze sessuali che potevano avvenire sotto la cupola ecclesiastica ai danni di minorenni indifesi, tanto che si parlò con disprezzo di “catecumeni infanticidi” e di “violentatori di bambini”, stupratori di minori che erano spesso definiti – con un termine più circostanziato – pederasti, ovvero omosessuali con una spiccata predilezione verso i bimbi. Basta, inoltre, sfogliare i libri penitenziali del medioevo per rendersi conto di quanto fosse diffusa la lascivia irrefrenabile tra i preti. Tali scritti affrontano argomenti scabrosi e scellerati dei rapporti sessuali criminosi tra appartenenti al clero e bambini, fanciulle e ragazzi.