PERCHE’ HAMAS HA SCATENATO UNA GUERRA SAPENDO DI NON POTERLA VINCERE?

Raramente si trova un servizio così equilibrato e obiettivo sulla guerra nella Striscia di Gaza, ci ha pensato il sito del Centro Studi Livatino (Edoardo Fiore, Gaza: un po’ di Storia e alcuni fatti, 18.7.25, centrostudilivatino.it)

L’intento del servizio è quello di riflettere per avviare un realistico percorso di pace giusta. L’autore del servizio prima di occuparsi dell’attualità fa un po’ di Storia sulla Palestina, per capire quello che sta succedendo oggi. Tralascio questo passaggio e vado alle elezione del 2006 a Gaza, quando la maggioranza fu ottenuta per l prima volta da Hamas, con concentrazione di voti a Gaza, ove era più presente. L’anno successivo scoppiò un conflitto armato – la “guerra civile palestinese” – tra Hamas e Fatah. Conflitto concentrato prevalentemente a Gaza, dove Hamas, più presente, aveva ottenuto un ampio consenso alle elezioni. Nel giugno del 2007, Hamas conquistò militarmente Gaza. I rappresentanti di Fatah furono eliminati.
A seguito della vittoria elettorale e la formazione di un governo a esclusiva guida di Hamas, Israele, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, molte nazioni occidentali e alcuni Paesi arabi, dichiarando Hamas un’organizzazione terroristica, non riconobbero la legittimità del Governo palestinese ed imposero sanzioni. Gaza è quindi separata dalla Cisgiordania controllata dall’ A.N.P. La Palestina è ora scissa in due: Gaza e Cisgiordania; La Cisgiordania governata dall’ANP, Gaza da Hamas.
Nel frattempo, Hamas ha cominciato, e protratto per anni, il periodico lancio di razzi e missili, forniti dall’Iran come buona parte delle armi, contro le città israeliane di confine e Tel Aviv. Israele ha costantemente risposto, colpendo le postazioni di lancio ed edifici considerati strategici per Hamas. Nel 2014 l’esercito israeliano è entrato per la prima volta a Gaza City, in risposta agli attacchi di Hamas. Il conflitto, è durato quasi due mesi con una tregua, subito rotta da Hamas con nuovi lanci di razzi e missili. Lanci, di non particolare intensità, proseguiti sino all’attuale guerra. Israele era solita rispondere con il bombardamento delle postazioni di lancio avversarie.
Veniamo al 7 ottobre 2023.
In tale giorno, prendendo di sprovvista gli israeliani, Hamas, unitamente a miliziani della Jihad Islamica e di quelle del FDLP, ha attaccato, con circa 3.000 combattenti, gli insediamenti israeliani al confine. Sono state uccise circa 1.200 persone, di cui 859 civili, tra cui molti vecchi, donne, molte di queste violentate e poi assassinate. Le efferate atrocità commesse furono filmate e diffuse dallo stesso Hamas. I palestinesi hanno catturato 254 ostaggi, quasi tutti civili, tra cui moltissimi vecchi, donne e bambini anche piccolissimi. L’attacco, esplicitamente rivendicato da Hamas, ha portato all’invasione di Gaza, volto alla liberazione degli ostaggi ed all’annientamento di Hamas e delle milizie islamiste alleate.
Una domanda è lecito porsi, e cioè perché Hamas ha scatenato una guerra con la consapevolezza di non poterla vincere in alcun modo militarmente. Le forze in campo, infatti, sono le seguenti: Israele 529.000 effettivi, Palestinesi (Hamas, Jihad Islamica, FDLP) circa 40.000, di cui circa 30.000 del solo Hamas.
La guerra si sta ancora protraendo, nonostante la incomparabile forza militare israeliana, uno degli eserciti più potente, armato, addestrato e determinato del mondo. Quello dei palestinesi non lo si può nemmeno definire un esercito, essendo una milizia dotata solo di armi leggere.
La ragione della protrazione della guerra è riconducibile alle particolari condizioni in cui si svolge il conflitto: si combatte in “ambiente urbano”, densamente popolato ed urbanizzato. L’ambiente peggiore per un esercito attaccante. Gli israeliani sono costretti ad avanzare e combattere metro per metro, strada per strada, casa per casa, stanza per stanza. Addirittura, passando attraverso le case contigue. Tale situazione ha portato ad un massiccio uso di attacchi con missili per neutralizzare i combattenti palestinesi annidati ovunque. Ovviamente anche nelle case civili ed edifici pubblici, che divengono così obiettivi militari. Di qui l’alto numero di vittime civili tra cui molti bambini, stimate a oggi nel numero di 60.000 (secondo dati forniti da Hamas), senza però alcuna specificazione del numero dei combattenti palestinesi caduti.
Un discorso a parte merita pure l’arma più micidiale dei palestinesi: i tunnel. Un alto dirigente palestinese ebbe infatti a dichiarare: «La guerra dei tunnel è una delle tattiche militari più importanti e pericolose di fronte all’esercito israeliano perché presenta una dimensione qualitativa e strategica, per i suoi effetti umani e morali, e per la seria minaccia e una sfida senza precedenti per l’esercito israeliano. Macchina militare, pesantemente armata e che segue dottrine di sicurezza che comportano misure di protezione e prevenzione. La tattica è sorprendere il nemico e sferrargli un colpo mortale che non gli consenta alcuna possibilità di sopravvivenza o fuga o gli consenta la possibilità di confrontarsi e difendersi».
I tunnel ad uso militare, realizzati negli anni con ingentissimo impegno finanziario, costituiscono un reticolo stimato in 500 chilometri concentrati sotto le zone abitate di Gaza. Essi consentono ai miliziani di sbucare di sorpresa innanzi alle truppe israeliane, colpire e sparire sottoterra, sorprendere il nemico alle spalle. I più grandi sono vere e proprie gallerie che permettono il transito di grossi automezzi. Sono attrezzati con camere adibite per ogni necessità: deposito armi, centri di comando, infermerie e camere operatorie per gli interventi più semplici.
In conclusione, è un fatto che Hamas si è preparato, meticolosamente e per anni, a provocare, con l’attacco del 7 ottobre del 2023, una lunga guerra d’assedio, i cui costi sono stati finora in larga parte pagati da quella stessa popolazione che Hamas dice di voler difendere.
Così come è un fatto che l’alto numero di vittime civili pone un problema ulteriore, quello relativo al rispetto dello ius in bello da parte dell’Esercito israeliano. Quel che emerge, infatti, con evidenza è il mancato rispetto da parte delle forze armate israeliane del diritto umanitario che impone, al di là di ogni provocazione o esigenza legata alla tattica bellica, di non colpire la popolazione civile e di non aggredire obiettivi all’evidenza privi di significato militare, quali, ad esempio, le Chiese.
Una pace duratura non può che essere (il più possibile) giusta. Giusta significa rispettare i diritti di ciascuno. Ed il primo diritto da rispettare, anche e soprattutto da parte di chiunque affronti la questione, è quello dei fatti a non essere mutilati.

a cura di Domenico Bonvegna