Né i nostri peggiori timori né le nostre maggiori speranze sono al di sopra delle nostre forze

di ANDREA FILLORAMO

Uomini e donne sono in grado di avere, in un solo giorno, più di mille pensieri. Spesso questi pensieri che insorgono uno dietro l’altro sono utili e sensati; altre volte, al contrario, possono essere disfunzionali, irrazionali, intrusivi, fuori controllo.  

Possono anche diventare o risultare incompatibili con le rappresentazioni ideali in cui noi consapevolmente o inconsapevolmente tendiamo a riconoscerci e, per questo, essi possono apparirci fastidiosi e possono essere causa di ansia e disagio.

Se questo è avvenuto sempre anche nell’arco più o meno lungo dei nostri anni, negli ultimi tempi, in cui su di noi si è abbattuta pesantemente una tempesta emotiva, causata dalla pandemia e da una guerra nel cuore dell’Europa, molti sono i pensieri che non sempre siamo riusciti a controllare.

Prima ci è arrivata addosso, infatti, la pandemia, che ci ha fatto vivere una vita innaturale, asociale, distaccata, poi un conflitto che rischia di allargarsi per diventare totale, che è ancora in atto, che ha avuto e ancora ha un impatto rilevante sulla nostra esistenza e che sicuramente condizionerà il nostro futuro.

E’ questo uno scenario inaspettato e inquietante, che si è prospettato improvvisamente  davanti a noi, che ci obbliga a convincerci, in ogni caso, di cambiare il modo con cui guardiamo la realtà che ci circonda, di considerare la nostra vita e la vita degli altri.

Dobbiamo, cioè. autoconvincerci che vivere vuol dire vedere scorrere la nostra vita come scorre un fiume, come scorre il tempo, come sorge e tramonta il sole. Il “ panta rei”, cioè il “ tutto scorre” di Eraclito ci fa comprendere che tutto è   soggetto al cambiamento, che non sempre è migliore di ciò che c’era precedentemente, che è l’essenza delle cose stesse ed è anche  una condizione della loro stabilità.

La realtà ci obbliga ad avere il coraggio  di vivere con la leggerezza dei monaci buddhisti, che praticano il non-“attaccamento” e quindi smettono di soffrire non dovendo trasportare dentro di sé quel peso tipico dell’attaccamento: la paura, cioè,  di perdere le cose e le persone, l’ansia che qualcuno le danneggi o ce le porti via, il dubbio logorante che ciò che si ha non sia mai abbastanza.

Quando faremo come i buddisti – e non è facile anzi è estremamente difficile perché l’idea di possesso domina tutta la nostra vita e tutta la cultura occidentale – spariranno le illusioni e la conseguente sofferenza. Ci rimarrà quanto di più prezioso ci sia, cioè: noi stessi.

Nessuno pensi che questo sia un invito a vivere nel fatalismo: è assurdo pensare che il mondo sia governato da una necessità ineluttabile e del tutto estranea alla volontà e all’impegno dell’uomo con il conseguente atteggiamento di rassegnata passività agli eventi che bisogna saper dominare.

Né i nostri peggiori timori né le nostre maggiori speranze – scrive Marcel Proust – sono al di sopra delle nostre forze, e possiamo riuscire a dominare gli uni e a realizzare le altre”.

Dominare gli eventi significa superare con grande coraggio pericoli e avversità con l’ottimismo cristiano, col senso della misura. Dio, per chi crede, oltretutto, non abbandona gli uomini e la fede nella Provvidenza permette di dare un senso ai fatti e alla storia dell’uomo.

Non è così per i pessimisti come George Orwell, con la sua società devastata e inaridita, campione della letteratura pessimista, che è in buona compagnia con Schopenauer, Leopardi, Camus, Balzac, Zola e Dostoevskij.

Apparteremmo anche noi alla schiera dei pessimisti se pensassimo che la scienza sia incapace di sconfiggere tutti i virus che da 3000 anni ci fanno precipitare nella paura. L’esperienza che abbiamo fatto del Covid 19 e tutte le esperienze terapeutiche pregresse ci insegnano, oltretutto,  che col tempo ogni virus può essere debellato.

Saremmo pessimisti se pensassimo  che la guerra in Ucraina, al di là di chi la vincerà o  la perderà, duri chi sa per quanto tempo per l’incapacità di intraprendere la via diplomatica che l’unica che può e deve essere intrapresa.

Saremmo ancora degli incalliti pessimisti se pensassimo, per semplice esempio, che il 25 settembre prossimo, visto il pantano politico ed economico in cui siamo precipitati, non si tenga conto quando saremo chiamati ad esprimere un voto che determinerà il nostro prossimo futuro,  di quanto diceva Martin Luther King quando affermava “Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.”