L’importanza dell’elezione di Biden per la Chiesa

di ANDREA FILLORAMO

Joe Biden il 20 gennaio u.s, ha giurato come 46° presidente degli Stati Uniti ed è il secondo presidente cattolico del Paese, dopo John Kennedy, vissuto negli anni sessanta quando dominava in quasi tutti gli Stati americani una cultura anticattolica e antiromana, quando il presidente era obbligato a considerare la fede cattolica un fatto necessariamente privato e, quindi, non pubblico.

La Chiesa cattolica statunitense, nel suo complesso, ha preso atto dei risultati delle elezioni giudicati da Trump estorti, che hanno portato alla Casa Bianca Biden e ha manifestato la sua soddisfazione, evidenziando il fatto che il nuovo Presidente è un osservante scrupoloso, che porta sempre in tasca il rosario, che partecipa attivamente ai riti religiosi, che conosce e cita la dottrina sociale della Chiesa, alla quale fa sempre riferimento, che ha voluto che il suo giuramento fosse introdotto da un prete gesuita, amico di famiglia. Può presentarsi, quindi, pubblicamente come un presidente degli Stati Uniti, anche se cattolico.

Per comprendere l’importanza dell’elezione di Biden, occorre  riflettere sul fatto che l’episcopato, cattolico americano, a differenza di tutti gli altri episcopati si divide a metà, quello, progressista, che si ispira al Concilio Vaticano Secondo e a Papa Francesco, che è più attento ai temi dei poveri e degli immigrati, al quale aderisce Biden e quello, sostenuto per lo più dalla destra repubblicana, che è in posizione anti conciliare, quindi ultraconservatrice, ed è stato un fiero sostenitore di Donald Trump.

È cosa certa: c’è una certa parte della gerarchia cattolica americana che non coglie o meglio non intende cogliere nella sua complessità religiosa la personalità di Biden, che avrà un peso determinante nella politica statunitense, e trascura gli aspetti di fondo che l’avvicinano a Papa Francesco.

L’aperto sostegno di una parte consistente dell’episcopato statunitense all’ex presidente degli Stati Uniti, in America è ben noto a tutti.

Basta solo accennare a quello che è venuto prima delle elezioni dai vescovi Thomas Joseph Tobin (Providence), Richard Frank Stika (Knoxville), Joseph Edward Strickland (Tyler), che si sono aggiunti al cardinale Raymond Leo Burke e all’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, che ha invitato il Papa alle dimissioni.

Strickland, il vescovo blogger noto per la sua intransigenza dottrinaria, prima delle elezioni, aveva rivolto un chiaro appello ai cattolici, allusivo a Biden date le sue aperture ad alcuni temi sensibili: “Votate con coscienza ben formata e scegliete i candidati che rispettano la vita, la moralità, il matrimonio, la famiglia e le nostre libertà fondamentali. È fondamentale mantenere le verità eterne in primo piano mentre votiamo”.

Siamo certi che ora con Biden, secondo cattolico dopo John Kennedy a entrare alla Casa Bianca e che ha incontrato Papa Francesco più volte, le cose cambieranno, anche se gradualmente.

A tal proposito Stefano Ceccanti, ex presidente della Fuci (universitari di Azione cattolica), professore di diritto pubblico alla Sapienza, scrive “l’elezione di Biden può essere considerata ‘complementare’ all’elezione di Papa Francesco, e può segnare anch’essa un tipo di approccio alla libertà religiosa, in una cornice di sinfonia tra pensiero democratico e ispirazione religiosa, obiettivamente alternativo alla retorica dei principi non negoziabili, ridotti, alla fine, alla sola insistenza su sanzioni penali all’aborto, e al trumpismo. Una mentalità intransigente che ha portato anche la Chiesa cattolica ad essere parte del problema, degli eccessi di partigianeria, invece che parte della soluzione (…) la Costituzione americana, è costituita da ‘articoli di pace’, che rendono possibile e fecondo il pluralismo, e non da opposte dichiarazioni di fede che strumentalizzano la Costituzione in una logica da militanti (…..) che semplificano la realtà e che pretendono di bloccare la dinamica evolutiva della politica e del diritto”.