STEPINAC, IL CARDINALE CHE NON SI E’ PIEGATO AI TOTALITARISMI DEL NOVECENTO

Il Novecento è stato l’epoca dei totalitarismi, Conquest l’ha definito il secolo delle idee assassine. Il secolo delle ideologie, che hanno causato tanti lutti, a cominciare dal socialcomunismo, dal nazionalsocialismo e in parte il fascismo. Chi più chi meno hanno perseguitato la Chiesa cattolica, ma anche le altre chiese. In questo contesto è vissuto un uomo straordinario, Alojzije Stepinac, croato, sacerdote, vescovo e poi cardinale.

Ho appena finito di leggere una sua biografia curata da Neki Istranin, “Stepinac. Un innocente condannato”, edizioni L.I.E.F. Vicenza (563 pag), pubblicato nel 1982.

Purtroppo, non esistono pubblicazioni su Stepinac, almeno in Italia. Infatti, l’autore consapevolmente scrive che il libro “non riuscirà a colmare una grave lacuna culturale e agiografica, ma servirà almeno a rompere il silenzio caduto su un personaggio eccezionale, un tempo al centro di vivacissime polemiche”.

Luigi nasce a Krasic l’8 maggio 1898, i genitori Giuseppe e Barbara, hanno dato la possibilità di studiare a tutti i figli, anche se i loro campi richiedevano molte braccia. Luigino andò a studiare a Zagabria nel collegio religioso. A 18 anni nonostante avesse scelto la vita religiosa, partì per il servizio militare, pronto per partecipare alla prima guerra mondiale come ufficiale dell’esercito austriaco. Affrontò numerosi pericoli, subì qualche ferita, fu preso anche prigioniero, ma rimase vivo.

Ritornato a casa dopo aver tentato un fidanzamento con Maria Horvath, scelse la strada del sacerdozio, facendo così contenta la mamma Barbara, che aveva intensamente pregato Maria Ausiliatrice. Alla sua vocazione hanno contribuito padre Bruno Foretic e monsignor Loncaric. “Le sue doti intellettuali, morali e psicologiche erano abbondantemente sufficienti per fare di lui un buon sacerdote, mentre la pietà gli garantiva l’assistenza di Dio”.

Per prepararsi al sacerdozio il 28 ottobre 1924 entra nell’Istituto “Germanico” di Roma. Poi frequenta anche la “Gregoriana” per 7 anni. Il 26 ottobre 1930 viene ordinato sacerdote. Ritornato in patria celebra la prima Messa solenne a Krasic.

Il 1 ottobre 1931 viene nominato cerimoniere arcivescovile, fino al 1933. Nel 1934 viene eletto arcivescovo coadiutore di monsignor Bauer a Zagabria con diritto di successione. Alla morte di Bauer, Stepinac diventa il 72° vescovo e il 5° arcivescovo di Zagabria e presidente delle conferenze episcopali.

Pertanto, a 39 anni è il capo della Chiesa cattolica Jugoslavia. Stepinac era consapevole di rappresentare un’autorità religiosa ancora venerata da tutta la popolazione croata che aveva combattuto per la fede, per l’unità e l’identità nazionale e culturale, in questo periodo di ostinato lavorio disintegrante del governo serbo.

“Più un popolo è piccolo, tanto più è portato all’autodifesa, a raccogliere tutte le forze per difendere la sua identità; e quanto è minore la libertà politica, tanto maggiore sarà lo sforzo per conservare la libertà culturale e si cercherà di sviluppare piuttosto i caratteri distintivi che quelli comuni con altri popoli fratelli”.

Monsignor Stepinac da subito si è prodigato a intensificare la pastorale per risvegliare la fede. Puntò molto sulle famiglie e sull’azione cattolica, lottò contro la pornografia e l’aborto, contro la bestemmia. Sviluppò la stampa cattolica, intuendo l’importanza di avere un quotidiano cattolico. “Quando si tratta della fondazione di un quotidiano cattolico, bisogna fare qualunque sacrificio, perché si tratta di una cosa di Cristo…”. Inoltre, Stepinac puntò molto sulla moltiplicazione delle parrocchie a Zagabria. Erano soltanto sei per una popolazione di 250 mila abitanti.

La vita di Stepinac come della popolazione croata è legata alla tragedia della II guerra mondiale. Istranin lo scrive chiaramente, Luigi Stepinac potrebbe essere chiamato “martire di tre regimi”, perché ha svolto la sua attività sotto tre dittature diverse: quella serba, ustascia e comunista. Tutte e tre gli furono ostili.

Il libro si sofferma sulla Storia della Croazia, in particolare quella del Novecento, in particolare gli avvenimenti vicini alla II guerra mondiale. Dopo i contrasti con il governo serbo, Stepinac deve affrontare l’estremismo nazionalista del movimento ustascia dell’avvocato Ante Pavelic, impegnato nella costruzione del nuovo Stato croato indipendente da Belgrado.

Pavelic per questo scopo si alleò col fascismo italiano e successivamente con Hitler. “L’infelice Pavelic, tirannello se confrontato con i tiranni di allora che si chiamavano Stalin, Hitler, Mussolini, cercava, naturalmente, di ottenere riconoscimenti internazionali al nuovo Stato croato”.

Pavelic si professava cattolico convinto e praticante e presentava il suo Stato rigorosamente cattolico, pertanto voleva ottenere il riconoscimento ufficiale del Vaticano. Ma il riconoscimento diplomatico non avvenne mai. Per la Santa Sede, gli Stati riconosciuti erano quelli prima del conflitto. Intanto fu inviato in Croazia in missione diplomatica l’abate di Montevergine, D. Giuseppe Ramiro Marcone. La situazione politica in Croazia è confusa e intricata. “In quella povera terra, tutti combattevano contro tutti. C’erano almeno quattro lupi affamati, che si contendevano il boccone: I Serbi (Cetnici), i comunisti (Titini), gli italiani e i tedeschi”. L’unica colpa per il popolo croato, era quella di trovarsi in una posizione geografica strategica importante.

In questa situazione si trova ad operare monsignor Stepinac. Il testo indaga su quale sia la sua posizione politica nei riguardi del governo della Croazia Indipendente? “Stepinac non era un politico, ma un credente e un pastore zelante delle anime”. Tuttavia quando venne proclamata l’indipendenza, tra l’enorme esultanza popolare, Stepinac non si esaltò, erano giorni di guerra, di bombardamenti. Erano troppi gli interrogativi che emergevano dopo quella proclamazione. Aveva grosse riserve nei confronti dei protettori del governo Pavelic. Ci possono essere grosse sorprese, soprattutto in riguardo alla paganeggiante Germania di Hitler. “Non credo che Hitler voglia aiutarci a conquistare l’indipendenza…”, affermava Stepinac.

Era consapevole che doveva sempre conservare la libertà apostolica, tutta intera. Pertanto nessun partito, nessun movimento o governo potrà avere il suo consenso in anticipo. “Egli sarà alleato della verità, della giustizia e della libertà”.

Tuttavia Stepinac voleva più di ogni altro la libertà del popolo croato, “era profondamento convinto che il suo popolo aveva pieno diritto di costituirsi  in uno Stato sovrano e che aveva la maturità di darsi un governo autonomo e civile, tanto più che da 1300 anni aveva sempre conservato gli elementi essenziali di sovranità e di indipendenza”.

Stepinac non aveva preferenze particolari sul tipo di governo: repubblica o monarchia. A lui premeva l’indipendenza, che si concretizzava in uno Stato dove regnasse la giustizia, la libertà, l’onestà. Non aveva molta fiducia nei principi enunciati dal movimento Ustascia di Pavelic. Anche perchè lo vedeva condizionato dagli elementi stranieri presenti nel Paese.

Stepinac era legato al suo dovere pastorale, per questo non lo fermerà nessuno.“Non l’hanno fermato i Serbi…Non lo fermerà Pavelic, o i suoi amici, e neanche i suoi protettori, e non lo fermerà più tardi il maresciallo”.

Questo coraggio non l’ha avuto Pavelic, è crollato presto. “Pavelic non è diventato un martire, ma una canna sbattuta dal vento, un vile esecutore degli ordine degli altri, peggiori di lui. Se Pavelic fosse stato un eroe – scrive Istrain – sarebbe stata un pò più facile la vita di Stepinac… c’era posto anche per due eroi, ciascuno nel suo campo. Sarebbe stato bello!”.

In questi mesi di guerra con continui spostamenti di popolazioni, Stepinac affrontò la questione dei profughi, aiutando più gente possibile. In quei giorni,“I governi pensavano all’esercito; i partigiani pensavano alle rapine; ai miserabili doveva pensare l’arcivescovo, e gli altri vescovi…”.

La guerra nei Balcani era spietata, tutti dediti ad uccidere, chi restava a piangere erano i bambini e le vecchie, ma spesso venivano massacrati anche questi. Centinaia di bambini rimanevano orfani ed avevano bisogno di assistenza, il vescovo croato si distinse in questo aiuto dei piccoli.

Stepinac aiutò anche i perseguitati politici, e nessuno fu mai interrogato a quale Chiesa appartenesse. Questa sua attività lo mise in contrasto con l’autorità civile. Stepinac difese sempre i deboli, anche gli ortodossi, nonostante in passato avevano commesso soprusi nei confronti dei cattolici croati. Infatti subito cominciarono le vendette nei confronti dei serbi ortodossi, ora in minoranza, considerati spie, traditori, la quinta colonna dei cetnici, dei comunisti. In quei mesi si dovette affrontare anche la questione delle conversioni più o meno sincere.

Dovere del vescovo era di proteggere tutti, non si poteva accettare e giustificare una indiscriminata persecuzione o deportazione di tutti. Stepinac quando sapeva di fucilazione di ostaggi, cercava di salvarli sempre, ricordando che per la morale cattolica non è lecito uccidere ostaggi per delitti commessi da altri. “Questo è paganesimo (=nazismo) e non porterebbe la benedizioni di Dio…”.

Comunque di fronte alle atrocità della guerra spietata, “non potendo impedire la barbarie, cerca almeno di mitigarla”. In questi frangenti gli uomini di Chiesa sono dei testimoni non richiesti. Così si preme sulla curia per allontanare i religiosi dalle città dove si compiono efferati delitti. Comunque sia Stepinac si è schierato sempre dalla parte degli ortodossi, considerandoli fratelli. Probabilmente si poteva fare di più per evitare certe infamie, è stato sempre così, quando è in atto una guerra.

Ci sono i documenti a testimoniare il grande impegno della Chiesa croata per asssistere gli internati nei campi di concentramento, gli aiuti della Caritas, da far pervenire a tutti, si tratta di dare corso alle più elementari principi di umanità.

Un capitolo importante è l’aiuto sincero del cardinale Stepinac nei confronti degli ebrei. Nonostante la presenza dei nazisti e della legislazione del governo Pavelic, che discriminava gli ebrei. E quando gli ebrei furono costretti a portare un nastro giallo sul braccio destro, Stepinac si oppose categoricamente: “siamo fuori di tutte le leggi della morale e del buon senso – disse, rivolgendosi al ministro – perchè questo significa esporre gli Ebrei alla estinzione e intanto imprimere loro un marchio d’infamia…”.

Gli interventi a favore degli ebrei e degli ortodossi si susseguivano frequenti, con parole chiare, quando non veniva ascoltato, tentava di far ragionare, “ma erano giorni in cui molti avevano perso la testa”. Rivolgendosi ai vari governanti ustascia,  faceva riferimento alla loro dichiarata fede cattolica, che veniva spesso impunemente tradita.

“L’attività di Stepinac a favore degli Ebrei fu riconosciuta dagli Ebrei di tutto il mondo…”. Ecco cosa scrive il dott. Weltmann sul cardinale, in una lettera rivolta al Delegato apostolico mons Roncalli (il futuro Giovanni XXIII) : “Noi sappiamo che Mons. Stepinac ha fatto tutto quello che poteva per aiutare gli Ebrei e per alleviare la loro sorte in Croazia”.

Stepinac difese anche i sacerdoti sloveni, che subirono persecuzioni ad opera della famigerata Gestapo. Molti di questi sacerdoti furono ospitati in Croazia e protetti da Stepinac. Monsignor Stepinac si distinse sempre come un tenace difensore della libertà di coscienza, in questi territori di scontri tra religioni non era facile. Gli ustascia premevano perché gli ortodossi abbracciassero la fede cattolica, questo confliggeva con l’evangelizzazione libera, senza restrizioni della Chiesa cattolica. Stepinac non poteva accettare questa imposizione. “La Chiesa certamente non poteva e non voleva rinunciare alla sua missione evangelizzatrice, ma voleva assolutamente non essere e non sembrare, neanche sembrare, uno strumento del regime”.

Sulla questione il testo di Istrain è abbastanza chiaro. La Chiesa cattolica non doveva chiudere le porte a chi volesse entrare con retta intenzione. “Ma neppure voleva che vi entrassero altri che di questo non erano convinti, coloro che vi cercavano solo interesse economico o protezione politica o il comodo di stare con il più forte”.

In questo frangente la Chiesa croata approvò un memorandum, su come bisogna comportarsi in questi mesi complicati sui rapporti tra Chiesa e Stato.

Il libro chiarisce con ampia documentazione quale è stato il rapporto di mons. Stepinac con gli “Ustascia”. Molte cose infamante sono state scritte contro il cardinale, soprattutto da parte dei comunisti del maresciallo Tito. Stepinac amava l’indipendenza della Patria come tutti i croati, ma era una patria diversa da come la intendevano i nazionalisti ustascia.

Il cardinale rivolgendosi ai giovani cattolici sostenne che “avevano diritto e dovere di sentirsi croati contro il pertinace lavorio di snazionalizzazione portato avanti dai Serbi. Amare il proprio popolo non era, dunque, un merito degli Ustascia, come si vanteranno, ma un dovere cristiano”.

Con la fine della guerra, si apre il tragico capitolo della resa dei conti, i tedeschi e gli italiani si ritirano, o meglio fuggono, con loro gli Ustascia. Co l’avanzare dei Cetnici di Draza Mihajlovic e dei comunisti di Tito, iniziano le vendette e i massacri. Come il cardinale Schuster a Milano, così Mons. Stepinac tentò tutte  le vie per salvare Zagabria dalla distruzione totale. Fuggiti quelli che potevano fuggire, l’arcivescovo rimase al suo posto, in attesa del terzo regime, la terza tirannia, la terza persecuzione. “Egli era restato con il suo gregge già decimato, che stava per essere assalito dal più rabbioso branco di lupi, dal potere spietato dei comunisti”.

Stepinac nella Jugoslavia comunista. Monsignore era in grado secondo Istrain a dimostrare filosoficamente l’assurdità della dottrina comunista. Stepinac non poteva accettare il materialismo violento e armato comunista, soprattutto guardando le esperienze di altri paesi come lo stalinismo. Parlando del comunismo monsignor Stepinac affermava che questi erano saltati nella nostra patria come cavallette affamate, che vorrebbero strapparci Dio dal cuore e dall’anima. “Questo inferno l’ha già creato in alcune nazioni quella masnada di assassini che il mondo chiama comunisti. Ora, fin che dura la guerra (perchè si pesca meglio nel torbido) vorrebbero portare questo inferno anche nella nostra patria”. Il popolo croato anche se piccolo non tradirà la propria storia, la propria vocazione. Non possiamo avere nessuna collaborazione con i comunisti, finchè non finiranno di essere quello che sono. Non ci può essere collaborazione, perché essi conducono un’azione organizzata e pagano fior di milioni per sradicare dalla terra ogni ricordo di Dio”.

I croati non dimenticano le amare esperienze comuniste, pertanto non si fanno convincere dalle lusinghe dei comuniste, non hanno dimenticato l’antico detto latino: “Timeo Danaos et dona ferentes” (Temo i Greci anche quando portano doni).

I nuovi padroni con la polizia segreta (l’OZNA) si mise subito in movimento, individuava, interrogava e molti furono arrestati. Tra questi anche monsignor Stepinac. Prestissimo apparvero i manifesti: “Morte agli assassini Ustascia!”. Gli attivisti comunisti entravano nelle scuole, toglievano via il crocefisso, vietavano la preghiera (in omaggio alla libertà) e via di questo passo. Tutte iniziative che si ripetevano in ogni territorio caduto sotto il gioco comunista.

Come negli altri Paesi, i comunisti cercarono di fondare una Chiesa patriottica, nazionale. A questo scopo hanno trovato preti e qualche vescovo che si sono prestati.

Il 4 giugno Stepinac si incontra con Tito, “Mons. Stepinac non tremò davanti a Tito, né in quella occasione né prima né dopo. Egli non sapeva tremare”. Certo gli parlò con rispetto perchè la Chiesa rispetta le autorità. Gli parò come vescovo, rappresentante dei fedeli, gli parlò come uomo. “La Chiesa era pronta a trattare, ma non a morire. A morire era pronto lui, Stepinac, ma non la Chiesa”.

Il libro di Istrain racconta tutti i passaggi decisivi di quei mesi terribili, dell’arrivo e del consolidamento del potere comunista in Croazia. Si evidenziano i passaggi più significativi, come l’appropriazione dei giovani. I comunisti attuano un vero assalto ai giovani, che vengono sottratti alle loro famiglie, alla Chiesa, agli enti educativi, “con rapacità e con violenza vengono imbottiti di menzogne filosofiche, storiche e sociali con una propaganda ossessionante”.

Non possiamo dilungarci troppo ma i passaggi della comunistizzazione, soprattutto dei più giovani, che sono proprietà dello Stato, sono sempre gli stessi. Appropriarsi delle scuole, università, soppressione della stampa cattolica, tutto in mano al partito unico e poi obbligo del “lavoro volontario”. Confisca dei beni ecclesiastici, naturalmente la Chiesa non sta a guardare, nonostante le promesse, le dichiarazione, erano stati uccisi 243 sacerdoti e 169 erano in prigione, 89 scomparsi. La Chiesa croata pubblica una Lettera pastorale, dove si chiedeva di restituire la libertà alla Chiesa croata. Naturalmente ci fu la reazione violenta del partito comunista, i vescovi furono dichiarati tutti reazionari e fascisti e per questo erano degni di morte. Apparvero le scritte sui muri contro la lettera. Abbasso il bandito Stepinac!

Il 4 novembre 1945, l’arcivescovo subisce un attentato organizzato dai comunisti a Zapresic. Intanto la campagna denigratoria contro Stepinac continua in tutta la Jugoslavia. In Croazia, si organizzano comizi, che finivano con la richiesta di firme contro l’arcivescovo, per condannarlo. Chi si rifiutava di firmare era un fascista, un reazionario, nemico del popolo, si perdeva anche il posto di lavoro.

Il 18 settembre 1946 Stepinac viene arrestato definitivamente e successivamente processato. Attenzione al religioso era stata offerta da Tito in persona la collaborazione, basta che lui si distaccasse da Roma, dal Vaticano. Poi cercò di convincerlo anche il presidente Bakaric. Naturalmente Stepinac non si è minimamente piegato. Il libro di Istranin, descrive minuziosamente tutto il processo farsa nei confronti dell’arcivescovo. Non fu un processo ma una rappresentazione teatrale. Il vero processo era stato celebrato altrove e parecchi mesi prima. Comunque sia, non doveva apparire un processo politico, doveva apparire come un “criminale” qualsiasi, così fu associato un alto personaggio del governo “ustascia”, Erih Lisak. L’atmosfera di questo processo era molto simile a quei ‘Tribunali del popolo’ durante la Rivoluzione francese.

Le accuse infamanti contro Stepinac erano quelle di essere principalmente un collaborazionista del governo ustascia e dei nazisti.

Il vescovo si difese, ma non trapelò nulla al di fuori del tribunale. L’11 ottobre 1946 viene letta la sentenza di condanna: 16 anni di lavori forzati e 5 anni di privazioni dei diritti civili. Otto giorni dopo entra nel carcere di Lepoglava, vi resterà per 1864 giorni. Prima di entrare in carcere cercarono di convincerlo a chiedere la grazia, ma lui fermo: gli innocente non chiedono la grazia, ma la giustizia.

Il libro racconta le giornate passate dal vescovo nelle muro del carcere, con dei particolari interessanti. A tratti Tito e compagni gli offrivano la libertà immediata, quella comunista, bastava firmare la lettera già preparata. Lui rispondeva sempre: “la grazia la può chiedere un colpevole, non un innocente”.

Il 5 dicembre 1951 viene rilasciato da Lepoglava e confinato a Krasic, nel suo paese nativo. Qui era controllato a vista giorno e notte da guardie che circondavano la parrocchia. Intanto il 29 novembre 1952, viene eletto cardinale dal Papa Pio XII. Con questa elezione “andava in fumo il progetto del regime comunista: Stepinac non sarebbe stato dimenticato! Con questo, gli occhi di tutto il mondo tornavano a puntarsi su di lui, e la sua posizione di fronte al regime veniva ufficialmente e solennemente approvata dalla suprema autorità della Chiesa e le dicerie e le calunnie dei nemici e le riserve di molti altri ricevevano la risposta che meritavano”.

Gli ultimi anni della sua vita il cardinale viene colpito da malattie come la trombosi alla gamba sinistra e poi la policitemia. Infine altre complicazioni al cuore. Il 10 febbraio 1960 alle 14,14 muore a Krasic. Due giorni dopo viene sepolto nella cattedrale di Zagabria, per continuare la sua missione.

A Milano il cardinale Montini (futuro Paolo VI), “proponeva Stepinac come maestro dei cristiani autentici. La nostra religione chiede: ‘dei forti, non dei vili; chiede dei testimoni, non dei deboli; chiede seguaci disposti a perdere, non avidi di guadagnare; chiede figli, apostoli di fedeltà e di coerenza, non degli aggregati propagandisti dell’opportunismo e del compromesso…”.

Il 3 ottobre 1998 sua santità Giovanni Paolo II, durante il suo viaggio apostolico in Croazia nella spianata del Santuario di Marija Bistrica ha beatificato il Servo di Dio Alojzije Stepinac.

“Siamo oggi colmi di gioia – ha detto il Papa – nel rendere insieme grazie a Dio per il nuovo frutto di santità che la terra croata offre alla Chiesa nella persona del martire Alojzije Stepinac, Arcivescovo di Zagabria e Cardinale di Santa Romana Chiesa.

Numerosi sono stati, nel corso dei secoli, i martiri sbocciati in queste regioni, cominciando dai tempi dell’Impero romano con figure quali Venanzio, Domnio, Anastasia, Quirino, Eusebio, Pollione, Mauro e tanti altri. Ad essi si affiancano nei secoli successivi Nicola Tavelic e Marco di Krizevci, come pure i molti confessori della fede durante la dominazione ottomana, fino a quelli dell’epoca nostra, tra i quali si staglia la luminosa personalità del Card. Stepinac”.

DOMENICO BONVEGNA

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