Le donne nel Vangelo

di Andrea Filloramo

L’accenno fatto, nei due miei articoli precedenti che sono stati pubblicati in IMGPress, aventi come tema la Chiesa e le donne, concernenti la visione del mondo femminile rintracciabile nei Vangeli, ha bisogno necessariamente di un approfondimento, al quale non intendo sottrarmi.

Parto, quindi, da un’annotazione storica: nei primi secoli per la Chiesa l’eresia ha rappresentato un pericolo grave per la sua unità e, pertanto, la giusta fede, cioè l’ortodossia professata, veniva non solo difesa dagli attacchi di quanti sostenevano tesi e credenze diverse, ma anche, era tenuta dentro confini precisi, invalicabili e dommatici.

Ecco, perciò il Concilio di Nicea (325), voluto dall’imperatore Costantino, che convocò tutte le Chiese e i Cristiani del tempo.

In tale Concilio è stato sancito il primo dei dogmi, che proclamò che Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato non creato, consustanziale al Padre, eterno e immutabile.

Al Concilio di Nicea seguì il Concilio di Costantinopoli I (381), quello di Calcedonia (451) ed altri successivi, nei quali sono stati definiti gli altri dommi fondamentali della Chiesa, ai quali i cristiani erano e sono obbligati a credere.

Si ponevano, così, le fondamenta della dottrina cattolica e si costruivano, anche attraverso gli scritti, per lo più apologetici dei Padri della Chiesa, le mura, di quella “cittadella di Dio”, che confermava l’unità dell’annuncio cristiano.

In tal senso diventava significativo il richiamo all’invito di Paolo, che scriveva: “Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio Vangelo…richiama alla memoria queste cose scongiurandoli davanti a Dio di evitare le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta. Sforzati di preservarti davanti a Dio come… uno scrupoloso dispensatore della Parola di verità. Evita le chiacchiere profane, perché esse tendono a far crescere sempre di più nell’empietà; la parola di costoro, infatti, si propagherà come una cancrena” (2 Tim 2,8 -19).

In questo fervore dottrinario, mai abbandonato del tutto dalla Chiesa Cattolica ed ereditato anche in seguito dalle chiese protestanti, non veniva del tutto colto il carattere eccezionale ed unico della figura di Gesù e, quindi, i suoi comportamenti, anche umani, davvero rivoluzionari, nei confronti di alcune situazioni esistenti in quel mondo ebraico al quale egli apparteneva.

Fra questi comportamenti di Gesù, non può sfuggire quello che egli ha avuto nei confronti delle donne.

Questa “negligenza” nei confronti  del paradigma esemplare  offerto dal Nazareno, a mio parere,  è uno dei motivi, non unico, per il quale nella Chiesa per millenni, si è mantenuto quel maschilismo tipico dell’ebraismo, che ritroviamo, per esempio nel Mischnah, Sotah, 3,4 che è uno dei testi fondamentali dell’Ebraismo, dove si legge “Diceva Rabbi Eliezer: ‘chiunque insegna la Torah /la legge/ a sua figlia è come se le insegnasse cose sporche”; lo ritroviamo nel commento del Talmud Palestinese, Sotah 2,4,19° dove c’è scritto: ‘Meglio bruciare le parole della Torah che insegnarle alle donne’.

L’ebreo osservante recita ancor oggi la benedizione che allora si recitava con cui si diceva: “Benedetto il Signore che non mi ha creato pagano, né donna, né schiavo”.

Non è stato così Gesù. Egli, infatti, pur essendo nato e formato nella cultura ebraica, fortemente patriarcale, maschilista, in cui c’era una sottovalutazione radicale della figura della donna, in tutti i momenti della sua vita non ha mai abbandonato il suo sguardo amorevole nei confronti delle donne.

Basta aprire i Vangeli e scoprire l’affetto, la simpatia che egli aveva per le donne. Vedi: – la guarigione della donna malata di emorragia uterina, che risulta tanto più straordinaria se si ricorda che nella tradizione ebraica le donne che avevano le mestruazioni erano considerate impure e non potevano toccare alcun oggetto né essere toccate da nessuno, perché rendevano impuro l’oggetto e la persona; – il caso della donna straniera che, con la sua preghiera insistente convince Gesù a donare il suo messaggio di salvezza e di gioia anche al di fuori di Israele; –  l’episodio della vedova di Nain, dove è più chiara la derivazione del Dio di Gesù dal Dio di Israele; – “la peccatrice in casa di Simone il fariseo, quella che piangendo baciava i piedi di Gesù, li ungeva di profumo e li asciugava con i capelli; –  le sorelle Marta e Maria; – la donna curva, guarita di sabato; – la vedova povera, che getta nel tesoro due spiccioli; – la donna anonima che unge Gesù a Betania… Infine: “le donne  del Risorto”, che si recano dagli undici apostoli per portare loro la buona notizia”…: ‘Gesù Cristo è risorto ed è vivente per sempre'”. Un occhio particolare deve essere dato, ancora, alla donna sorpresa in adulterio: “Nessuno ti ha condannata?… Neanch’io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più”  (Gv 8,1-11).

Ebbene, “questo brano ha conosciuto una sorte particolarissima, che attesta il suo carattere scandaloso e imbarazzante: è stato infatti ‘censurato’ dalla Chiesa! È  assente, infatti, nei manoscritti più antichi, è ignorato dai padri latini fino al IV secolo, per cinque secoli non è stato proclamato nella liturgia e non ci sono commenti ad esso da parte dei padri greci del primo millennio”.

E ciò la dice lunga.

Occorre ritornare con semplicità alle fonti della fede, che sono i Vangeli, che non sono trattati dottrinali, ma fanno vedere come è vissuto, cosa ha detto, come è morto e poi è risorto il fondatore della Chiesa senza i paraocchi del tradizionalismo (che è cosa diversa, e talvolta opposta, rispetto alla tradizione).