LA STORIA: IL GESTO REGALE DEL PRINCIPE ALBERTO II

Alla fine a prendere posizione per i principi NON negoziabili (a contrastare l’aborto) sono sempre dei nobili, anni fa il Re del Belgio Baldovino che si è rifiutato di firmare la legge sull’aborto nel proprio paese. Ora il Principe Alberto II Grimaldi del Principato di Monaco che ha rifiutato di promulgare una legge sulla legalizzazione dell’aborto.

Onore a Sua Altezza Serenissima Il principe Alberto di Monaco che ha posto il veto alla legalizzazione dell’aborto nel suo Stato. I politici avevano voluto approvare questa legge per motivi puramente ideologici – come è avvenuto qualche anno fa a San Marino. Ma Alberto, con questo gesto veramente REGALE ha voluto dare quasi uno schiaffo morale alla Francia neo-giacobina di Macron che ha introdotto addirittura in costituzione un assurdo “diritto all’aborto”. Allora, Felice il popolo (benché piccolo) che ha per sovrano Alberto Grimaldi! Il principe appartiene a una famiglia da secoli attaccata alla fede cattolica, è figlio alla celebre Grace Kelly, bellissima attrice nonché indimenticabile e piissima principessa consorte, di cui si vuole addirittura aprire il processo canonico di beatificazione, tanto ardenti erano in lei le tre virtù teologali: fede, speranza e carità! Sarebbe interessante approfondire la figura straordinaria di Grace Kelly di cui nessuno sa niente.

Dovremmo prendere esempio, e mettere finalmente mano alla odiosa 194 che ha causato solo in Italia oltre 6 milioni di morti dal 1978 ad oggi. Certo il gesto di Alberto è solo un segnale, poi bisogna fare i conti con la società. La notizia sulla stampa non esiste, ho trovato un ampio servizio su un sito internet che peraltro non conoscevo, si tratta di “Silere non possum” (Il Principe dice no alla legge sull’aborto: Monaco difende la vita nascente, 23.11.25, silerenonpossum.com) Il blog si rifà a una intervista concessa dal Principe al quotidiano Monaco-Matin, il Principe Alberto II ha annunciato che non promulgherà la proposta di legge approvata dal Consiglio Nazionale a maggio (19 voti contro 2) che avrebbe legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza fino a 12 settimane, esteso il termine a 16 settimane in caso di stupro e abbassato da 18 a 15 anni l’età del consenso parentale. Il sovrano ha affermato di «comprendere la sensibilità di questo tema» ma di ritenere che «il quadro attuale rispetta ciò che siamo in considerazione del ruolo che la religione cattolica occupa nel nostro Paese, garantendo al contempo un accompagnamento sicuro e più umano». Il rifiuto blocca il percorso della legge e lascia invariata la normativa vigente, fondata su un sistema che non nega alcun diritto, poiché già contempla la possibilità di ricorrere all’aborto in tre circostanze precise: stupro, grave pericolo per la vita della madre, malformazione del feto. Sono gli unici casi in cui tale interruzione risulta giustificata. In ogni altra situazione, occorre parlare di omicidio.

La Costituzione del Principato riconosce la religione cattolica come religione di Stato. Questo elemento non è un semplice riferimento culturale, ma incide sulla concezione antropologica che ispira il legislatore e che il Principe ha rivendicato nel suo veto. Alla luce di questo elemento, la posizione del sovrano può essere compresa solo ricordando che, per la Chiesa, la vita nascente è un bene indisponibile, sottratto a ogni logica utilitarista o funzionale. Perché l’aborto è moralmente inaccettabile La Chiesa è inequivocabile nell’insegnare che l’aborto diretto è sempre un atto moralmente illecito. “Silere non possum” fa riferimento ai documenti della Chiesa dove si ribadisce che, «la vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento». In particolare, si cita l’enciclica Evangelium Vitae che offre la formulazione più puntuale e drammatica, definendo l’aborto come «l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita» (EV 58). Mentre San Giovanni Paolo II, oltre a condannarlo con fermezza, denuncia la distorsione linguistica che tende a mascherarne la natura: invita infatti a «chiamare le cose con il loro nome», ricordando che «bisogna chiamare l’omicidio con il suo nome: l’omicidio è un omicidio». L’insegnamento della Chiesa in questa materia non è mutato. Nessuna legge può rendere giusto ciò che è ingiusto.

Uno dei passaggi decisivi per comprendere la scelta del Principato riguarda ciò che il Magistero afferma sul rapporto tra legge civile e abortoEvangelium Vitae è esplicita nel giudicare radicalmente ingiuste le norme che lo autorizzano: tali disposizioni «sono leggi del tutto prive di autentica validità giuridica» e, di conseguenza, «non creano nessun obbligo» (EV 72–74). San Giovanni Paolo II arriva a parlare di una «tragica parvenza di legalità» e avverte che una democrazia che consente l’eliminazione dei più deboli «cammina sulla strada di un sostanziale totalitarismo» (EV 20). Il veto del Principe Alberto II non può essere letto come un gesto ideologico, ma come un’affermazione di coerenza antropologica e giuridica. In un Paese che riconosce il cattolicesimo come religione di Stato, la tutela della vita nascente non è un residuo confessionale, ma un elemento di visione politicala consapevolezza che la civiltà si misura dalla capacità di proteggere chi non ha voce. Pertanto, di fronte alla pressione culturale e legislativa che in Europa tende a considerare l’aborto una soluzione ordinaria, il Principato introduce un interrogativo scomodouna società può dirsi giusta quando priva di protezione proprio chi non può difendersi? La vicenda monegasca restituisce al dibattito un punto decisivo che la retorica contemporanea spesso evita: l’aborto non è una questione di emancipazione femminile o di libertà individuale, ma un giudizio sulla dignità della vita che sta per nascere. Il rifiuto del Principe Alberto II di legalizzarlo ribadisce che uno Stato può e deve farsi carico della tutela del più vulnerabile degli esseri umani: il bambino non nato. E ciò non in forza di un obbligo confessionale, ma per una elementare esigenza di civiltà.

DOMENICO BONVEGNA

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