LA RIFLESSIONE: I SENSI DI COLPA DELL’OCCIDENTE EUROPEO

Da qualche tempo è partita dalle università americane un’offensiva contro la Storia passata dell’Occidente europeo, in particolare quella di origine giudeocristiano. Si mettono in discussione tutte le “conquiste” degli europei, è preso di mira è l’uomo bianco, reo di aver colonizzato brutalmente il continente americano, africano, e asiatico. E’ un’offensiva all’insegna della decolonizzazione che si sviluppa intorno al movimento pseudo culturale woke. Premetto che certi giudizi sul colonialismo europeo sono giusti. Tuttavia, però il colonialismo europeo non è l’unico che si è manifestato nella Storia.

E’ inevitabile che una certa civiltà cerchi di conquistare militarmente e commercialmente altre aree geografiche più deboli. Possiamo fare diversi esempi a cominciare dall’Africa, prima del colonialismo europeo, c’è stato quello arabo. In Asia, la Cina, ha praticato il colonialismo riducendo al rango di vassalli gli Stati più piccoli. Dunque, il colonialismo non l’abbiamo inventato noi.

Pertanto questo nuovo movimento woke, non fa altro che colpevolizzare l’Occidente, attribuendogli presunti crimini, fino ad alimentare odio contro l’uomo bianco occidentale. L’Occidente odia sé stesso dice il papa emerito Benedetto XVI.

E così di questo passo nel nostro mondo è nato un vero e proprio “complesso occidentale”, che peraltro è il titolo di un ottimo pamphlet scritto da un politologo, filosofo e giornalista francese di origine italiane, Alexandre Del Valle, “Il complesso occidentale”, Sottotitolo: “Piccolo trattato di decolpevolizzazione”, Paesi Edizioni (2019, pagine 427, 15 euro).

Fa bene Del Valle – scrive Marcello Veneziani nella prefazione – a smontare con argomenti convincenti, quel diffuso, pervasivo senso di colpa dell’Occidente nei confronti del resto del mondo, in particolare dell’Islam, del sud del pianeta e di quelle terre che furono un tempo colonizzate”. Si tratta di un complesso indecente e ingiustificato, “la vergogna di essere quel che noi siamo e figli di quella storia, di quella civiltà, di quel modo di essere”. Si tratta di una forma di auto-colpevolizzazione grottesca.

IL libro di Del Valle va letto e utilizzato politicamente anche oggi che siamo distratti dalla pandemia. Va utilizzato come strumento per rispondere al fango delle pseudo teorie del “cancel culture”, un ottimo aiuto per combattere il terrorismo iconoclasta, abbastanza diffuso nelle città statunitensi. Un libro che dovrebbe essere letto soprattutto a scuola, nelle università. Ma credo che siano pii auspici di difficile attuazione.

Nell’introduzione il giornalista francese svela il motivo che l’ha spinto a scrivere questo testo. In una conferenza in Sicilia dove si parlava del pericolo islamico, un signore, peraltro volontario impegnato in parrocchia, obiettò al nostro che anche noi abbiamo colonizzato, fatto le crociate e siamo stati aggressori per diversi secoli.

L’obiezione del volontario siciliano è la prova che il senso di colpa è una malattia mortale, di essenza masochista, che può colpire tutti quelli che non hanno gli anticorpi. Infatti, se perfino un siciliano si scusa nei confronti dei musulmani, la cui isola è stata per secoli invasa e aggredita da parte degli Arabi, Saraceni, Turchi o da pirati, allora significa che il senso di colpa fa colpevolizzare la vittima al posto del carnefice.

Questa è la gravissima patologia del ‘complesso occidentale’ che spinge a chiamare ‘razzisti’ o ‘nazi-fascisti’ tutti coloro che ritengono giusto proteggere l’identità nazionale, la famiglia e di controllare le frontiere – quindi non solo la vera estrema destra antisemita (che va condannata) ma anche i partiti democratici non totalitari ‘identitari’, – scrive Del Valle – colpisce oggi tutti i Paesi occidentali, che non sono stati, al contrario dell’Ungheria o della Polonia, vittime del totalitarismo rosso sovietico”.

Dunque, la peggiore minaccia per le società Occidentali risiede nel “complesso di colpa” generalizzato, diventato ormai una patologia sociale mortale. L’ideologia dell’odio di sé costituisce per l’Occidente un pericolo superiore a tutti gli altri, interni ed esterni. “L’autoflagellazione che spinge a biasimare sistematicamente il proprio campo – presentato sempre come colpevole e malvagio per natura – e a difendere quello avverso – adornato di tutte le virtù o presentato come vittima – sembra una vera guerra psicologica che viene combattuta contro la propria stessa collettività”.

Per uscire da questa situazione di depressione collettiva, non bisogna avere paura diceva giustamente san Giovanni Paolo II. E oggi pare che gli europei, per evitare il tanto temuto “scontro di civiltà”, hanno paura di tutto, a cominciare dai paesi non occidentali. A questo punto secondo Del Valle, serve un riarmo morale, che si ottiene rinforzando la propria identità, le proprie tradizioni, la propria fede religiosa, le proprie radici cristiane.

Il trattato di Del Valle si fonda su quattro corposi capitoli. Il 1° (La nuova crisi della coscienza europea), si analizzano gli aspetti psicologici, sociali, politici e religiosi di questa crisi. Il nostro tempo, l’idra totalitaria, riappare per Del Valle, non più in quella delle “camicie brune”, ma nelle versioni “rosse terzomondiste” e soprattutto “verdi teocratiche”, Chi si oppone a questa idra viene accusato di populismo, di estrema destra razzista. Attenzione per Del Valle il sovranismo non può essere assolutamente paragonato al nazionalsocialismo. In realtà, “l’ideologia nazifascista ha un numero maggiore di elementi in comune con l’estrema sinistra totalitaria […]”.

Esiste una curiosa tolleranza in Europa nei confronti dei fanatismi rossi e verdi, i cui fondamenti filosofici non sono mai stati condannati. In Europa sismo stati educati a condannare la nostra Storia ad odiare noi stessi. L’immigrazione incontrollata viene vista come una forma di “rimborso del debito”, colpevoli di aver colonizzato, ora ci tocca sdebitarci. Secondo Del Valle, si tratta di una specie di espiazione di coscienza per tutti noi occidentali, ma gli altri (non europei) non vengono mai invitati ad espiare le loro colpe.

Sostanzialmente, gli occidentali sono gli unici a provare vergogna di sé stessi e a non riconoscere la propria Storia. “Il loro senso di colpa è il concime più fecondo per l’odio antioccidentale professato […]”. Addirittura, Del Valle, intravede in questa situazione, una “sindrome di Stoccolma anterograda”, fino a procurare, una capitolazione preventiva sotto forma di paura anticipatrice di un pericolo spesso immaginario. La sindrome di Stoccolma è un ingrediente suicida, perché favorisce la distruzione dell’Occidente, disorientandone le popolazioni. E’ diventata l’ideologia politicamente corretta. Una sindrome suicida che si pasce di un nichilismo morboso imbottito di odio di sé delegittimando l’orgoglio nazionale e ogni tipo di autorità, colpevolizzando la propria identità. Da una parte i vari governi occidentali rinunciano ad ogni politica culturale, dall’altra continua la guerra psicologica di autodenigrazione che l’Occidente infligge a se stesso e di cui i suoi nemici si nutrono.

In pratica i sostenitori del multiculturalismo sono riusciti a instaurare un vero e proprio regime di terrore intellettuale e mentale, rafforzato anche da una repressione giudiziaria. Intanto l’uomo bianco, ma anche lo Stato-Nazione, vengono penalizzati e “nazificati”: “Non c’è nulla di peggio del fascismo degli antifascisti”, rimane sempre attuale l’osservazione profetica di Pier Paolo Pasolini.

Così l’Occidente diventa il “carnefice per eccellenza” delle altre civiltà che sarebbero al contrario “vittime per natura”, in particolare la civiltà islamica. Chiunque contesti questa teoria, viene accusato di revisionismo, di fascismo o di complicità con i nuovi neonazisti. E’ un processo di denigrazione di massa, che Del Valle lo riassume così: “gli europei, prigionieri della loro coscienza sporca e del loro senso di colpa, sono costretti dal loro stesso ‘Super-io collettivo’ all’eliminazione della loro memoria identitaria e ad essere sommersi demograficamente dalla massiccia immigrazione”.

In buona sostanza secondo il giornalista francese: “dietro il pretesto del multiculturalismo o dei presunti meriti del melting pop generalizzato e della xenofilia inculcata alle masse, si sta promuovendo un vero e proprio processo di rimpiazzamento di popolazione e di estinzione programmata dell’Uomo bianco spacciato per nocivo e colpevole”.

Pertanto, si arriva a proporre slogan come “nero è bello”. Si propone una nuova gerarchia che insinua la superiorità morale ed estetica dei non bianchi o di quanti non sono europei cristiani. Di questo passo, evidenzia Del Valle, di fatto la “predilezione immigratoria” soprattutto per gli immigrati non europei (i nuovi proletari esotici) da parte della sinistra social-liberale benpensante.

Dietro la maschera del pluralismo i paladini del multiculturalismo vorrebbero far passare modelli neo-tribali, teocratici o totalitari. Ragionando per assurdo il postulato del relativismo culturale, spinto fino alle sue logiche conseguenze, porterebbe pertanto ad accettare il cannibalismo, la lapidazione, la tortura, l’amputazione delle mani, le mutilazioni genitali femminili, l’impiccagione o l’assassinio degli apostati e degli adulteri, previsti dalla sharia. Del resto, “l’ideologia relativista del cosmo-politicamente corretto sostiene il postulato assoluto secondo il quale tutte le culture sarebbero ugualmente meritevoli di rispetto dimodoché ogni tentativo di penalizzazione dei valori, viene giudicato intollerabile e sospetto, dato che anche Hitler ha vantato la superiorità degli ariani sui semiti e sulle altre razze, non germaniche”. In pratica si evidenzia che questi progressisti hanno una tolleranza per tutti, tranne che per gli occidentali politicamente scorretti. Si predica un antirazzismo traviato, una nuova ideologia che ha sostituito il socialismo.

A questo proposito scrive l’ex presidente del senato Marcello Pera: “Pretendere di dialogare con quanti sono differenti da noi sulla base della negazione della nostra stessa identità non può far altro che condurre al nichilismo e, alla fine, alla violenza”. E’ evidente che chi rinnega se stesso raramente viene rispettato.

In questo contesto Del Valle rileva come l’importantissimo volume del celebre politologo americano Samuel Huntington, “Lo scontro di civiltà” viene detestato da chi si erge a paladino del dialogo ad ogni costo tra le civiltà. Inoltre, Del Valle è convinto che per costruire la nuova Europa non si possono negare le radici cristiane ed escludere i politici cattolici, come hanno fatto col linciaggio politico-mediatico di cui è stato vittima l’eurodeputato Rocco Buttiglione. Attenzione esiste un vero e proprio KulturKampf anticattolico dei Media.

In questi anni abbiamo assistito ad un progressivo smontaggio della colonna vertebrale dell’Europa democratica-cristiana a vantaggio di un’Europa mondialista, dove si intravede l’ispirazione del filosofo tedesco Jurgen Habermans, erede della scuola marxisteggiante, cosiddetta di “Francoforte”.

All’interno del nuovo impero, o del nuovo totalitarismo soft europeo, Del Valle intravede l’organizzazione di piccoli gruppi, nuove oligarchie, esperti non vincolati a suffragio elettorale, tutti inclini ad invalidare le leggi democratiche o le decisioni sovrane degli Stati. Ecco perché si può parlare certamente di post-democrazia, dove hanno retrocesso i popoli europei. “Complici della loro stessa depoliticizzazione i candidati eletti sono allo stesso tempo terrorizzati e soggiogati da queste oligarchie antidemocratiche, dai poteri politici dei giudici e dei mezzi di comunicazione di massa onnipotenti e dalle minoranze tiranniche che riescono a piegare l’autorità sovrana, detronizzata dalla meritocrazia dei poteri minoritari”.

Il 2° capitolo del libro si interessa delle fonti del terrorismo intellettuale e del “politicamente corretto”.

Il vero potere è sulle menti, attraverso il linguaggio del politicamente corretto. Il piccolo gruppo (Polizia del Pensiero) condiziona la Maggioranza. Del resto nella Storia sono state sempre le minoranze a trasformare la società. In questo caso si può parlare di tirannia delle minoranze. Il filosofo francese descrive egregiamente l’ideologia del politically correct: “è una mescolanza di nomadismo ottuso, di elitarismo ‘radical chic’, di anarchismo libertario sessantottino, di antifascismo da combattimento, di antirazzismo selettivo, di puritanesimo in stile anglosassone, di relativismo multiculturalista, di internazionalismo marxista antioccidentale e, ovviamente di coscienza sporca giudeo-cristiana”. Questa ideologia quando si trasforma in terrorismo intellettuale, agisce come “polizia del pensiero” che dà la caccia ovunque ai contravventori e li rende incapaci di nuocere.

Viene messa in atto una “guerra delle rappresentazioni”, un avvelenamento psichico. E’ una guerra psicologica, una guerra delle emozioni, una guerra mentale. Questa guerra precede quella del combattimento militare e può perfino sostituirlo. La sua priorità è quella di demoralizzare l’obiettivo preso di mira. La guerra delle rappresentazioni consiste nella maggior parte delle occasioni nel colpevolizzare, destabilizzare, deprimere, demoralizzare e indebolire l’avversario, vale a dire a distruggere il sistema dei valori e delle certezze dei bersagli scelti”.

Del Valle è preciso nel descrivere questa guerra delle rappresentazioni. Occorre “imporre delle mappe mentali (linguaggi, mappe, immagini) demonizzanti, colpevolizzanti, delegittimanti nelle coscienze nemiche affinché queste finiscono per dare ragione ai loro avversari e dare torto a se stesse”.

Per un popolo l’invasione più pericolosa è quella interiore. “è infinitamente più pericolosa di un’invasione fisica, di un’occupazione del territorio”. Del Valle elenca addirittura “7 tappe” del Processo di disinformazione di massa. La chiave centrale di questa guerra è spogliare il nemico della sua umanità, demoralizzarlo a tutti i costi nel caso in cui il nemico non susciti ancora sufficiente orrore. Naturalmente nella società occidentale, l’accusa più infamante e squalificante rimane ancora quella di “Fascismo”.

Per ora mi fermo, dobbiamo continuare.

DOMENICO BONVEGNA

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