La povertà educativa in Italia. Nuotare contro corrente

Dall’indice di povertà educativa 2018 di Save the Children, emerge che sono la Campania, la Sicilia, la Calabria, la Puglia e il Molise le regioni italiane dove gli effetti della povertà educativa su bambini e ragazzi si fanno sentire maggiormente e dove minori sono le opportunità di attivare percorsi di resilienza.

 

Esaminando in dettaglio i singoli parametri che compongono l’Indice, si osserva che nel nostro Paese quasi il 14% dei ragazzi abbandona gli studi precocemente, una delle percentuali più alte in Europa e che raggiunge livelli ancor più elevati in Sicilia (23,5%), Sardegna e Campania (18,1%). L’Umbria, di contro, figura come la regione più virtuosa in tal senso con un 6,7%[3].

 

Quasi 9 bambini su 10 (87%), inoltre, non vanno all’asilo nido o non frequentano servizi per la prima infanzia, percentuali che si avvicinano drammaticamente al 100% in Calabria e Campania dove solo rispettivamente l’1,2% e il 2,6% dei bambini può accedere a questi servizi. Il miglior risultato si registra invece in Emilia Romagna, dove la copertura di servizi per la prima infanzia non supera il 25,6%[4]. Più del 66% delle classi della scuola primaria e più dell’85% di quelle della scuola secondaria, inoltre, in Italia, non offrono l’opportunità del tempo pieno agli studenti, con il Molise che fa registrare le percentuali più alte sia per la primaria (94,3%) che per la secondaria (97,8%). Da sottolineare come nel caso delle scuole secondarie, sia una regione virtuosa come l’Emilia Romagna a seguire il Molise nella classifica negativa, con quasi il 96% delle classi senza tempo pieno[5]. Quasi la metà degli alunni (49%), nel nostro Paese, non accede invece al servizio di mensa scolastica, con punte dell’80% in Molise e del 74% in Puglia, mentre le regioni più virtuose in tal senso appaiono Valle d’Aosta (29,1%), Liguria (30%) e Piemonte (31,1%)[6].

 

Per quanto riguarda la partecipazione dei minori alle attività culturali e ricreative, l’IPE ci dice che più della metà dei ragazzi, in Italia (52,8%) non legge libri; quasi il 43% non fa sport e quasi 1 su 3 (29,1%) non naviga su internet. E, ancora, quasi 7 su 10 non vanno a teatro o non visitano siti archeologici; quasi 8 su 10 non vanno a concerti e più della metà (55%) non visitano mostre o musei. Dati che, a livello regionale, confermano come le regioni in cima alla classifica IPE siano anche quelle dove l’offerta di attività culturali e ricreative è più bassa[7].

 

 

Nuotare contro corrente

 

Oggi, in Italia, il 23% degli alunni di 15 anni non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica, ovvero non è in grado di utilizzare dati e formule per comprendere la realtà esterna, mentre il 21% non riesce a interpretare correttamente il significato di un testo appena letto, non raggiungendo pertanto le competenze minime in lettura[8]. Nella maggior parte dei casi, come emerge dal rapporto “Nuotare contro corrente”, si tratta di ragazzi che vivono in contesti svantaggiati. I minori che vivono in famiglie con un più basso livello socio-economico e culturale (pari a 34.000 ragazzi che rappresentano il 25% del totale degli alunni 15enni iscritti a scuola nel 2015) hanno infatti quasi 5 volte in più la probabilità di non raggiungere le competenze minime sia in matematica che in lettura rispetto ai coetanei che provengono dalle famiglie più agiate (24% contro 5%)[9].

 

“La nostra ricerca ci dimostra tuttavia che nonostante le condizioni di svantaggio iniziale, tanti bambini e ragazzi possono rivelarsi particolarmente resilienti e grazie al loro impegno e alle loro motivazioni, alimentate e rafforzate dalle opportunità che la scuola e i territori in cui vivono sono in grado di offrire loro, possono superare le barriere e le difficoltà che si trovano di fronte e migliorare così anche le proprie competenze scolastiche”, ha affermato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

 

Tra gli alunni quindicenni più svantaggiati, infatti, più di 1 su 4 (26%) riesce a raggiungere le competenze minime sia in matematica che in lettura, percentuale che si alza notevolmente prendendo in considerazione la singola materia (37% in matematica; 36% in lettura). Di essi, il 3,79% raggiunge i livelli di competenze più alti in matematica, mentre lo 0,75% (circa 1.000 alunni) sono considerati “top performer”, ovvero ottengono il massimo livello di competenza[10].

 

Nel corso del tempo, il numero di minori resilienti in Italia ha fatto registrare un significativo aumento soprattutto tra il 2006 e il 2012, passando dal 17,2% al 28,1%, per poi contrarsi sino all’attuale 26%[11]; mentre per quanto riguarda le differenze regionali emerge che le percentuali più alte si registrano soprattutto al nord, calando notevolmente nelle regioni meridionali dove bambini e ragazzi hanno meno opportunità di emanciparsi dalle condizioni familiari di partenza. Ad eccezione della Liguria, infatti, nelle regioni del nord più di 1 minore su 3 é resiliente, con punte del 45% in Veneto e 46% in Lombardia; al centro tale percentuale si attesta tra il 20% e il 30% mentre al sud e nelle isole cala sotto la soglia del 20%, con Calabria e Sicilia in fondo alla classifica (rispettivamente al 12% e 14%)[12]. Se ai livelli minimi in matematica e lettura si aggiungono anche quelli in scienze, la percentuale di quindicenni resilienti in Italia si abbassa al 20%, percentuale tra le più basse in Europa, migliore solo rispetto a Lituania (19%), Malta (18%), Lussemburgo (17%), Slovacchia (16%), Grecia (15%), Ungheria (14%), Bulgaria (9%) e al fanalino di coda Romania (6%)[13].

 

 

Fattori protettivi della resilienza educativa

 

Dall’analisi di Save the Children, svolta con il contributo dell’Università di Roma Tor Vergata[14], emergono una serie di fattori chiave in grado di favorire – o, al contrario, di ostacolare – lo sviluppo della resilienza tra i minori che provengono dai contesti più svantaggiati.

 

I minori di 15 anni che appartengono al 25% delle famiglie più disagiate (sul totale degli alunni 15enni iscritti a scuola nel 2015) ma che hanno frequentato il nido o un servizio per l’infanzia, hanno infatti il 39% di probabilità in più, rispetto ai loro coetanei che non lo hanno frequentato, di essere resilienti, cioè di raggiungere livelli di competenze in matematica e lettura tali da favorire l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Allo stesso modo, le probabilità di essere resilienti aumentano di ben il 100% se si frequentano scuole dove non vi sono particolari problemi disciplinari e dove le relazioni insegnante-alunni sono positive, così come alunni svantaggiati che frequentano scuole dotate di infrastrutture adeguate hanno quasi il doppio delle probabilità di superare i livelli minimi di competenze in lettura e matematica rispetto ai propri coetanei che vanno in scuole inadeguate.

 

Rimanendo in ambito scolastico, l’analisi mette in evidenza che frequentare scuole che propongono nella loro offerta formativa una serie di attività extracurriculari, come gruppi musicali o sportivi, volontariato, arte e biblioteche, aumenta del 127% le probabilità di resilienza dei minori. Anche il tasso di dispersione scolastica, del resto, può influenzare la resilienza: i ragazzi meno abbienti che vivono in contesti dove la dispersione è più bassa rispetto alla media nazionale hanno infatti più del 50% di probabilità di rafforzare le competenze in matematica e in lettura.

 

Infine, anche la motivazione, la fiducia in se stessi, la perseveranza, sono fattori fondamentali per avviare percorsi di resilienza tra i minori. La probabilità di essere resilienti aumenta infatti del 36% per i minori meno abbienti che indicano di “non mollare facilmente” di fronte alle difficoltà sia nello studio che nella vita, o che sono convinti che la scuola faccia “molto per preparami alla vita” (78% di probabilità in più), che l’“andare bene (a scuola, nella vita) dipenda principalmente da me” (+133%), e “lo studio è importante per le prospettive di lavoro future” (+145%).

 

Al di fuori dalla scuola, l’analisi di Save the Children mette inoltre in risalto che i minori che vivono in famiglie meno abbienti ma che vivono in aree geografiche dove l’offerta culturale e ricreativa è maggiore della media nazionale hanno il triplo di probabilità di essere resilienti rispetto ai coetanei che vivono invece in luoghi dove minore è l’offerta di attività sportive, di lettura di libri, di navigazione su internet, di partecipazione ad attività culturali come mostre, musei, monumenti, teatri e concerti. Di contro, i minori svantaggiati che vivono in luoghi caratterizzati da tassi di criminalità minorile e da incidenza della povertà più alti della media nazionale (rispettivamente 1,4% e 12,6%) hanno tra il 30% e il 70% di probabilità in meno di attivare percorsi di resilienza educativa. Così come gli alunni che risiedono in zone dove la disoccupazione giovanile è maggiore della media nazionale (35%) hanno una probabilità di quasi due volte inferiore di essere resilienti educativi, rispetto ai loro coetanei che vivono in aree con maggiori opportunità lavorative[15].

 

“Negli ultimi anni sono stati compiuti alcuni significativi passi avanti per contrastare la povertà educativa, tra cui l’adozione del Reddito di inclusione e l’istituzione di un Fondo specifico con Legge di stabilità. Tuttavia, i dati che emergono dal nostro rapporto ci consegnano un quadro allarmante dell’impatto della povertà educativa oggi in Italia. Questi dati aspettano non solo di essere analizzati, ma anche – e soprattutto – aspettano di essere tradotti in una agenda di lavoro e in impegni concreti. Si rende necessaria una accelerazione, un impegno straordinario, come l’adozione di un’Agenda italiana per il contrasto della povertà educativa, per spezzare questo circolo vizioso tra povertà economica ed educativa che oggi ipoteca il futuro dei bambini e, con loro, quello di tutto il Paese”, ha proseguito Raffaela Milano.

 

“L’influenza della comunità territoriale sulla resilienza dei minori ci indica inoltre la necessità di allargare lo sguardo delle politiche di contrasto alla povertà educativa, oltre l’individuo, la famiglia e la scuola, verso il territorio e gli spazi dove il bambino cresce. Per questo riteniamo fondamentale mettere in campo, con il concorso delle istituzioni ad ogni livello, di soggetti privati e non profit, un piano di azione volto al recupero dei tanti spazi pubblici inutilizzati e abbandonati che potrebbero essere invece ben sfruttati per assicurare un’attività extrascolastica gratuita e di qualità a tanti bambini e ragazzi lungo tutto il Paese”.

 

 

[3] Fonte: Eurostat, 2017. L’indicatore contabilizza il numero di giovani tra i 18 e i 24 anni in possesso della sola licenza media e che non hanno concluso corsi di formazione riconosciuti di almeno 2 anni

[4] Fonte: ISTAT, 2014. La percentuale di bambini tra i 0 e i 2 anni che non usufruiscono dei servizi per l’infanzia, nidi e servizi integrativi, comunali o strutture private convenzionate o sovvenzionate dal settore pubblico, mentre sono esclusi dalla rilevazione gli utenti del privato tout-court

[5] Fonte: Miur, 2016

[6] Fonte: Miur, 2016

[7] Fonte: ISTAT, 2016. Bambini di 6-17 anni che non hanno svolto attività negli ultimi 12 mesi

[8] Fonte: OCSE, PISA, 2015

[9] Elaborazione Università di Roma Tor Vergata per Save the Children – Fonte OCSE, PISA, 2015

[10] Ibidem

[11] Ibidem

[12] Ibidem

[13] Agasisti,T. et al., Academic resilience: What schools and countries do to help disadvantaged students succed in PISA, OCSE, 2017

[14] Dati OCSE PISA: Elaborazione Università di Roma Tor Vergata per Save the Children

[15] Elaborazione Università di Roma Tor Vergata per Save the Children – Fonte OCSE PISA e ISTAT