La Chiesa torni a essere ciò che è chiamata a essere: eco del Vangelo

di Andrea Filloramo 

Non è tanto quello che si dice, ma come lo si dice”. Se questo vale per tutti, vale anche per Papa Leone XIV, che, sin dai primi giorni del suo pontificato, ha dimostrato di avere una capacità comunicativa che va oltre la retorica. Tutti osserviamo, infatti, che suoi discorsi sono sempre lucidi e rigorosi e che il tono, il ritmo e le pause sono sempre cariche di senso. Ciò accade anche quando, talvolta, esce dal testo scritto, quando cioè senza improvvisare riesce ad esprimere i propri sentimenti facendo parlare il cuore. 

Questa attenzione al linguaggio — verbale e non verbale — non è una strategia di immagine ma è un riflesso profondo della sua visione del ministero che sta esercitando. La sua è e appare una comunicazione che non vuole dominare, ma servire; è una parola che nasce dall’ascolto, un’autorità che si esprime nella prossimità. 

Papa Leone XIV legge sempre i suoi discorsi. Lo fa con convinzione, con rispetto, con sobrietà. In una stagione mediatica in cui si premia l’improvvisazione e il colpo di scena, questa scelta può apparire distante. In realtà, è profondamente coerente con il suo stile: il testo scritto è garanzia di fedeltà dottrinale, di preparazione condivisa, di una comunicazione che vuole costruire e non semplicemente colpire. Ogni parola letta dal Papa porta con sé la responsabilità ecclesiale di chi parla “ex officio”. Eppure, anche in quei testi, la sua voce non è mai neutra: è partecipe, interiorizzata, credibile. 

Quando Papa Leone XIV sceglie di parlare a braccio lo fa con ancora maggiore intensità. È accaduto nella prima omelia in Cappella Sistina, quando ha rivolto alcune frasi in inglese ai cardinali. È accaduto durante l’incontro con i giornalisti, quando ha scherzato con affetto e ha espresso un appello accorato per la libertà di stampa. È accaduto nella veglia di Pentecoste, quando ha parlato del “profumo di Cristo” con immagini poetiche non scritte. In quei momenti, la sua umanità si fa trasparente. Il Papa non usa la parola per attirare consensi, ma per condividere un’esperienza viva della fede. Il fuori testo non è fuga dal rigore, ma apertura dello spirito. 

Il profilo comunicativo di Papa Leone XIV è marcato da un equilibrio delicato: dire senza imporsi, insegnare senza escludere, testimoniare senza mettersi al centro. La sua autorevolezza nasce dalla coerenza tra parola e gesto. L’umiltà con cui si presenta, l’attenzione ai dettagli del linguaggio corporeo, la capacità di ascoltare prima di parlare, mostrano che la sua parola non pretende di comandare, ma di accompagnare. In un tempo segnato dalla sfiducia verso le istituzioni, il Papa sceglie una comunicazione che genera fiducia perché non si impone, ma si propone. 

Il magistero di Papa Leone XIV non si esprime solo nei testi che firma o nei discorsi che pronuncia. Si esprime anche nei silenzi, nei gesti, nelle improvvisazioni che fioriscono da un cuore pastore. In un mondo sovraccarico di parole, la sua voce è una presenza distinta. In lui, si intravede la possibilità che la parola della Chiesa torni a essere ciò che è chiamata a essere: eco del Vangelo.