
Carissimi,
in pieno clima di vacanze e relax, ogni giorno, dai mass-media giungono notizie a turbare di parecchio la stagione consacrata al meritato riposo. In tempo reale siamo aggiornati e apprendiamo di ingiustizie, fughe, discriminazioni, genocidi causati soprattutto dalle guerre che imperversano nell’Europa del Nord-Est e in Medio Oriente, a cui si aggiungono i numerosi focolai di conflitti che lacerano la pace e la concordia fra i popoli nelle altre parti del pianeta.
Secondo la testata giornalistica “Missioni Consolata”, oggi nel mondo si contano “centosettanta conflitti armati (quasi) sconosciuti”.
Se non tutti hanno la facoltà di intervenire direttamente sulle sorti dell’umanità – impegno specifico di coloro che si cimentano nella politica- ogni cristiano ha, di certo, la possibilità di chiedere nella preghiera che scocchi sul quadrante del mondo l’ora della pace.
Tale impegno, però, rischia di diventare un ripiegamento su se stessi se individualmente e comunitariamente dovessimo avvitarci solo su questa realtà, dimenticando che la preghiera è la scintilla della testimonianza e quest’ultima avrà come substrato il desiderio di imitare l’agire di Gesù. Odio e acredine regnano nel cuore di tanti: rancori vecchi, sentimenti feriti, parole mal comprese, gesti letti come provocazione. E scoppia la morte; regna la notte. Ecco perché non resta altro che pregare e, nel pregare, educare ed educarci, certi che nella notte, proprio in quella buia, Dio dà la sua Parola, luce ai nostri passi, perché brilli un barlume nel buio delle tenebre, parli di nuovo il Verbo e torni la pace.
Senza troppi giri di parole, cari amici, oggi più che mai urgono capacità e coraggio di andare contro corrente, sia negli eventi squisitamente “sociali” che in quelli prettamente “religiosi”.
Vi suggerisco qualche esempio.
Il primo riferimento riguarda il giovane congolese Floribert Chui, beatificato il 25 giugno u.s., ucciso a Goma all’età di 26 anni, per avere respinto una proposta di corruzione (termine che dalle nostre parti spesso assume il colore di “mancia”, soprattutto in ambito politico).
Ma chi era Floribert Chui?
Un giovane laureato che lavorava all’Office congolais de contrôle (Ufficio congolese di controllo) e si occupava di verificare le merci che entravano nel suo Paese.
Lo stesso martire prima di morire disse: “Non voglio cedere alle pressioni. Se accettassi di farmi corrompere sarebbe come tradire tutto ciò in cui ho creduto. Ho già distrutto dei quantitativi di riso avariato”.
Poco prima di essere rapito il 7 luglio 2007, confidò ad un’amica che aveva rifiutato una proposta di 3000 dollari per fare entrare in paese generi alimentari già scaduti, aggiungendo parole impregnate di un alone di santità: “Vivo per Cristo oppure no? Ecco perché non posso accettare”.
Due giorni dopo fu ritrovato il suo cadavere con chiari segni di tortura.
È possibile anche oggi dare testimonianza limpida di onestà, a partire dal mondo del lavoro!
Una delle verità fondamentali del cristianesimo è che lo sguardo è ciò che salva.
Gli occhi sono solo una porticina, ma può passare il mondo intero.
Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo.
Per chi volesse avere altri ragguagli e un quadro completo di tale storia, consiglio come lettura il testo dal titolo “Il Vangelo della gratuità” di Francesco De Palma, edizioni San Paolo.
Un secondo esempio, di accezione prettamente “religiosa”, è contenuto nella Bibbia. Infatti, nel Libro dell’Esodo (32, 1-35) viene riportato l’episodio del “vitello d’oro”, evento che segnerà la storia del popolo di Dio, mettendo in risalto soprattutto l’infedeltà all’Alleanza.
Il narratore sacro fa emergere innanzitutto il contrasto fra Aronne e Mosè, allorché quest’ultimo accusa esplicitamente di complicità nell’idolatria il fratello perché aveva avallato le richieste assurde del popolo ed aveva dato il suo beneplacito alla realizzazione del manufatto idolatrico.
Riporto brevemente la parte centrale del dialogo dal quale traspare l’ira di Mosè che, alla domanda perentoria ad Aronne “Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu lo hai gravato di un peccato così grande? riceve dal fratello, pronto a discolparsi, una siffatta risposta:
“Tu stesso sai che questo popolo è inclinato al male. Mi dissero facci un dio…”.
Da quanto detto scaturiscono due immediate riflessioni.
La prima. Esiste un peccato di correità: chi accetta o propone un piano “peccaminoso” deve rispondere della stessa colpa degli altri.
La seconda. Davanti al peccato scatta sempre la dinamica dello scaricabarile. La colpa è sempre degli altri. In questo caso è del popolo.
Si tratta di una soluzione vecchia quanto il mondo, messa in atto dai nostri progenitori.
Ho ripreso l’episodio del vitello d’oro perché troppe volte l’atteggiamento di chi occupa posti di responsabilità (sociale -politica- religiosa-educativa, etc …) si articola più o meno sulla falsariga di quello di Aronne. Solo per fini di convenienza non dichiarata ma reale (non avere noie, non perdere la fiducia della massa, essere riconosciuti come “benefattori della gente”, etc …) si accontenta il popolo, pur sapendo che tale scelta offende Dio e nuoce gravemente al bene di tutti, perché si creano vistose disparità di trattamento.
Mi prendo la responsabilità nel fare un’ulteriore considerazione di carattere squisitamente pastorale, ponendo un interrogativo:
quante nostre manifestazioni devozionali sono esenti da infiltrazioni idolatriche?
La missione della Chiesa nel predicare il Vangelo non può non opporsi a tutte le deformazioni culturali e denunciare le mistificazioni della religione che deturpano l’autentica fede cristiana.
Si può condannare, in questa prospettiva, la scelta di tanti cristiani che scelgono di separarsi spontaneamente dal peccato altrui?
Restare aderenti alla vita – come scrive Luigi Verdi – è non chiudersi nei luoghi sacri, ma correre dietro il profumo e le orme di Dio. Occorre leggere le follie di questo presente, gli innaturali ritmi cui ci siamo assuefatti, ma saper guardare oltre, preparando inconsapevolmente il futuro.
Riprendendo una soluzione già proposta dalla Scrittura, auguro a tutti di essere “solidali” con coloro che sbagliano, non con il loro errore, come ha fatto Mosè: “Se tu perdonassi il loro peccato…”, pronti a prendere su di sé il “castigo”, disposti ad essere rigettati da Dio (“Se no, cancellami dal tuo libro…) al fine di ottenere che il popolo sia perdonato.
Lascia, o Signore, che possiamo perderci nella larghezza, lunghezza e profondità delle tue vie!
Auguri di pace e serenità,
Ettore Sentimentale