
Carissimi,
a sette mesi dall’inizio del Giubileo, invitati in tal periodo a percorrere sentieri segnati dalla Speranza del Risorto che ci obbligano a collaborare nella costruzione dei nuovi cieli e della terra nuova, vorrei proporre una griglia di verifica di medio termine, non un esame di coscienza.
Comincio col porre domande semplici, ma non banali.
- Come stiamo vivendo questo tempo speciale che il Signore ci dona?
- Ci ritroviamo nella “Chiesa in uscita”?
- Abbiamo varcato, almeno spiritualmente, le porte che immettono nel profondo di noi stessi per scoprire e vivere intensamente l’essenziale?
Questi interrogativi presuppongono un particolare approccio con il relativo impegno alla trasformazione, ovvero se pensiamo che in noi non vi sia da cambiare alcuna cosa, faremmo bene a non intraprendere alcuna esperienza di fede comunitaria.
Il cammino lento e faticoso di un cambiamento autentico comporta di mettere sul piatto della bilancia alcuni requisiti ineludibili: condivisione, perdono, riconciliazione, pace, …, senza i quali non potremo mai testimoniare la bellezza dell’Amore e della Speranza.
Pertanto, per comprendere lo splendore del Verbo è necessario avere occhi che sanno vedere e orecchi che sanno udire, quei sensi spirituali, di cui parla spesso Ermes Ronchi, che permettono di apprezzare la promessa che si annuncia, in modo indissolubilmente fisico e spirituale.
Ho pensato di scrivere queste poche note a seguito della notizia appresa dell’ennesimo assassinio, quello dell’adolescente Martina Carbonaro, evento davanti al quale puntualmente si invocano punizioni esemplari per l’omicida, leggi speciali per bloccare questo imbarbarimento, processi sommari alla famiglia e della vittima e dell’assassino.
Il mio intervento non è di natura sociologica o didattica né di natura politica o criminologica, eppure ciò non mi esime dal chiedere: davanti a questi fatti come reagisce il cuore di noi cristiani?
Forse, la rabbia di tanti credenti diventa la causa scatenante che sfocia nel “cuore di pietra”, per adoperare le parole del profeta Ezechiele.
Difficilmente in noi alberga la tenerezza che non giustifica, certo, l’assassinio, ma rilancia la comprensione che, proprio quando manca l’apertura del cuore, inevitabilmente scattano eventi di violenza inaudita. Ed è questa apertura, presupposto della speranza fondata sull’amore di Dio e sulla benevolenza dell’uomo, che va educata nei contesti quotidiani di vita: tra le pareti domestiche, a scuola, in parrocchia, nello sport, nelle associazioni di volontariato, nell’impegno politico, … Umilmente ancorati alla roccia dell’amore incondizionato di Dio, dobbiamo essere noi solleciti alla sfida educativa che la società di oggi ci chiede, inventando nuovi percorsi di dialogo, sensibili all’ascolto e non pronti al giudizio dell’altro, condividendo la sapienza del cuore per non perdere la speranza di fronte a tali sofferenze e miserie. Forse, dovremmo imparare a vivere una spiritualità di compassione e di missione vera e autentica, alla luce del messaggio evangelico.
Pertanto, è lecito chiedersi:
- Come coltiviamo la speranza della novità di vita?
- Quale cultura, quale “aria”, si respira negli ambienti che frequentiamo?
- Quale vincolo ci lega alle persone con le quali percorriamo il nostro itinerario umano e cristiano?
- Quale metro usiamo per valutare la nostra esperienza cristiana? Il successo, la carriera, i “ministeri” che gli altri ci riconoscono? E se misurassimo con la capacità di offrire e dare speranze?
Sono pienamente consapevole che l’ultima proposta rischia di essere interpretata, alla luce delle continue esperienze deludenti e delle insoddisfazioni umane, come pura illusione.
Occorre ripartire da una condizione irrinunciabile: la fede nel Signore Gesù Cristo, che offre un orizzonte concreto entro il quale collocare e vivere la speranza come fatto comunitario.
Dobbiamo, quindi, rileggere la nostra esistenza, dall’infanzia all’età matura, gestendo le attese che danno senso di autenticità alla vita. Quanti desideri ci allontanano dalle nostre responsabilità perché non abbiamo il coraggio di affrontare la durezza della realtà quotidiana!
Essere ancora seminatori di speranza è possibile?
Per molti, forse, saremo il solo Vangelo che leggeranno.
Gesù ci invita a fare nostre queste esperienze come parte integrante del suo mistero pasquale: è l’unione del Venerdì Santo e della Domenica di Pasqua, il paradosso del fallimento che genera vita, la vita che nasce dalla sofferenza. E a me, credente, non resta che alzarmi dal torpore e catturare il vento di Dio che mi sospinge verso il largo, verso un nuovo orizzonte di vita, e lo Spirito, sopra gli abissi del cuore, passando per fessure quasi invisibili, sospinge e sostiene.
È il Paraclito che ci fa tutti vento nel Vento.
Viene a noi quale energia vitale, quale soffio creatore su chi è smarrito e ha perso fiducia nella vita; viene a disperdere, ieri come oggi, le ceneri delle nostre paure.
La bellezza di Dio è il cuore di chi lo ama, diventando immagine visibile di Lui agli occhi di un mondo incredulo.
Chiediamo al Signore un supplemento di speranza, sulle parole del Salmo 71,1:
“In te, Signore, ho sperato: non sarò confuso in eterno” .
Ettore Sentimentale