La Cartina della felicità: Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero…

Carissimi,

scrivo dopo l’esperienza di grazia vissuta mediante gli esercizi spirituali, contemplando Santa Teresina attraverso la predicazione di Suor Antonella Piccirilli, che ringrazio ancora per la chiarezza e la profondità della parola nel porgere in modo autentico la vera spiritualità del “piccolo fiore” del Carmelo di Lisieux. Sono stati giorni nei quali ci siamo immersi in Dio-Amore.

La nostra risposta deve essere la simbiosi perfetta tra l’amore incondizionato verso di Lui e la dolcezza nei riguardi dei fratelli e delle sorelle che chiamiamo prossimo.

Il 4 Ottobre la Chiesa ci ha fatto celebrare la Festa del Poverello di Assisi, proponendoci la pagina del Vangelo di Matteo 11,25-30, “Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero…”, quasi una dissolvenza prolungata del messaggio di amore di Thérèse.

Torna, quindi, l’impegno a non giudicare gli altri, a essere comprensivi verso tutti, a non imporre i nostri modi di vedere e di fare, a guardare ai propri peccati e a non avere l’alibi dei difetti altrui per imporre alle persone pesi che non sono secondo il pensiero del Signore. Ogni essere umano è portatore di qualche difetto o di qualche difficoltà psicologica; soltanto fidandosi di Dio e affidandosi a Lui è possibile trasformare le ferite in feritoie di luce.

In una parola si tratta di mettere in campo la delicatezza della carità.

Questo sentire, tuttavia, non vuole in alcun modo minimizzare o render banali ed effimere le gravi responsabilità dei cristiani che nel linguaggio e nella realtà sviliscono la portata di una chiesa profetica di fronte alle ferite dell’uomo contemporaneo. La vita di costoro sembra costellata da un via vai di illusioni, con le quali l’uomo tenta inutilmente di arrampicarsi sugli specchi per restare a galla nella società: gettare fango sull’altro per brillare.

Molti cristiani, infatti, hanno smarrito la sorpresa dei sogni che, seppur di bellezza straziante, annunciano che l’impossibile si fa strada nella vita di ciascuno. Eppure, se osserviamo i risvolti relazionali, molti di questi praticano la strategia della reticenza e dell’astensione: meglio stare alla larga dalla visione “poetica” della vita, altrimenti ci si ritrova con un coltello conficcato nell’anima… e sarà la fine dei nostri progetti!

Il nostro desiderio, se ci definiamo cristiani della gioia, dovrebbe essere quello di rendere felice il nostro prossimo, di certo non con manifestazioni di gioia rumorose e vuote, ma con sentimenti profondi di chi crede che la vita abbia un senso, uno scopo e di chi sa condividerla con dei compagni di viaggio, dimostrandosi sensibile ai bisogni che sorgono improvvisi, in famiglia, in parrocchia, nella società. Da che cosa è dettata questa immobilità dei cristiani, compresi i responsabili ecclesiali, di fronte ai bisogni spirituali della gente?

A mio modesto parere, ciò dipende dall’incapacità di uscire dal proprio guscio di sicurezze (spesso vizioso) e non voler affrontare il prendersi cura di sé e degli altri. Fermarsi a riflettere per cogliere le dinamiche di causa-effetto della chiusura in se stessi è un fatto destabilizzante. Conviene agire come lo struzzo che davanti al pericolo mette la testa sotto la sabbia…così si può continuare a “tirare a campare”.  C’è un criterio che risale a San Bernardo e, sebbene sia direttamente rivolto all’agire pastorale, può benissimo essere applicato a molte realtà sociali: la scuola, la politica, gli organismi di partecipazione. È una regola molto utile per fare il discernimento: “Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere” [“Vedere tutto, far finta di niente su molto, correggere poche cose”].

Se da un lato questa intuizione del Santo, fatta propria da San Giovanni XXIII e poi da papa Francesco, spiana la strada alla comprensione di due positivi pontificati, dall’altro richiede a ciascun battezzato la formazione della coscienza per una fede viva e autentica, che declini insieme santità e giustizia. Occorre un decentramento dal proprio io imperante.

Necessita porre al centro del proprio esistere l’Onnipotente.

Chi si fa cercatore dell’Assoluto diventa navigante di bellezza e, trovata questa bellezza che è Dio, se ne innamora. E allora sì che, sulle orme della piccola ma possente santa di Lisieux, il credente potrà avere una vita catalizzatrice di maturità psico-spirituale e divenire esempio, modello, via all’umanità di chiunque, ferito nel profondo, voglia tuffarsi nella stessa splendida, divina avventura. (cfr. Antonella Piccirilli, S. Teresa di Lisieux: piccola grande santa).

Purtroppo, in questi giorni abbiamo assistito continuamente a numerosi e massicci tentativi di neutralizzazione del messaggio di papa Francesco. Basti pensare all’ultima serie dei “dubia” (“dubbi”) presentati da alcuni cardinali, concernenti soprattutto la sfera della “vita”, per ribaltare quanto definito dal papa nell’Esortazione Apostolica “Gaudete et exsultate” (cfr.  n.101), documento nel quale il pontefice presenta l’humanum di tanti fratelli e sorelle sofferenti per varie cause che merita una risposta profetica ed etica della comunità, capace di farsi carico di una vera trasformazione.  E tutto questo avviene mentre la comunità ecclesiale è in cammino sinodale, iter contrassegnato da creatività e responsabilità. Il primo dei due elementi, ovvero la creatività, tende a sviluppare una nuova coscienza, rinnovando il modo di pensare (cfr. Rm 12,2), approfondendo la nostra vocazione battesimale e la sequela di Gesù Cristo. Ciò richiede di farsi prossimo di fratelli e sorelle in cammino e rileggere con loro le proprie storie, anche quelle sfavorevoli, alla luce della Parola per trovarvi – con franchezza evangelica – i percorsi di fraternità più idonei.

Occorre lasciarsi toccare da Dio nell’intimità del cuore per trovare, secondo il sentire di Sant’Agostino, la luce dell’uomo interiore che è dentro di noi, dove suona una voce che nessun fluire dei secoli può portare via, dove si espande un profumo che nessuna ventata può disperdere.

Tutto questo io amo, quando amo il mio Dio.

La “responsabilità”, frutto della consacrazione battesimale, deve vedere invece la compartecipazione di tutti alla vita della comunità e quest’ultima dovrebbe, con grande umiltà, riconoscere i peccati commessi “in pensieri, parole, opere ed omissioni”. Occorre superare le frontiere religiose e culturali; durante gli incontri dare valore alla vita mediante una testimonianza autentica e visibile al fine di essere non solo il riflesso di un Dio che usa misericordia, ma anche memoria permanente della presenza amorevole e compassionevole dell’Altissimo in mezzo al popolo che Egli ama. Con semplicità e verità, dobbiamo sempre chiederci: stiamo annunciando e promuovendo il Regno di Dio? Oppure, la pratica della religione ad uso e consumo nostro, senza alcun coinvolgimento della comunità ecclesiale che, inevitabilmente scomoda, ci fa diventare complici dell’ingiustizia?

Nella vita vissuta concretamente entra Dio. Le esperienze di ogni giorno sono il luogo privilegiato dell’incontro con Lui perché la sua presenza è nella creazione, negli avvenimenti quotidiani, nel lavoro e nelle relazioni sociali, nel silenzio e nel rumore di una vita frenetica, nei successi e nelle angosce, nella gioia e nella tragedia della morte. Il giovane e l’anziano, i componenti della famiglia e della comunità parrocchiale, l’esule e il malato, il collega e il vicino di casa, … sono tutti specchi che riflettono il Dio della vita e dell’amore.

Più conosciamo Dio, più penetriamo il senso profondo della nostra esistenza.

Riusciamo a prendere consapevolezza che facciamo parte del progetto del Creatore per il mondo ed è per questo motivo che il mondo non deve essere visto come un ostacolo, ma è da leggersi quale luogo d’incontro con l’Onnipotente, luogo di missione e di santificazione? In una maniera misteriosa, Dio agisce per mezzo nostro e in noi stessi, nonostante i nostri limiti e le nostre fragilità.

Auguro a tutti di non essere apparentemente soddisfatti della propria fede e di accogliere con gioia le visite imprevedibili che lo Spirito fa alla nostra comunità. Con Teresina di Lisieux aderiamo a Cristo in fiducia che sia affidamento senza condizioni di un amore totale e totalizzante al fine di saper dire, come lei e con lei: amare è dare tutto e dare se stessi.

… in cerca di Dio e dell’uomo per le vie del cuore …

Ettore Sentimentale

 

parrocchiamadonnadelcarmelo.it