La cartina della felicità: hai fatto questo e dovrei tacere?

Salmo 50, 21

 

Da più parti del mondo “cattolico conservatore” è emerso in questi ultimi giorni un generale malessere contro papa Francesco, contro la Caritas e alcune associazioni di volontariato perché “schierati” a favore dell’accoglienza dei migranti che scappano da guerre e fame, approdando dopo un fortunato viaggio sulle nostre coste.

Lo scontro a mio parere, al di là dell’essere un fatto “politico” o “religioso” ha un fondamento filosofico-teologico. Su questo puntosi affrontano due opposte “ideologie” sull’uomo. La domanda è semplice: quale antropologia sottostà ai rispettivi gruppi?

Senza entrare nel dettaglio, evitando però di essere troppo sbrigativo, penso che vi siano due concezioni contrapposte: una biblica-filosofica che vede l’uomo come “immagine” di Dio e l’altra profondamente atea che esalta il mito del “super-uomo”.

La prima si traduce in atteggiamenti etici di responsabilità, prossimità e dono; la secondaè permeata da ambiguità e strumentalizzazione: l’altro mi interessa finché mi serve.

Se volessimo trovare un “precedente” di queste opposte posizioni, potremmo fare riferimento a due grandi filosofi del secolo scorso: E. Lévinas e M. Heidegger. Il filosofo di origine ebraica-lituana, profondo conoscitore del Primo Testamento, teorizzò “l’epifania del volto” dell’altro; il maestro dell’esistenzialismo ontologico, invece, a causa della sua partecipazione al nazional-socialismo hitleriano, non riconosce nell’uomo l’impronta di Dio. A motivo di questa presa di posizione, Lévinas sarà molto duro nei confronti del pensatore di Friburgo, del quale – pur riconoscendone l’importanza vitale degli studi – dirà spesso, prima dello sterminio operato ad Auschwitz: “Non si può perdonare Heidegger”.

Questa premessa sintetica -senza alcuna pretesa scientifica – spero ci aiuti a interpretare le reazioni dei “cristiani” (o sedicenti tali), di fronte ai disperati che a stento raggiungono le nostre coste.

Ognuno chiaramente è libero di poter agire (siamo quindi nella sfera dell’etica) come meglio crede…i cristiani sanno però che il loro impegno non può andare in senso contrario a quanto la Parola di Dio propone.

Di fronte all’inquietudine provocata dalla presenza massiccia di tanti fratelli, i cristiani non possono non scegliere di accogliere il volto “differente”, “altro” ma pienamente umano, scrigno della presenza del Signore: “Io ero forestiero, ammalato, solo, carcerato, nudo…tutte le volte che avrete fatto questo a uno dei più piccoli l’avete fatto a me” Mt 25, 35.40

Nella scrittura si trova un altro passo che richiama in modo solenne la responsabilità non solo di fronte al fratello ma pure dinanzi a Dio, il quale non può tacere davanti al male che si fa: “Caino, dov’è tuo fratello?” Gn 4,9

I cristiani sanno che, eticamente parlando, devono rispondere della propria condotta non solo all’altro, ma pure dell’altro. Alla propria coscienza, a Dio, alla società.

Oggi paradossalmente si assiste a un corto circuito “morale”: persone che si professano “cristiane” che vanno in chiesa, pregano, raccolgono offerte per le varie feste patronali …poi prendono le distanze in modo netto da qualsiasi coinvolgimento nei confronti dei fratelli di colore, dei migranti disperati che chiedono un po’ di comprensione… Parecchi di questi cristiani “praticanti” si possono definire “atei devoti”. E magari postano messaggi e indicazioni di rifiuto verso gli ultimi. A costoro, come ai mafiosi, bisognerebbe dire – a mio parere – che non sono in comunione con Dio, né con la Chiesa…sono “scomunicati”.

Poi vi sono i “lontani”, gente magari immersa in ideologie di vario stampo ma che almeno riconosce il volto e il valore di chi è diverso, operando in ampi settori del volontariato a diverso titolo.

Non sta a me tratteggiare il limite fra l’una e l’altra “categoria” di persone, a me spetta però essere chiaro non solo durante le omelie, ma anche nel proporre la morale “sociale” della Chiesa.

Di fronte a qualsiasi opzione di totalitarismo, operata spesso dagli stati, ogni uomo deve opporre la voce della propria coscienza, la quale riesce a mettere bene a fuoco la dialettica che intercorre fra giustizia ed etica.

Ettore Sentimentale