Islamofobia. Una prerogativa religiosa per opprimere gli individui?

Portrait of a Gambian boy on board the Bourbon Argos after being rescued. from a inflatable boat.

L’islamofobia è uno dei mali all’ordine del giorno della nostra società, della politica, della cultura e dell’economia. In buona compagnia con altre fobie (tra cui anche la cristiana, per esempio Sry Lanka – recenti attentati –  e Cina), tutte con intenti di preservare integrità e salvezza degli esseri umani da attacchi esterni al loro presunto primato di felicità. Intenti che ovviamente sono appannaggio di chi ha il potere e/o il predominio culturale e sociale e dove, sostanzialmente, gli individui di per sé sono considerati men che zero, anche se – come avviene nei Paesi cosiddetti occidentali dove c’é islamofobia – ci viene fatto credere il contrario.

 

E proprio sull’integrazione dell’islamismo nella propria società c’è una ricerca a livello mondiale, che viene periodicamente aggiornata, curata da due docenti universitari della George Washington University in Usa.  Scheherazade S. Rehman e Hossein Askari, in modo certosino, usando parametri ben definiti, ci fanno sapere che sostanzialmente gli ideali musulmani vengono vissuti meglio nei Paesi non ufficialmente musulmani che in quelli ufficialmente musulmani. Lo studio misura quanto siano tradotti in pratica i versetti del Corano e le tradizioni risalenti al Profeta Maometto: vi si analizzano le sfere dell’economia, del sistema giuridico, dei diritti politici e umani nonché le relazioni internazionali.

L’Italia è al 33.mo posto (sic!). Al primo posto c’é la Nuova Zelanda, il Paese in cui due mesi fa c’é stato l’attentato alle due moschee. Per trovare un Paese dove l’islam è religione ufficiale, bisogna arrivare al 38.mo posto dove c’é la Malaysia; dieci posti dopo, al 48.mo c’é il Kuwait… e così via fino ad un totale di 208 Paesi. Interessante vedere la coda di questo indice: Isle of Man (205), una dipendenza della Corona Britannica a governo autonomo, situata nel Mar d’Irlanda tra l’Inghilterra e il territorio irlandese; Somalia, Paese musulmano (206); la Striscia di Gaza in Palestina (207); Mayotte (208), isola ex appartenente all’arcipelago delle Comore (in oceano Indiano, tra Madagascar e Africa), oggi un dipartimento francese d’oltremare. Insomma, una coda in cui, per la sua varietà, si potrebbe ampiamente dissertare sulle ragioni – molto diverse, ovviamente, una dalle altre – della loro islamofobia.

Se ce ne fosse stato ancora bisogno, visto il non indifferente bagaglio storico e politico del passato, ecco un’ennesima prova di come una religione – e l’odio verso questa religione – viene usata per opprimere gli individui. Esseri umani che devono essere “drogati” per far credere loro che la felicità (più o meno eterna, dipende dai casi e dai luoghi), nonché il benessere, si può raggiungere solo prendendosela con gli altri, meglio se diversi, stranieri, lontani e magari anche fisicamente un po’ diversi.

Chi, come noi, ha creduto che con l’avvento della società moderna e contemporanea (dall’Illuminismo in poi) questi metodi di gestione del potere fossero diventati sempre più storia in estinzione (con non pochi colpi di coda soprattutto a metà del secolo scorso, anche in Europa), si deve ricredere.

Per quanto ci riguarda: la lotta continua!!

Lo straniero (territoriale, culturale, sociale, economico e religioso) è ancora considerato come un pericolo, non una curiosità da cui apprendere per migliorare anche se stessi e il proprio contesto. E non è tanto questione di religioni buone e cattive (o più buone e meno cattive), ma solo di potere, che si esprime attraverso diversi rituali che, alla fine, portano sempre allo stesso punto: “mors tua vita mea” (morte tua vita mia) come ci hanno insegnato i latini che, nella fattispecie, hanno mostrato una non indifferente lungimiranza. Potrebbe sembrare un film di fantascienza, ma non lo è: dove nella Galassia si incontrano, tra migliaia e migliaia di anni, personaggi che, pur con tecnologie per l’appunto da fantascienza, conservano pregiudizi in base ai quali uccidono e discriminano al pari del nostro inizio 2000 d.C.. E’ la realtà. Più o meno dominante, ma è tale, visto che, anche nei Paesi che sono in cima al nostro indice, le manifestazioni di islamofobia non sono del tutto assenti; e il problema in questi Paesi è difendersi dalle – pur se numericamente infime – minoranze aggressive e fanatiche che usano metodi “molto spicci” per comunicare. L’intelligenza è farlo senza farsi male, dove questo male è la istituzionalizzazione, oltre che culturalizzazione, dell’emarginazione dello straniero.

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc