Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: nella Chiesa si è parlato di riforma, ma una vera riforma non c’è stata

di ANDREA FILLORAMO

Sempre nella Chiesa si è parlato di riforma, ma una vera riforma non c’è stata mai; cioè mai si è realizzato un nuovo modello di chiesa che potesse testimoniare l’autentica istanza evangelica. I Papi hanno tollerato o favorito più volte i diversi tentativi di rinnovamento purché non assumessero in modo esplicito caratteristiche eretiche, ma si è sempre trattato di esperienze isolate e ben lontane dalle attese dei fedeli e di quella parte sensibile del clero che vuole il cambiamento.

Malgrado, quindi, il frequente e pressante invito alla “riforma”, l’istituzione ecclesiale ha preferito, nei secoli, appiattirsi su determinati e immutabili modelli culturali attraverso un’interiorizzazione dogmatizzata di alcune categorie divenute convincimenti e perché tali rigidamente imposte, senza pensare che la mente umana non tollera nulla che sia rigido nei confini che la limitano.

Una delle caratteristiche tipiche della Chiesa Cattolica, come istituzione e non come comunità, è stata, quindi, proprio quella di ritenere, ogni suo pronunciamento e non solo i suoi dogmi, non modificabile. Da qui l’intolleranza, cioè l’assoggettamento servile dei fedeli alle idee, che si credono le uniche da sostenere, anche con la forza. Diciamolo chiaramente: “Nei momenti di difficoltà si tende a essere rigidi e a individuare dei nemici. Proprio allora ci si divide tra buoni e cattivi”.

Questo clima di intolleranza che diventa anche clima di paura e di diffuso sospetto, presente nei tradizionalisti come nei progressisti a oltranza, rivela soprattutto una grande sfiducia nell’uomo e nella sua capacità di conoscere la verità.  Se, però, la paura si installa all’interno della Chiesa, cresce la prepotenza.

Tuttavia, anche presso i cattolici dopo il Concilio Vaticano II si è affermato, una sorta di “storicismo teologico” o di “teologia storicista”, che, al di là delle parole altisonanti usate, bisogna guardare senza preconcetti, per la quale è la storia che giudica la verità e la può modificare come vuole, per cui ciò che era vero ieri non necessariamente deve essere considerato vero oggi e ciò che era sbagliato ieri non necessariamente deve necessariamente essere ritenuto sbagliato oggi.

Ciò potrebbe valere per alcuni temi etici sui quali si mette in gioco la credibilità della chiesa.

Quel che sicuramente è vera e che non è soggetta al cambiamento è la parola di Cristo che, spesso, però è utilizzata e consumata da usi impropri, da presupposti e non dai suoi significati.

Già l’eresia modernista era arrivata ad affermare che il dogma non avrebbe nulla di definito, ma sarebbe una semplice “smagliatura” del tempo, modificabile ed elasticizzabile come si vuole. Alla fine, quindi, sarebbe il singolo credente chiamato ad un’interpretazione del dogma, interpretazione confacente alla propria storia e alla propria psicologia. L’eresia modernista che Pio X condannò immediatamente definendola “sintesi di tutte le eresie”, ma che, a mo’ di fiume carsico, è andata sottoterra per poi riemergere negli ultimi decenni trionfando su tutti i fronti.

Per essere precisi possiamo dire che “le formule dogmatiche sono immutabili quanto all’essenza, cioè al loro contenuto sostanziale, ma possono essere approfondite per una maggiore penetrazione delle stesse”: è questo un compromesso ideologico? Forse.

Il monaco Vincenzo da Lerino (V secolo) si occupò proprio di questa questione nel suo celebre Commonitorium che è un trattatello di 28 capitoli un cui si fece portavoce della mentalità del nascente monachesimo.  A tal proposito è stato scritto che: “si fa strada l’immagine di una società di perfetti, si delinea sempre meglio il carattere principale di questa prima legislazione cenobitica, cioè il suo tradizionalismo e conservatorismo, il continuo collegarsi con il passato, l’abitudine costante di trovare nella tradizione non solo i grandi modelli, ma anche l’indicazione della prassi e della norma”.