Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: La superstizione rappresenta, in qualche modo, un eccesso perverso della religione

di ANDREA FILLORAMO

La superstizione è, nelle sue varie forme in cui si manifesta, la piaga sociale, di cui è affetta quasi la totalità della popolazione, che viene incentivata inconsapevolmente da molti preti e spesso lascia indifferenti i vescovi, che nulla o poco fanno per eliminare o almeno limitare i danni operati dalle credenze e dalle pratiche rituali, fondate su presupposti magici e soprannaturali.

Sappiamo che la superstizione attecchisce dove è assente o scarseggia la fede, che, se autentica, si sa abbandonare alla volontà di Dio senza condizioni, cercando lui stesso prima che i suoi favori e sa sottoporre a lui, con umiltà, le richieste per i bisogni della vita, senza pretendere risposte automatiche.

Abbiamo Il coraggio di dirlo: per molti che si dicono cattolici, il cristianesimo purtroppo si riduce a un insieme di pratiche magiche a delle “rituologie” e, quindi, è una congerie di superstizioni e di credenze che fa leva sulle persone che magari sconoscono le verità della fede o l’hanno dimenticato oppure le considerano cose troppo astratte per soffermarsi.

Da qui il ruolo assolutamente fondamentale che hanno per la loro vita, alcune credenze come, ad esempio, quella relativa a Padre Pio, il santo taumaturgo di Pietrelcina, al quale in molti si rivolgono per chiedere grazie o miracoli, del quale conservano immagini e “santini” o quella relativa alle apparizioni mariane, mai, però, riconosciute dalla Chiesa.

Fra queste apparizioni, negli ultimi decenni spicca in maniera particolare quella di Medjugorje, la cui storia è veramente ridicola e in cui più che di “fede”, si deve necessariamente parlare di totale annichilimento del senso critico. Da trent’anni, infatti, cinque “veggenti” sostengono di vedere regolarmente la Madonna (a intervalli fissi settimanali, con il calendario preciso che si conviene a un buon business). Prove concrete? Nessuna. Nessun testimone. Mischiate assieme: credulità, ignoranza, superstizione.

Non intendo essere frainteso: nessuno, se credente, può mettere in dubbio la venerazione che si deve a Maria, la Madre di Gesù, ma da questo a dire, che la Madonna appaia ai cosiddetti “veggenti”, c’è un abisso da colmare e che tutti, come i musulmani alla Mecca, “semel in vita”, si devono recare in pellegrinaggio a Medjugorje, per salvare l’anima (ovviamente esagero) è assurdo pensarlo.

Fra tutti gli aspetti del cristianesimo cattolico, così come vissuto, infatti, il culto mariano talvolta diventa grottesco, non tenendo conto, affatto che i vangeli diano pochissimo spazio alla figura di Maria, ma informano, tuttavia, a sufficienza del suo ruolo indispensabile nel piano salvifico di Dio. Nel prosieguo della storia del cristianesimo, tale figura, però, è diventata – ha detto qualcuno – una sorta di quarta persona della Santissima Trinità. Questo, almeno inizialmente, probabilmente è stato dovuto alla necessità di trovare un palliativo per rimpiazzare i numerosi culti di divinità femminili diffusi nel bacino del Mediterraneo e in Europa e aggirare il problema che “Dio” nelle religioni monoteiste è esclusivamente maschile? Non lo sappiamo.

Una risposta a questa domanda la dà Massimo Cacciari (che non è un teologo), che dedica alla figura di Maria e alla sua iconografia in un libretto di poche pagine: “Generare Dio”, in cui egli offre al lettore attento i risultati di un itinerario di ricerca, il dialogo approfondito tra filosofia e teologia.

Generare Dio di Cacciari fa comprendere il significato più vero dell’evento della generazione e della nascita di Gesù ad opera di Maria Madre di Dio, attraverso le icone di Maria, sulle quali il devozionismo rischia sempre di precipitare nella superstizione.

Una considerazione finale a quanto abbiamo detto mi è lecito farla: dalle credenze, che abbiamo menzionato e da molte altre, nasce un fenomeno, quello del turismo religioso, che, secondo una ricerca dell’Isnart (Istituto Nazionale Ricerche turistiche), prima della pandemia, generava ogni anno in Italia 5,6 milioni di presenze.

Il giro di affari stimato, collegato a questo segmento di turismo definito, appunto, “religioso”, era, nell’anno 2019, di oltre 18 miliardi di dollari, grazie anche alla pastorale dei vescovi, con cui molti di loro invitavano o sollecitavano i preti ad organizzare pellegrinaggi.

A tal proposito, cito fra i tanti, il vescovo di una diocesi lombarda, che, nel già lontano 2002, presentava il suo progetto (Progetto Pastorale Turismo e Pellegrinaggi), sostenendo che esso “si inserisce nel cammino per una Nuova Evangelizzazione e precisamente nell’obiettivo di offrire una fede che matura alla scuola del Vangelo”.

Non so se oggi, con Papa Francesco, i vescovi e preti condividano con quel vescovo lombardo questa tipo di pastorale turistica.

Se così fosse, si spera che il “turismo religioso” non sia l’«ultima spiaggia» di un cattolicesimo che tende a morire.

C’è molto da costruire nella Chiesa e l’unica possibilità che essa ha e nelle mani di chi apre le pagine del Vangelo, dal quale si evince che una cosa è la fede, il vivere in modo la religiosità, e un’altra molto diversa è fraintendere, deformare la dimensione religiosa e cadere in superstizioni.

Il rispetto per il primo comandamento della legge di Dio implica il fatto di opporci fondamentalmente a due cose: l’irreligione e la superstizione. “La superstizione rappresenta, in qualche modo, un eccesso perverso della religione; l’irreligione è un vizio opposto, per difetto, alla virtù della religione” (Catechismo, n. 2110).