Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: La “libertà di pensiero” dei cattolici

di ANDREA FILLORAMO

La Segreteria di Stato Vaticana, citando il Concordato, chiede all’Italia di “trovare una diversa modulazione del testo normativo” del ddl Zan e ciò “in base agli accordi che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione”.

Secondo la Santa Sede la legge violerebbe il Concordato, oltre a minacciare la “libertà di pensiero” dei cattolici.

Ci chiediamo: quali sono i passaggi che il Vaticano ritiene lesivi della libertà dei cattolici?

Il Vaticano evidenzia più di una criticità, richiamando espressamente i commi 1 e 3 dell’articolo 2 dell’accordo, rivendicando “la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” dei cattolici, oltre che “la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale” della Chiesa.

A dire il vero: è sufficiente dare una semplice lettura del testo della legge Zan, per accorgersi subito che essa non introduce alcun reato d’opinione, come spesso viene erroneamente detto e ripetuto  dalla Lega; il testo introdurrebbe in sostanza soltanto delle modifiche all’articolo 604 bis del codice penale, quello che disciplina il reato di ‘Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa’ e la propaganda di idee, che viene sanzionata se queste sono “fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico” (articolo 604-bis) e quindi non è estesa dal ddl Zan alle idee su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità.

In realtà – e bisogna affermarlo con forza – se la legge Zan venisse approvata tutte le opinioni potrebbero essere espresse senza limiti e tutte le idee sono accettate a meno che queste non istighino concretamente all’odio, contribuendo a generare una spirale di violenza contro le persone lgbt (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali transgender).

Allora, perché la Chiesa, ovverossia una certa parte della Chiesa, quella magari lontana e ostile al pensiero di Papa Francesco, che vuole abbattere ogni muro per sostituirlo a ponti, vuole bloccare questo, che è ancora un disegno di legge?

Forse la risposta a questa domanda l’ha anticipata il Corriere della Sera, che ha sostenuto che sarebbe desiderio del Vaticano che venga in particolare cassato l’articolo 7 che permetterebbe anche all’Italia la ricorrenza annuale della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia’ riconosciuta dall’ONU, che fa riferimento a fenomeni sessuali non accettati e non accettabili dalla dottrina cattolica, che nel suo Catechismo all’art. 6 afferma:

Ciascuno dei due sessi, con eguale dignità, anche se in modo differente, è immagine della potenza e della tenerezza di Dio. L’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio è una maniera di imitare, nella carne, la generosità e la fecondità del Creatore: «L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne» (Gn 2,24). Da tale unione derivano tutte le generazioni umane”. 

Vi è ancora un altro punto critico sollevato da Vaticano, cioè quanto si legge nell’articolo 7 del ddl e cioè: “le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività utili” al contrasto delle discriminazioni.

Visto che la legge coinvolgerebbe anche le scuole paritarie, sarebbe messa in discussione, a parere del Vaticano, la libertà di organizzazione della Chiesa sancita dalla revisione del Concordato, perché il già citato articolo 2 dell’accordo sottoscritto tra Stato e Chiesa dovrebbe tutelare “le garanzie in ordine alla missione salvifica, educativa e evangelica della Chiesa.”

È questo sicuramente un punto importante, pedagogicamente sensibile della legge, che il parlamento sta trattando.

Dinnanzi alle opposizioni alla nota del Vaticano della maggior parte delle Forze politiche, chiara la posizione del Presidente del Consiglio Draghi, che, intervenendo proprio sulla posizione del Vaticano nei confronti del Ddl Zan, ha specificato che quello italiano è uno Stato laico “non è uno Stato confessionale, quindi il Parlamento è certamente libero di discutere e di legiferare”. “Il nostro ordinamento – ha aggiunto – contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa. Quindi vi sono i controlli di costituzionalità preventivi nelle competenti commissioni parlamentari, è di nuovo il Parlamento che per primo discute della costituzionalità, e poi vi sono i controlli successivi nella Corte costituzionale”, ricordando anche la sentenza della Consulta del 1989, in cui viene evidenziato che la laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, ma tutela del pluralismo e delle diversità culturali.

Le parole di Mario Draghi, con la rivendicazione della laicità dello Stato e la sua non confessionalità, spingono il Cardinale Parolin ad intervenire per gettare acqua sul fuoco delle polemiche e a fare quasi “marcia indietro”.

“Da parte della Santa Sede – dice il porporato – non c’è alcuna richiesta di fermare la legge né ci sono indebite pressioni sul lavoro del Parlamento italiano. L’intento della Nota Verbale vorrebbe solo portare, all’attenzione dell’Italia alcune preoccupazioni riguardanti l’interpretazione di alcuni passaggi del testo stesso. Ma “concordo pienamente – dice il Cardinale – con il presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità del Parlamento“.

Sicuramente Parolin lancia anche messaggi interni.

Intanto dice a chiare lettere ancora una volta che la Chiesa è contro qualsiasi atteggiamento o gesto di intolleranza o di odio verso le persone a motivo del loro orientamento sessuale, come pure della loro appartenenza etnica o del loro credo. Ritiene, tuttavia, che sia importante definire bene i contorni del ddl perché la normativa si muove in un ambito di rilevanza penale dove, com’è noto, deve essere ben determinato ciò che è consentito e ciò che è vietato fare. In Segreteria di Stato sono noti casi di sacerdoti che in alcun Paesi europei hanno subìto procedimenti penali per affermazioni che per la Santa Sede possono essere ritenute legittime. La Nota è stata spedita utilizzando gli usuali canali diplomatici, dice Parolin, che rivendica questo fatto e fa capire che la pubblicazione di alcuni stralci è stata vissuta, oltretevere, come un tradimento: il testo, spiega, non è stato scritto e pensato “per essere pubblicato”.

Dicendo così il Segretario di Stato lascia anche intendere che la responsabilità della pubblicazione sui media non è della Santa Sede: chi ha fatto uscire la Nota non risiederebbe entro le Mura Leonine. Ciò fa pensare a quella lotta immane che mentre scriviamo scuote la Chiesa, le cui divisioni interne si abbattono pesantemente sul clero cattolico e sul popolo dei credenti, fortemente frastornato, non solo per gli scandali sessuali, per la pedofilia dei preti ma per le aporie notate fra quel che dice Papa Francesco e quel che dicono molti vescovi su questioni concernenti la vita e i costumi dei cattolici.

In realtà, diciamo le cose come stanno: per mesi il Vaticano ha subìto le pressioni di parte dell’episcopato italiano affinché venissero palesate in modo pubblico le criticità del ddl.

Fino a qualche mese fa la Cei, che dal tempo di Ruini e Bagnasco è diventato un organo politico, sosteneva che il ddl Zan introduceva un «reato di opinione» e che intendeva «sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma».

Parolin, che segue la linea pastorale di Papa Francesco, non a caso, spiega che proprio perché “alla Santa Sede si sarebbe potuto imputare un colpevole silenzio, soprattutto “quando la materia riguarda aspetti che sono oggetto di un accordo”, non poteva tacere, ma nello stesso tempo dice che non c’è in lui volontà d’ingerenza. Ha adottato la Nota Verbale proprio perché “è il mezzo del dialogo nelle relazioni internazionali” e come tale è quello ritenuto più istituzionale e rispettoso.

Sarebbe molto interessante conoscere su questo argomento il pensiero del Papa, ma sappiamo che egli non si interessa delle leggi italiane o dei problemi dibattuti all’interno del Conferenza Episcopale italiana, con la quale non ha avuto sempre ottimi rapporti.

Per Bergoglio non possono esserci giri di parole. Egli va sempre diretto e avverte tutti anche e particolarmente i vescovi: o si mettono in linea con il Concilio Vaticano II o sono fuori dalla Chiesa. Nessuno può dare le interpretazioni che vuole, “il Concilio non va negoziato” i cui dettati possono anche non conciliarsi con il Concordato. “Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi”.

Non a caso l’affondo sul Concilio è arrivato a sorpresa, nel corso di un’udienza con l’ufficio catechistico della Conferenza Episcopale Italiana.

L’affondo dovrebbe arrivare anche a quei preti, particolarmente quelli di nuova generazione arrivisti, carrieristi – e ne conosco tanti – che non hanno neppure letto i decreti del Concilio Vaticano Secondo, ritenendolo un fatto accaduto molto tempo fa, quindi inattuabile.

Sono essi quelli che vedono il loro vescovo come un datore di lavoro, che godono dei benefici del loro stato clericale, che concede loro una casa in cui abitare, uno stipendio mensile tratto dalla fiscalità nazionale (vedi 730) e una parrocchia che considerano una proprietà privata da barattare con una parrocchia più grande e più ricca.

Per loro, quindi, diventa assurda la proposta, prevista dal Concilio, fatta da qualche vescovo di creare, di diverse parrocchie una grande comunità per avere un unico “presbiterio, che sa pregare, condividere e servire”.

È ancora attuale quanto il cardinale Angelo Bagnasco, nel quinto Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze del 2015 diceva: “la parola chiave per l’ambiente ecclesiale è solo una: ripartire e farlo con più slancio, perché Chiesa in uscita vuol dire Chiesa missionaria e non si parte da zero”.

Per far ciò, ritengo che la Chiesa Italiana può fare a meno del Concordato con lo Stato Italiano, che, a mio parere, potrebbe essere anche abolito.