Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: la guerra ha sempre segnato la storia dell’umanità

di ANDREA FILLORAMO

La guerra ha sempre segnato la storia dell’umanità. Sin dell’antichità il desiderio di conquista, motivato da ragioni economiche e sociali, ha spinto i popoli ad uscire dai confini dei propri Stati per dirigersi altrove, verso altri confini, portando con sé la violenza, la morte e l’idea della sopraffazione.

Per tal motivo la pace, sempre desiderata, presenta una sua labilità e non è, purtroppo, mai per sempre. Essa è messa a rischio ad ogni occasione, e quando forse meno ce l’aspettiamo, precipitiamo nell’abisso di una guerra, dal quale è difficile tirarci fuori.

Il Papa Pio XII il 24 agosto 1939, vedendo il pericolo della Seconda Guerra Mondiale disse: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo”.

Il Pontefice Paolo VI nel lontano 1965, durante la visita all’Organizzazione delle Nazioni Unite disse: “Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!”.

La stessa cosa, a distanza di 57 anni, del messaggio di Papa Montini, ai giorni nostri, mentre tante guerre ci sono nel mondo e mentre infuria la guerra nel cuore dell’Europa, la riafferma Papa Francesco, che dice: “Mentre si assiste a un macabro regresso di umanità mi chiedo, insieme a tante persone angosciate, se si stia veramente ricercando la pace, se ci sia la volontà di evitare una continua escalation militare e verbale, se si stia facendo tutto il possibile perché le armi tacciano”. E prima ancora non aveva risparmiato critiche alla decisione, da parte di alcuni Stati, fra cui l’Italia, di spendere il 2% del Pil per l’acquisto di armi: “Mi sono vergognato, pazzi!”.  

Questo appello di Papa Bergoglio – diciamolo con chiarezza – è caduto nel vuoto della coscienza. Ma perché ciò è avvenuto? La risposta è facile: le guerre sono tutte (con rare eccezioni) guerre economiche, mosse dalla ricerca di nuove risorse, nuovi territori, nuovi sbocchi commerciali, nuovi ordini sociali, anche se accuratamente mascherate con false ideologie.

Il “mestiere della guerra”, non si limita al solo combattimento sul campo, ma si estende a tutto ciò che lo prepara e lo segue.  

In questo contesto si colloca, paradossalmente, il successo e i profitti dell’industria delle armi che si incrementa attraverso il 2% del PIL di ciascuna nazione europea, al quale si è vincolata anche l’Italia, attiva non solo a livello statale, ma anche e soprattutto nel privato.

 Le società produttrici di armi avviano, quindi, una pericolosa liaison tra guerra, economia e politica che giova alle lobby delle armi e spinge al supporto della guerra.

Su questa guerra e sui suoi esiti tante sono le domande che ci poniamo e fra queste: qual è il ruolo del diritto internazionale? In che modo esso si intreccia a questioni quali la responsabilità di proteggere degli Stati? Fin dove le ragioni della guerra possono spingersi a scapito del rispetto dell’umanità? Come rispondere alle minacce purtroppo sempre più attuali delle armi atomiche?  C’è un’etica che vale per tutti?  Come controllare la diffusione e lo sviluppo di sempre nuovi strumenti di morte? Come ostacolare la violenza?

Tante possono essere le risposte a queste domande e molte possono essere prospettive che ne derivano, di cui tutti gli Stati devono farsi carico, prima di farci precipitare in una catastrofe dalla quale nessuno si salva.

Per rispondere a queste domande occorre direttamente chiamare in causa la coscienza degli Stati e di tutti i gruppi coinvolti che prima o dopo sono obbligati a sciogliere tutti i nodi che nel tempo si sono accumulati e hanno portato al conflitto.

La guerra in corso, purtroppo, ancora non vede le parti contendenti “cedere” e “concedere”, in ogni caso deporre le armi e impegnarsi a scrivere, assieme, “a quattro mani”, un nuovo e diverso capitolo della loro storia, nel cui vocabolario non ci sia soltanto la parola pace ma anche quanto è necessario per mantenerla, custodirla, difenderla: un compito estremamente difficile, forse lungo, ma urgente da cominciare almeno a svolgere.

Lo devono ai nostri e loro figli e nipoti che hanno il diritto di guardare il futuro con serenità e cercare di dimenticare, se sarà loro possibile, le distruzioni, i morti, le fosse comuni, il terrore stampato nei volti di vecchi e bambini che fuggono, che tutti i giorni vedono sugli schermi dei televisori.

Scriveva nel lontano 1944, Hans Kelsen nella prefazione al suo libro “Peace Through Law”, trad. italiana “La pace attraverso il diritto” : “La guerra è un assassinio di massa, la più grande disgrazia della nostra cultura; […] garantire la pace mondiale dev’essere il nostro principale obiettivo politico, un obiettivo molto più importante della scelta tra democrazia e dittatura, o tra capitalismo e socialismo”.