Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: Il virus ci accompagnerà per qualche anno e forse anche di più

di ANDREA FILLORAMO

Da sempre l’uomo ha convissuto con le epidemie e per molti secoli esse hanno rappresentato la principale causa di mobilità e di mortalità per l’umanità. Prima ancora che si comprendesse quale fosse la causa di tali patologie e che si trovassero terapie efficaci per curarle, per millenni, di fronte alle frequenti manifestazioni epidemiche coinvolgenti larghi strati di popolazione si mettevano in atto misure che l’esperienza empirica aveva dimostrato essere efficaci per contenere il contagio, cioè la diffusione della malattia tra gli individui: isolamento dei malati e misure di protezione per i sani.

 

Nel ventesimo secolo si sono verificate tre pandemie influenzali: nel 1918, 1957, e 1968, che sono identificate comunemente in base alla presunta area di origine: Spagnola, Asiatica e Hong Kong. Sebbene non classificate come pandemie, tre importanti epidemie che si verificarono anche nel 1947, nel 1967 e nel 1976. Le epidemie maggiori non mostrano una periodicità o caratteri prevedibili e differiscono l’una dall’altra. Così è stato sempre nel corso dei secoli.

In pratica l’uomo ha sempre convissuto con le epidemie e, nonostante questa esperienza secolare, esse diffondono paura e sconforto, o, nelle menti meno responsabili, indifferenza o senso di sfida.

Oggi ringraziamo i veri scienziati che non appaiono in televisione e non hanno, quindi, quella visibilità che hanno quotidianamente quei virologi fino all’anno scorso totalmente sconosciuti; essi ci hanno dato dei vaccini sicuramente efficaci con i quali, se lo vogliamo, possiamo salvare la nostra vita e quella degli altri.

Per rendere documentale il fatto che le pandemie hanno accompagnato l’uomo fin dall’antichità, cerchiamo, a grandi linee, di fare alcuni riferimenti storico- letterari.

Partiamo dall’Esodo, libro della Sacra Scrittura: in esso viene descritto come Mosè riuscì a porre termine alla schiavitù degli ebrei e a spezzare le resistenze degli Egiziani con l’invocare sul regno delle piramidi una serie di terribili calamità, vere epidemie, le cosiddette Piaghe.

Fra queste vi è la Sesta Piaga, in cui l’autore dell’Esodo fa dire a Dio: …prendete fuliggine di fornace, Mosè la getterà in aria sotto gli occhi del Faraone. Essa diventerà un pulviscolo…e produrrà sugli uomini e sulle bestie un’ulcera con pustole”.

Nessuno oggi, date le conoscenze scientifiche e teologiche che abbiamo, metterebbe nella bocca di Dio quelle parole ma, senza fare forzose analogie, in quella fuliggine e in quel pulviscolo non si vede soltanto la causa delle pustole che hanno falcidiato allora tanti, ma anche gli effluvi infettivi che produce oggi il Covid-19.

Un altro esempio può essere dato dalla decima piaga quando si legge: “Un grande grido si alzerà in tutto il paese di Egitto, quale non vi fu mai e quale non si ripeterà mai più. Ma contro tutti gli Israeliti neppure un cane punterà la lingua, né contro uomini, né contro bestie, perché sappiate che il Signore fa distinzione tra l’Egitto e Israele. A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i primogeniti del bestiame. Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto!”.

Per fortuna oggi nessuno può dire che in ogni casa ci sia un morto  da coronavirus, anche se ancora è presente in noi l’immagine dei tanti mezzi militari che portavano all’incenerimento una moltitudine di morti,  e questo grazie al nostro sistema sanitario e farmaceutico che, anche se con le molte deficienze e con in ritardi che si sono rilevati, hanno resistito all’urto improvviso dato dal coronavirus, ma grazie soprattutto alla saggezza e alla prudenza e inoltre dal senso civico di quanti hanno utilizzato e continuano a utilizzare i sistemi di sicurezza che sono stati suggeriti.

Continuiamo ancora, anche se in sintesi, la carrellata delle epidemie nei tempi, facciamo, quindi, un salto di secoli e andiamo  al 1348, anno della peste a Firenze, dove moriranno 80000 persone.

Allora, in una quasi perfetta coincidenza con l’oggi, l’epidemia è nata in Oriente e si è diffusa in Occidente. I giovani fiorentini decisero di ritirarsi in campagna, rompendo la catena sociale con la città di Firenze, e, per passare il tempo, si dedicarono al racconto delle cento novelle che compongono il Decamerone.

Nella Prima Giornata del Decamerone, Giovanni Boccaccio racconta: “Alquanti anni davanti nelle parti Orientali incominciata, quelle d’innumerevoli quantità de’ viventi avendo private, senza restare d’un luogo in un altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata”. Poi commenta: “…o che natura del malore nol patisse (permettesse) o che l’ignoranza de’ medicanti (di coloro che curano) de’ quali… così di femine come d’uomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo…. E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi, per lo comunicare insieme, s’avventava a’ sani”.

Boccaccio offre uno spaccato di città, che a differenza di oggi, non sa a chi affidarsi per venir fuori dall’incubo di una pandemia che non era possibile controllare. Alcuni  secoli dopo, precisamente nel 1840, Alessandro Manzoni, ha sottolineato i problemi sollevati da Boccaccio e nella “Storia della colonna infame” scrivendo della peste di metà ’600  riprende quasi alla lettera il Boccaccio e scrisse :“In quel tempo di peste e d’ignoranza, di terrore e di credulità, oltre una grande quantità di preservativi cabalistici e superstiziosi, erano in voga ricette e segreti infiniti: tutti gli specifici  proposti e spacciati in diverse epoche di eguale sciagura, venivano scavati e riproposti dai medici, dagli eruditi, dalle donnicciuole: se ne inventavano di nuovi alla giornata; e gli speziali, i barbieri…lavoravano a comporre lattovari, unguenti, pillole, decorazioni”.

A conclusione mi piace sottolineare il fatto che anche la letteratura straniera ha molte pagine sulle pandemie storiche, come ad esempio Shakespere, che scrisse, “Il Re Lear”, durante la “grande peste di Londra”, negli ann1605-1606. In quel periodo un’epidemia di peste bubbonica si portò via le vite di 100 mila abitanti della capitale inglese. La gente fuggì da Londra dove poteva sino a che la città non si chiuse in quarantena. Shakespeare però non andò da nessuna parte — rimase nella città contaminata. Rinchiuso nella propria casa, scrisse non solo “Il Re Lear”, progettò il “Macbeth”.

Torniamo al Covid-19: “il Coronarivus”: Il virus ci accompagnerà per qualche anno e forse anche di più.  Quello causato dalla pandemia “è uno stress che non è come quello causato da un terremoto o da un’alluvione. Stiamo mettendo in atto strategie di adattamento che lasceranno il segno in futuro, alcune probabilmente in maniera permanente”. La documentazione di quello che sta oggi accadendo sarà trasmessa alle generazioni future non tanto dalla letteratura come è stato nel passato ma, grazie alla tecnologia e ai mezzi mediatici, con i quali si potrà nel futuro prendere visione di come stiamo lottando per un futuro migliore per le nuove generazioni.