Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: Chi è, oggi, il prete?

di ANDREA FILLORAMO

 

“Chi è, oggi, il prete?”. È sicuramente questa una domanda che molti cattolici si pongono, in quanto ereditano delle definizioni, delle quali forse sconoscono i termini, di tutta la tradizione del pensiero teologico maturato nel tempo e presente nella loro mente attraverso labili ricordi catechetici infantili.

Per molti di loro il prete è una persona, investita di poteri quasi magici, rituali, chiamata a fare da ponte tra il cielo e la terra, al quale rivolgersi solo in alcuni momenti particolari della vita, del quale, però, non si può fare a meno.

Di ciò non bisogna meravigliarsi: diciamolo con chiarezza e ciò sfugge a molti: oggi i cattolici si trovano a vivere con preti che non riescono a misurarsi con un mondo secolarizzato; un mondo, cioè, che è esistenzialista, empirico, tecnologico, scientifico, positivo, un mondo, quindi, che è fuori dagli schemi teologici e biblici, avulso dai concetti, che vengono dalla rivelazione, mondo che è totalmente estraneo alla formazione dei sacerdoti, quella formazione ricevuta nei seminari e nelle Scuole teologiche.

Spesso in molti cattolici, almeno quelli che hanno studiato, rimangono più impresse le immagini del prete, costruite dalla letteratura e dal cinema, immagini letterarie o cinematografiche, che sono più incisive delle immagini che molti sacerdoti cercano di dare di sé. Basta, a loro, infatti un semplice sforzo di memoria per rammentare la figura di Padre Cristoforo o di Don Abbondio dei Promessi Sposi; di Don Camillo di Guareschi; di Padre Brown di Chesterton; del curato di campagna di Bernanos; del sacerdote del “ Il potere e la gloria” di Graham Green  e ancora, di padre Barry di “Fronte del porto” o del prete di “Io confesso” di Hitchcock: immagini, però, sbiadite che col tempo nulla, però, aggiungono ad un’esatta conoscenza della vita dei preti, della loro missione del loro “essere per gli altri”.

È certo che una crisi profonda attraversa i sacerdoti, che cercano in tutti i modi di superare, pur essendo fedeli ad una Chiesa che ancora non riesce ad imboccare la strada del rinnovamento voluta da Papa Francesco, che, però, addirittura viene ad essere osteggiato da alcuni di loro.

Molti ritengono che l’utilizzare le nuove tecnologie sia una possibilità loro offerta per superare la crisi che induce al “solipsismo”. L’importante è che il loro utilizzo non li distragga dal contenuto che si vuole trasmettere, cioè il messaggio di salvezza che viene da Cristo.

Nella cultura digitale essi possono essere sicuramente protagonisti.

“I segni sono al centro di Internet e la tradizione cristiana ci trasmette una radicata capacità di avvalersi dei simboli per annunciare Dio e il senso più profondo dell’esistenza. Probabilmente san Paolo si sarebbe trovato a suo agio davanti a questa sfida perché conosceva bene le regole dei linguaggi e aveva anche il coraggio di ripartire quando le cose non funzionavano”.

Massimo Camisasca nel suo saggio “La sfida della paternità. Riflessioni sul sacerdozio” (Edizioni S. Paolo, 2003) scrive: “Il prete” oggi è ucciso dalla sua proiezione verso l’esterno, dall’attività minuta, dai convegni, dai documenti. È molto spesso segnato negativamente dalle tecnologie”. Egli continua dicendo: “Sono, per fortuna, diminuite tante noiose diatribe sull’identità del prete, ma non sono diminuiti gli abbandoni, la solitudine di molti, la perdita di gusto per una vocazione che dovrebbe essere affascinante e piena di intensità affettiva. Nel 1978, anno della morte di Montini, i sacerdoti diocesani erano più di 41 mila. Al termine del pontificato di Wojtyla erano poco più di 33 mila, un quarto in meno. Se poi si guarda all’età si vede che il 60 per cento dei sacerdoti oggi in servizio in Italia è stato ordinato prima del 1978. Un clero dunque sempre più invecchiato. Gli studiosi di statistiche azzardano che nel 2023 in Italia ci sarà un terzo di sacerdoti in meno rispetto ad oggi (2003). Altri parlano addirittura del 75 per cento in meno”.

Una domanda, quindi, è lecita: “Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa?”.

Massimo Camisasca risponde:

“Non è giunta l’ora di chiederci umilmente quali siano le direzioni del cambiamento?”.