Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: Che ci stanno a fare i seminari?

di ANDREA FILLORAMO

Che i seminari non funzionino è risaputo o, meglio, che da questi escano dei preti incapaci o non del tutto capaci di affrontare la modernità; quindi, il loro “essere nel mondo ma non del mondo” (cfr. Gv 15, 18-21) lo si constata ogni giorno.

Questa è anche la consapevolezza di molti di loro, che non riescono ad imboccare strade alternative ad una pastorale stantia, quindi ad una “non pastorale”, che è prettamente rituale, lontana da tanti cattolici, che con il passare del tempo, si sono resi conto che fede e religione non sono la stessa cosa, anche se tra loro connessi, che la fede è un’esperienza esistenziale, una scelta radicale e che la religione è solo la manifestazione esteriore, meramente formale.

Essi non pensano che lodare Dio con le labbra non serve e anche le più esaltanti organizzazioni di preghiera e di liturgia rischiano sempre di trasformarsi in presuntuosa vanagloria e non tengono conto di quanto Gesù ammonisce: “non ciò che entra nell’uomo lo contamina, ma ciò che vi esce” (cfr. Mc 7,14-23).

Questa convinzione, lentamente si fa strada nelle coscienze, tanto da pronosticare, come del resto si può già osservare, che in poco tempo il cosiddetto popolo di Dio, si stancherà di assistere al modus operandi di tanti preti, che incuranti di questo fenomeno, svolgono, come se nulla fosse, quello che ritengono il loro mestiere, che, tutto sommato, per loro, non è un mestiere da abbandonare, né per loro è facile, anzi è difficilissimo abbandonare.

Se la loro non è una vita facile non è neanche, infatti, una vita da disperati. Basta pensare che i preti non hanno da pensare ai figli, non hanno partite IVA che lavorano con lo spettro del fallimento, che solitamente non possono essere licenziati, che hanno una rete di fedeli che li protegge… È indubbio che ci sono “mestieri” ben più pesanti, e sappiamo che i sacerdoti dei secoli scorsi vivevano in maniera più dura, perché era permesso meno, anche se prima il prestigio sociale della “professione” era maggiore.

Intanto non si ferma, ed è ormai sotto l’occhio di tutti, la crisi di vocazioni nella Chiesa. Il numero totale dei sacerdoti nel mondo, infatti, già ne 2019 era diminuito, raggiungendo quota 414.582 (-387). Il calo più consistente di religiosi si registrava in Europa (-2.946) alla quale si aggiungeva l’Oceania (-97).

I vecchi preti erano soliti, affermare, con estrema gravità, che la fioritura delle vocazioni al sacerdozio era la “cartina di tornasole” della bontà di un episcopato; tant’è che nelle vecchie pubblicazioni che trattavano della storia di una diocesi sotto il nome di un Vescovo spesso si scriveva: “durante il suo governo episcopale fiorirono … sacerdoti …religiosi” etc.

Continua, anche, l’abbandono dell’abito talare, da parte di alcuni preti, che non è determinato da crisi di fede, ma dal desiderio e in certi casi dal bisogno di poter vivere altre esperienze o scelte di vita che non si sono potute fare al tempo dovuto.

Probabilmente, alcuni di loro sentono una vocazione… ma non si sentono poi, dopo un po’, appagati da quel che il seminario ha offerto loro.
Del resto, solo maturando una piena consapevolezza, alla fine di un percorso, si sa, forse, e dico forse, dove si vuole arrivare.

Giunti a questo punto la domanda è d’obbligo: “Che ci stanno a fare i seminari?”.

“Non sarà che i seminari tengono i giovani isolati dal mondo, abituandoli ad una solitudine in cui poi si rifugiano?”. “Forse una volta fuori si sentono come dei pesci fuor d’acqua e fanno fatica ad inserirsi nella quotidianità della vita parrocchiale?”. A queste domande ha dato delle risposte don Mazzi, che ad una intervista ha detto: “Ci vuole una rivoluzione. Abolirei la parola prete innanzitutto. Sostituendola con quella di pastore. I tempi sono cambiati. Il prete di una volta era un sant’uomo che organizzava i funerali e le messe. Oggi bisogna avere una visione sociale e politica con la p maiuscola diverse. La priorità dev’essere la testimonianza di fede attraverso gli esempi. E chi dice che un sacerdote sposato non possa darla migliore di uno votato alla castità?”. “Il prete non deve essere un distributore di sacramenti; questi ultimi li possono dare anche i laici. Abolire anche i seminari. I parroci vengono indottrinati come polli. Non siamo impiegati delle Poste. Il prete dev’essere un profeta che deve proporre modi di vivere, far capire quanto sia bella la vita, quanto sia importante viverla bene. Attraverso l’amore, la fede e la bellezza. Abolirei anche il concetto di peccato che è troppo categorico. Usare il verbo “sbagliare” sarebbe un’altra cosa. La gente ha bisogno di perdono, non di sentirsi appellare come peccatrice”. Conclude dicendo: “Ecco perché dico che dobbiamo interrogarci tutti. Per davvero”.