Esiste oggi un dibattito sulla Shoah in quanto avvenimento dal significato universale e non esclusivamente ebraico?

E ancora: “Tale dibattito è significativo e autentico oppure con l’andare degli anni si è trasformato in una sorta di obbligo formale, di tributo che il senso di colpa europeo si sente in dovere di pagare una volta all’anno agli ebrei e ai patimenti da loro subiti durante la Shoah? E noi rappresentanti di questa generazione, di tutti i popoli e le religioni comprendiamo l’incisività e l’attualità degli interrogativi che la Shoah ci prospetta e la rilevanza che hanno per noi ancora oggi soprattutto oggi?”.

David Grossman, dal palco di Taobuk, il 20 Giugno 2021, ci ha chiamati a riflettere sul senso della Giornata internazionale della memoria, a partire dal suo libro Sparare a una colomba (Mondadori).

Per lo scrittore, Taobuk Award 2021 e autore tra gli altri di Che tu sia per me il coltello e Qualcuno con cui correre, no. Perché il rischio è che questa disquisizione rimanga a un livello puramente teorico, appaia, per usare le sue parole, “come una sorta di dissertazione filosofica, distante dagli esseri umani”.
Serve un passo in più, un salto in avanti che solo l’arte è in grado di compiere.

“La letteratura, la poesia, il teatro, la musica, il cinema, la pittura e la scultura sono i luoghi in cui l’individuo moderno può affrontare la Shoah e sperimentare le sensazioni e la particolare esperienza umana che la ricerca e il dibattito accademici solitamente non sono in grado di far rivivere”

Gli artisti, per lo scrittore israeliano, hanno allora una responsabilità: “presentare le cose in modo immediato, non manipolativo, sentimentale, volgare o esaltato”, senza cadere nella trappola dei “cliché di parole e di sentimenti intesi, in verità, a proteggerci da quella insopportabile sofferenza”.

E Taobuk è insieme megafono e palcoscenico dell’arte, in tutte le sue declinazioni, e dei messaggi che essa esprime.

Non è un caso che due anni e mezzo fa proprio a Tabouk, Grossman, in dialogo al Teatro Antico di Taormina con il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, ha emozionato la platea, raccontando il dolore per la perdita del figlio Uri. E cose mai rivelate prima: l’importanza di includere il nemico nella nostra storia perché “lui sa di noi più di quanto noi sappiamo di noi stessi” e perché “se il nemico non conosce la nostra paura non riuscirà mai ad accettarci, non ci sarà mai convivenza pacifica”.