DUE POPOLI UNITI DA UNA IMMAGINE MIRACOLOSA

Nella presentazione del libro di Jean Dumont, “Il Vangelo nelle Americhe”, accennavo alla verità della Madonna di Guadalupe, apparsa all’indio Juan Diego nel 1531. “Dio ha fatto ciò che non ha fatto per nessun’altra nazione”, scrive lo storico francese. E’ proprio così, la Vergine Maria ha voluto mettere il suo sigillo alla scoperta, alla conquista e all’evangelizzazione di quelle nuove terre. Una storia che va affrontata e raccontata bene per capire come la Provvidenza non manca di entrare nella Storia dell’uomo.

Dopo aver letto il meraviglioso testo di Fulton Sheen dedicato alla Madre di Nostro Signore, casualmente ho deciso di occuparmi di due testi che affrontano il tema di Maria Madre di Dio che opera nella storia: l’immagine miracolosa della Madonna di Guadalupe. Una storia straordinaria e nello stesso tempo entusiasmante raccontata da Claudio Perfetti, “La Madonna di Guadalupe”, Edizioni San Paolo (quinta edizione aggiornata 2003).

Un testo pensato come antologia, probabilmente si tratta del saggio più completo e aggiornato sull’argomento edito in Italia. Si compone di tre parti: la 1 presenta i documenti fondamentali che contengono le relazioni redatte sia in lingua indigena ( il nahuatl) che spagnola sull’avvenimento e ne provano la storicità.

La 2 parte, vengono analizzati i numerosi studi che per secoli sono stati fatti sulla ruvida tela (chiamata Ayate) che sta appassionando gli scienziati alla stessa stregua della Sindone di Torino.

La 3 parte, prende in esame il significato simbolico e religioso dell’evento guadalupano. L’immagine impressa sulla “tilma” di Juan Diego rappresentò per gli indios una vera “bibbia dei poveri” che li invitava a non distruggere le proprie tradizioni e nello stesso tempo a scoprire la nuova religione incarnata nella loro cultura. Sostanzialmente mi soffermo su quest’ultima parte. Alla fine del testo è presente una appendice con le parole di san Giovanni Paolo II, che considera il messaggio ricco e attuale anche per noi.

E comincio da Giovanni Paolo II, nel suo viaggio a Santo Domingo, il 12 ottobre 1992, nella ricorrenza del quinto centenario della scoperta dell’America, il Papa ha tra l’altro affermato che “l’America Latina offre, in Santa Maria di Guadalupe, un grande esempio di evangelizzazione perfettamente inculturata. Infatti, nella figura di Maria — dai primordi della cristianizzazione del Nuovo Mondo e alla luce del Vangelo di Gesù — si incarnarono autentici valori culturali indigeni. Nel volto meticcio della Vergine del Tepeyac si riassume il grande principio dell’inculturazione: l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture”.

Per gli indios, l’immagine della Madonna rappresentava, “al semplice colpo d’occhio, la sintesi della loro cultura: i colori, il volto, le mani, la tunica, il manto, l’angelo, la luna, le stelle, tutto indicava agli indigeni che il cristianesimo rappresentava la possibilità concreta di portare al definitivo compimento la sua antica cultura”. Nello stesso tempo l’immagine rassicurava gli spagnoli, che pensavano di debellare l’idolatria. Comunque sia secondo Perfetti, si tratta di un’immagine totalmente india e totalmente spagnola. Pertanto, nonostante le distanze culturali e politiche tra i due mondi, quello spagnolo e indio, hanno trovato nell’immagine di Guadalupe la sintesi meravigliosa e definitiva da cui è scaturita l’America Latina oggi.

Tra i Documenti proposti dal libro di Perfetti c’è la storia scritta nel 1649 da Luis Lasso de la Vega, Huey tlamahuizoltica (il grande avvenimento) che si compone in cinque parti. Il testo è corredato da una serie di immagini a colori e in bianco e nero.

Sugli studi scientifici, si parte dal 1666, il più antico esame scientifico dell’immagine “impressa” sulla tilma. Essa è costituita da due teli di ayate — un rozzo tessuto di fibre d’agave, usato in Messico dagli indios poveri per fabbricare abiti — cuciti insieme con filo sottile. Su di essa si vede l’immagine della Vergine, di dimensioni leggermente inferiori al naturale — la statura è di 143 centimetri — e di carnagione un po’ scura, donde l’appellativo popolare messicano di Virgen Morena o Morenita, circondata dai raggi del sole e con la luna sotto i suoi piedi, secondo la figura della Donna dell’Apocalisse. I tratti del volto non sono né di tipo europeo né di tipo indio, ma piuttosto meticcio — cosa “profetica” al tempo dell’apparizione — così che oggi, dopo secoli di commistioni fra le due razze, la Vergine di Guadalupe appare tipicamente “messicana”. Sotto la falce argentata della luna un angelo, le cui ali sono ornate di lunghe penne rosse, bianche e verdi, sorregge la Vergine che, sotto un manto verde-azzurro coperto di stelle dorate, indossa una tunica rosa “ricamata” di fiori in boccio dai contorni dorati, e stretta sopra la vita da una cintura color viola scuro: questa cintura — il “segno di riconoscimento”, presso gli aztechi, delle donne incinte — indica che la Vergine è in procinto di donare agli uomini il Salvatore.

Il secondo testo che ho preso in considerazione, è quello di uno studioso toscano Giulio Dante Guerra (La Madonna di Guadalupe. Un caso di “inculturazione” miracolosa. In appendice “Preghiera per la Vergine di Guadalupe” di Papa Giovanni Paolo II, Cristianità Piacenza, 1992) lo utilizzerò soprattutto per gli studi scientifici sulla “Tilma”.

Gli studi scientifici sull’immagine e sull’ayate proseguono nei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Tuttavia, i risultati più sorprendenti verranno dagli studi sull’immagine della Madonna di Guadalupe compiuti nel nostro secolo.

La tecnica più usata oggi per determinare la natura dei pigmenti è quella della fotografia ai raggi infrarossi, che vengono riflessi o assorbiti in maniera diversa dalle varie sostanze contenute nei pigmenti stessi. Finalmente, nel 1979, lo scienziato e pittore americano Philip Serna Callahan esegue una quarantina di fotografie all’infrarosso dell’immagine, sulle quali può compiere uno studio accurato. Ma i risultati più incredibili sono venuti dall’esame degli occhi della Vergine di Guadalupe.

Nel 1979 l’ingegnere peruviano José Aste Tonsmann, esperto di elaborazione elettronica delle immagini, riesce a ingrandire le iridi degli occhi della Vergine fino a 2500 volte le loro dimensioni originarie, e a rendere, mediante opportuni procedimenti matematici e ottici, il più possibile nitide le immagini in esse contenute. Il risultato ha, ancora una volta, dell’incredibile: negli occhi della Madonna di Guadalupe è riflessa l’intera scena di Juan Diego che apre la sua tilma davanti al vescovo Juan de Zumárraga O.F.M. e agli altri testimoni del miracolo. In questa scena è possibile individuare, da sinistra verso destra guardando l’occhio: un indio seduto, che guarda in alto; il profilo di un uomo anziano, con la barba bianca e la testa segnata da un’avanzata calvizie e da qualcosa di simile alla chierica dei frati, molto somigliante alla figura del vescovo Juan de Zumárraga O.F.M. quale appare nel dipinto di Miguel Cabrera raffigurante il miracolo della tilma; un uomo più giovane, quasi sicuramente l’interprete Juan González; un indio dai lineamenti marcati, con barba e baffi, certamente Juan Diego, che apre il proprio mantello, ancora privo dell’immagine, davanti al vescovo; una donna dal volto scuro, forse una schiava nera; un uomo dai tratti spagnoli — quello già individuato dagli esami oftalmoscopici sulla tilma e inizialmente scambiato per Juan Diego — che guarda pensoso la tilma accarezzandosi la barba con la mano.

Tutti questi personaggi stanno guardando verso la tilma, meno il primo, l’indio seduto, che sembra guardare piuttosto il viso di Juan Diego. Insomma, negli occhi dell’immagine della Madonna di Guadalupe vi è come una “istantanea” di quanto accaduto nel vescovado di Città di Messico al momento in cui l’immagine stessa si formò sulla tilma. Al centro delle pupille, poi, si nota, in scala molto più ridotta, un’altra “scena”, del tutto indipendente dalla prima, in cui compare un vero e proprio “gruppo familiare” indigeno composto da una donna, da un uomo, da alcuni bambini, e — nel solo occhio destro — da altre persone in piedi dietro la donna.

Dunque, la presenza di queste immagini negli occhi è, innanzi tutto, la conferma definitiva dell’origine prodigiosa dell’icona guadalupana: è materialmente impossibile dipingere tutte queste figure in cerchietti di circa 8 millimetri di diametro, quali sono le iridi della Madonna di Guadalupe, e per di più nell’assoluto rispetto di leggi ottiche totalmente ignote nel secolo XVI. Inoltre, la scena del vescovado come appare negli occhi della Vergine pone un altro problema: essa non è quella che poteva essere vista dalla supeficie della tilma, dato che vi compare Juan Diego con la tilma dispiegata davanti al vescovo. A questo proposito José Aste Tonsmann avanza l’ipotesi che la Madonna fosse presente, sebbene invisibile, al fatto, e abbia “proiettata” sulla tilma la propria immagine, avente negli occhi il riflesso di ciò che stava vedendo.

Ritorno al libro di Perfetti, nella terza parte si occupa della teologia e religiosità popolare guadalupana. Il popolo messicano è riuscito, ha saputo realizzare una meravigliosa simbiosi, tra gli elementi migliori del suo passato e quelli del suo futuro cristiano. “E’ una pietà popolare che nasce dalla disposizione iniziale degli indios a ricevere ‘il messaggio di salvezza di Cristo e a venerare la sua Santissima Madre’”. Sono interessanti le osservazioni e le descrizioni che fa Perfetti sull’apparizione della Vergine, che appare né come india né come spagnola, ma meticcia. La sua bellezza immersa nelle meraviglie della natura messicana, intorno al Topeyac, dove è apparsa all’indio Juan Diego. Il testo si sofferma molto sui simboli, che manifestano l’importante avvenimento, di Guadalupe che si rivela in un momento storico concreto, cioè, “quando un popolo nuovo nasce alla fede del Dio unico e vero, abbandonando idolatria e paganesimo”.

Anche in questa apparizione la Madonna rivela la sua maternità spirituale, che spiega i motivi per cui si è manifestata. “Il Vangelo del Topeyac – scrive Perfetti- è tutto un cantico alla maternità spirituale di Maria, da lei stessa intonato”. La Vergine del Topeyac, precisa Perfetti, si manifesta alla maniera della Donna dell’Apocalisse: una madre celeste incinta, sul punto di partorire (Cfr. Ap 12, 2-4). Qui c’è una differenza, a Guadalupe non c’è un clima di tragedia come sul Calvario, o attorno alla Donna dell’Apocalisse, dove il figlio è insidiato dal Dragone in agguato per divorarlo. “Qui tutto è pace, fiducia e sicurezza. La madre porta nel suo seno un popolo che sta per nascere”. E Juan Diego, “Dieghito”, come lo chiama la Madonna, è pure lui un simbolo e rappresenta tutto un popolo che stava per nascere.

Il testo continua con le riflessioni sui messaggi che la Madre di Dio vuole dare ai nuovi cristiani. L’idea di una casa-tempio, il rilievo dell’”essere testimone”, del “dare testimonianza”, con le condizioni imprescindibili di “aver visto” e “aver udito”. La Vergine ordinò a Juan Diego di raccontare, tutto quello che hai visto e hai udito.

Juan Diego diventa così vero profeta della Vergine. Il profeta è un “inviato”, è un “servo” che obbediente e fedele, che accetta puntualmente il comando che gli viene dato dalla Madonna. Per lo studioso Juan Diego è paragonabile, in tutta questa sequenza, a quella dei grandi profeti, messaggeri della volontà divina. Senza nessun dubbio è il messaggero di Maria che sceglie sempre i poveri e gli umili. Anche se Perfetti precisa che il Vangelo non è solo per i diseredati, ma è per tutti, ricchi o no.

Un altro aspetto da rilevare nel messaggio di Guadalupe, è quello della teologia del “segno”. Dio ha voluto utilizzare il metodo del segno, del miracolo, come i fiori, le rose a dicembre in un terreno arido. La guarigione dello zio Juan Bernardino. L’impressione dell’immagine sulla bianca tilma. E’ un segno di amore di Maria. Abbiamo visto come negli esami scientifici, l’immagine costituisce un forte segno per i poveri indios che si convertono. In essa gli indigeni, profondamente religiosi, poterono vedere d’un tratto, tutto un insieme di messaggi. “L’immagine impressa sulla tilma di Juan Diego – scrive Perfetti – è tutto un ricchissimo pittogramma, un ‘codice’ nahuatl, un amoxtli in cui gli indios poterono leggere con sguardo estasiato molte cose che passavano invece inosservate agli spagnoli”. Insiste Perfetti Era un’immagine che parlava, che diceva loro molto attraverso la sua fisionomia, il suo atteggiamento di compassione, i suoi abiti, i pittogrammi dipinti su di essi, i colori, specie l’azzurro del manto imperlato di stelle, il sole che le serviva da sfondo con i suoi raggi, la luna ai suoi piedi…”.

L’immagine della Vergine Santissima fu tutta una rivelazione, una grande evangelizzazione , la vera e propria “buona novella”. Assolutamente tutti in città si convertirono vedendo la preziosa immagine. Fu un vero incontro di riconciliazione di straordinaria semplicità, comprensibile agli indios e alla loro cultura, ma anche così vicina alla sensibilità dei conquistadores spagnoli.

Chiudo con questa puntualizzazione di Perfetti, il messaggio di riconciliazione di Guadalupe, non vuole essere un “facile irenismo, né tanto meno di un generico pacifismo: non è un falso ‘vogliamoci bene’ o uno stereotipato ‘mettiamoci d’accordo’: è la Vergine Maria, ‘Madre del verissimo Dio per il quale si vive’, a battezzare nella fede il popolo nuovo che da Lei stessa è nato”. Pertanto l'”immagine di Guadalupe diviene così la memoria storica dell’incontro originario da cui è nato il popolo nuovo”. Sostanzialmente da questo incontro di riconciliazione nasce una “nuova civiltà cristiana”.

DOMENICO BONVEGNA

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