Diocesi di Messina: un ricordo, da laico cattolico e da studioso, di Monsignor Ignazio Cannavò

Sono rimasto piacevolmente sorpreso, allorquando mi è stato chiesto di scrivere un ricordo, da laico cattolico e da studioso, di monsignor Ignazio Cannavò. Per l’indissolubile legame di bene che mi lega a lui con vincoli di affetto filiale, ancora oggi a dieci anni dalla sua morte, aderisco ben volentieri, concentrandomi sulla sua corposa produzione magisteriale, che ha accompagnato la nostra Arcidiocesi lungo il suo fecondo ventennale episcopato messinese. Di lui si può ben dire, con sant’Agostino: «Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano» (Agostino d’Ippona, discorso 340).

Dei defunti, è noto, si è soliti dire bene: tuttavia, nel caso di monsignor Cannavò sarebbe per me fin troppo facile scriverne cose egregie. Molti altri, più titolati di me, possono tesserne opportunamente le lodi. Ma per quel pudore delle parole e dei gesti che, in gioventù, appresi anche da lui, e poiché oggi un termine del genere risulta forse âgée dinanzi all’impellenza di esternare sentimenti ed emozioni alla mercé di chicchessia, non mi dilungherò su un ricordo personale, che vale per me. Posso dire che, nel ricordarlo, tornano in mente le parole di san Paolo VI, riferite al SdD Aldo Moro: uomo buono, mite, saggio, innocente e amico.

Un’altra citazione risuona: la frase del beato Rosario Livatino, rispetto al fatto che quando moriremo non ci sarà chiesto quanto siamo stati credenti, ma credibili. Posso testimoniare che tutto questo si attaglia perfettamente a Ignazio Cannavò, vescovo e padre, cristiano credibile e, come diceva don Bosco, anche onesto cittadino, a cui aggiungerei autentico democratico. Accennavo al suo magistero: l’ho riletto, in età adulta, per ragioni di studio e ricerca. Esso si può sintetizzare in due espressioni, a lui care: intelligenza pastorale e carità fattiva. La prima per l’imprescindibile esigenza di quell’intus legere di persone, fatti, cose, luoghi e circostanze, necessario per un’azione pastorale efficace nei suoi atti e duratura nei suoi frutti; la seconda perché senza una carità fattiva, intesa nella pienezza delle virtù teologali e cardinali e nella completezza delle opere di misericordia corporale e spirituale (a cui tutti i cristiani, ognuno nel suo stato di vita, sono chiamati e tenuti) verrebbe meno il senso pieno e fecondo dell’essere Ecclesia, cioè comunità.

Tra i documenti, che è doveroso citare, menzioniamo Ai fratelli nella fede delle Chiese di Messina – Lipari – S. Lucia del Mela: Camminiamo insieme (1978): quasi una presentazione di sé, del suo sentire cum Ecclesia, un programma pastorale e insieme un cammino di crescita umana; La famiglia “centro” unificatore dell’azione pastorale nelle nostre Chiese locali (1981): quello della famiglia fu sempre un tema particolarmente sentito da monsignor Cannavò. Nel definirla centro, egli la vide anche come luogo di evangelizzazione, oltre che di esperienza umana. A distanza di quasi cinquant’anni appaiono perfino “profetiche” alcune sue espressioni sul senso del matrimonio, della coppia, della visione civica e sociale della famiglia, oltre che strettamente ecclesiale, per una civitas a misura d’uomo, anzi a “misura di famiglia”, come egli richiamava.

Noi intuiamo che non di “profezia” si trattasse, ma di esercizio di “osservazione sul campo” che il presule conduceva, dedicandovi tempo e fatica personali. Il prelato già avvertiva nettamente l’incombere di tante frizioni sociali e culturali, sentendo la responsabilità dell’accoglienza, dell’ascolto e della valorizzazione di tutti. Egli portò avanti anche il progetto del suo predecessore, il SdD monsignor Francesco Fasola, di ordinare diaconi permanenti a Messina: scrisse così la lettera L’ordinazione dei primi diaconi permanenti. Momento importante per la Chiesa messinese (1981). La sua sensibilità pastorale si riscontra specialmente nel rapporto con la città e la società civile: Chiesa e città nel segno della riconciliazione (1985), il progetto pastorale Da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria (1986), Chiamati e mandati (1989).

È del 1992 il programma pastorale Nuova evangelizzazione: famiglia – giovani – poveri: in diversi testi dei primi anni Novanta si avverte l’amarezza del presule per le notizie di cronaca del tempo, dalle sfide stragiste della criminalità organizzata al Paese fino allo scandalo di Tangentopoli, con il suo deciso richiamo a un impegno sociale dei cattolici scevro da compromessi che ne adombrassero la dignità e la vocazione. Fu attento anche agli aspetti liturgici e della devozione popolare: in questo ambito si collocano le lettere Le nostre feste religiose (1993) e Con Maria pellegrini nella fede, servi nell’amore (1994) per la Peregrinatio Mariae, in occasione del suo cinquantesimo di sacerdozio e di venticinquesimo di episcopato. Va anche richiamato il fatto che nel 1997 riuscì a “riaprire” la parrocchia bizantina di Santa Maria del Graffeo, affidata a un papàs che avesse cura dei fedeli di rito orientale, abbastanza presenti in città, e recuperando così una almeno minima presenza di quella grecità ecclesiale che animò Messina fino al 1908.

Nel 1996 consegnò il programma pastorale In principio era la comunicazione, nel quale richiamava i temi trattati nel grande convegno ecclesiale di Palermo ’95. Meritano una lettura attenta anche i suoi messaggi per la Quaresima, a cui legò un tema preciso per ogni anno. Nel 1992 realizzò il Progetto Emmaus, orientato alla pastorale giovanile e prendendo le mosse dalla Ricerca Savio ’90. Monsignor Cannavò effettuò due visite pastorali nell’Arcidiocesi, indette nel 1979 e nel 1989, cui seguirono due visite Ad Limina Petri Sedem.

Va infine ricordato il suo impegno per il Seminario e le vocazioni sacerdotali e religiose, la cura per una pastorale efficiente degli emarginati, delle coppie in difficoltà, dei divorziati; ebbe una precipua sensibilità per la dottrina sociale (va letta una sua omelia tenuta nel Natale 1979 presso i cantieri navali I.M.S.A.). Sono molti i temi da rileggere, con lo sguardo odierno, del suo magistero. Il suo episcopato e la sua figura pubblica sono ormai consegnati alla memoria collettiva e starà agli storici e ai teologi dirne con scientifica autorevolezza. Ne rammentiamo infine il motto episcopale, come un programma di vita: In Verbo Tuo, sulla Tua Parola. Un atto di fiducia, sostanzialmente. Monsignor Ignazio Cannavò è stato uomo del suo tempo, ma con lo sguardo sempre proiettato in avanti, fedele alla tradizione della Chiesa, ma senza passatismi.

La sua opera apostolica fu sostenuta, oltre che da quel costante atto di fiducia testimoniato dal motto episcopale, anche da una brillante intelligenza e da una ferrea volontà, arricchita da una cultura raffinata che non tenne per sé ma ne fece uno strumento condiviso. Infine, avvedendosi della forza delle parole e della stampa, da giornalista pubblicista, se ne servì facendo del giornale quasi una seconda cattedra da cui indicare, appellarsi, invitando a guardare alla realtà e a modificarla in meglio, facendo seguire alle parole i fatti, e rivolgendosi con lungimiranza ai mass media fino ai più recenti mezzi digitali, quasi con avanguardistica curiosità, almeno fin quando ne ebbe la forza fisica. Ignazio Cannavò, credo, è stato concretamente un emendator, vescovo dell’εὖ ποιεῖν nella sintesi inscindibile di intelligenza pastorale e carità fattiva.

Valerio Ciarocchi

Docente invitato di musicologia liturgica

Istituto Teologico “San Tommaso”, Messina